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1917 di Sam Mendes, devastante viaggio negli orrori della guerra

By Lidia Fiore
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1917 di Sam Mendes

Dopo aver trionfato ai Golden Globes nelle categorie Miglior film drammatico e Miglior regia, “1917” di Sam Mendes sta continuando a collezionare successi e ha già conquistato il favore del pubblico. Ciò che rende “1917” un film unico nel suo genere è indubbiamente la grandiosità della regia e un’attenta cura verso tutti i dettagli, sia tecnici che narrativi. Ogni elemento è stato studiato alla perfezione, tanto che sono stati necessari più di quattro mesi di prove prima di poter realizzare le riprese effettive.

«Questa guerra può finire solo in un modo: vince chi sopravvive.» – Colonnello Mackenzie

L’idea per “1917” nasce da un progetto di Sam Mendes che, ispirato dai racconti di suo nonno, ha deciso di scrivere una sceneggiatura che rendesse omaggio al ruolo che il nonno aveva ricoperto durante la grande guerra, cioè quello del messaggero di prima linea. Da questo progetto ha preso vita la sceneggiatura definitiva del film. Il regista e sceneggiatore Sam Mendes ha dichiarato di aver deciso già durante la prima stesura che il film sarebbe stato girato con un unico piano sequenza e di aver portato a termine il lavoro tenendo ben presente questo particolare.

1917 di Sam Mendes racconta la solitudine del soldato 

Indubbiamente la solitudine ricopre un ruolo centrale all’interno di “1917”. Ogni soldato è solo in trincea e ogni dettaglio contribuisce a confermare questo concetto. I frequenti primi piani e le inquadrature in soggettiva creano un’atmosfera decisamente claustrofobica e accentuano la sensazione di isolamento di Tom Blake e William Schofield, i due soldati protagonisti della pellicola. Sono soli nel compiere la missione che viene loro affidata, circondati unicamente da morte e distruzione. Come in una danza sono costantemente accompagnati unicamente dalla macchina da presa. Ogni movimento è calibrato al millimetro e qualsiasi errore potrebbe essere fatale. Nella realtà sbagliare significa dover scartare infiniti minuti di girato, nella finzione scenica un passo falso potrebbe costare la vita dei protagonisti e dell’intero battaglione che i due devono salvare dall’imboscata tedesca.

Si tratta di una vera e propria lotta contro il tempo da cui Sam Mendes esce vincitore riuscendo a realizzare un film dal ritmo incalzante, sebbene il montaggio risulti pressoché invisibile. In questo modo, l’effetto ottenuto è di un lungo piano sequenza interrotto da un unico stacco sul nero che divide la narrazione in due atti, conferendo all’intera pellicola una struttura quasi teatrale.

«Giù all’inferno, o fino al trono, viaggia più veloce chi viaggia da solo.» – Generale Erinmore

In “1917” la solitudine ha innumerevoli volti. Nelle fila dell’esercito è possibile notare, fra i soldati di pelle bianca, anche numerosi militari di etnia non caucasica. Si tratta di uomini provenienti dalle colonie inglesi, incoraggiati a combattere dalla promessa di una futura decolonizzazione. La solitudine di questi uomini è di certo differente da quella provata dai protagonisti. Questi soldati sono soli nel combattere una guerra che percepiscono come estranea da loro e vengono addirittura considerati inferiori ai loro compagni inglesi. Questo dettaglio rende “1917” tristemente ancor più fedele alla realtà storica dei fatti.

Nel film trova spazio anche la sfera emotiva

Nonostante si tratti senza alcun dubbio di un war movie, in “1917” c’è posto anche per altre emozioni che non siano crudeltà e solitudine. Nella scena ambientata nella città francese di Ecoust, il caporale Schofield sfugge ad un attacco dell’esercito tedesco rifugiandosi in una casa apparentemente abbandonata. La casa si scoprirà invece occupata da una giovane francese e una bambina di pochi mesi. Grazie a questa breve parentesi Schofield riscoprirà il suo lato più umano che – a causa della guerra – sembrava ormai irrimediabilmente perduto. Tuttavia si tratta soltanto di una breve illusione di serenità. Ben presto Schofield dovrà abbandonare il rifugio e la tenerezza di quel frammento di calma per riprendere la sua missione.

«Ho sperato che oggi fosse un buon giorno. La speranza è una cosa pericolosa» – Colonnello Mackenzie

È difficile nutrire delle speranze nell’avvenire durante una guerra che sembra non avere mai fine. È storicamente risaputo che la Prima Guerra Mondiale fu soprattutto combattuta in trincea, in un lungo processo che portò lentamente al logoramento fisico e psicologico dei soldati. In “1917” l’atmosfera cupa e disperata è resa perfettamente grazie all’opera del magistrale Roger Deakins, direttore della fotografia. Sebbene sia ambientato in piena primavera, i colori prevalenti sono freddi ed inospitali. Le scene girate con l’esclusivo utilizzo della luce naturale conferiscono alla narrazione una struggente malinconia che rende “1917” un film intenso e indimenticabile.

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Se mi lasci ti cancello. Eternal Sunshine tra i colori dei ricordi

By Lidia Fiore
"Se mi lasci ti cancello - Eternal Sunshine of the Spotless Mind" di Michel Gondry

“Se mi lasci ti cancello-Eternal Sunshine of the Spotless Mind” di Michel Gondry è una profonda riflessione sull’importanza dei ricordi. Una piccola precisazione riguarda il titolo tradotto – uno dei più storpiati nella storia del cinema -. “Se mi lasci ti cancello” è originariamente “Eternal Sunshine of the Spotless Mind” racchiude già in sè l’atmosfera del film. “Spotless mind” significa “mente leggera”, mentre “eternal sunshine” rimanda alla “luce del sole”, nella ricerca dello stato di serenità e beatitudine, quando ormai non si avvertono più le dolorose fitte al termine di una storia d’amore. Il film di Michel Gondry pur essendo incentrato sull’esperienza di vita di Joel (Jim Carrey) e Clementine (Kate Winslet), in realtà esplora il tema del ricordo in ogni sua accezione servendosi di una messa in scena poeticamente struggente.

«Michel Gondry era molto interessato a richiamare lo stile di Godard, facendoci tenere la camera a mano seduti su una sedia a rotelle.» – Ellen Kuras, direttrice della fotografia

La regia è studiata nel minimo dettaglio per rendere al meglio la complessità e la frammentazione della memoria umana. La fluidità dei ricordi di Joel viene resa attraverso l’utilizzo della camera a mano che si sposta agilmente inseguendo di volta in volta il focus del ricordo. La mente di Joel è disordinata e annebbiata dal passare del tempo, le scene d vita si susseguono alla rinfusa, non in ordine cronologico. La camera a mano rappresenta quindi l’espediente tecnico per riportare l’instabilità dei ricordi del protagonista.

L’importanza dei ricordi. “Se mi lasci ti cancello”

La memoria è indiscutibilmente protagonista in “Se mi lasci ti cancello”. Oltre ai due protagonisti, anche gli altri personaggi sono fondamentali nell’esplorare le differenti connotazioni del tema. Ognuno di loro rappresenta una precisa conseguenza della manipolazione della memoria, cioè come questa possa influire significativamente sull’esistenza. Joel e Clementine scelgono consapevolmente di modificare i propri ricordi. Cancellandosi a vicenda dalle loro memorie decidono di eliminare dalla mente i brutti ricordi in un disperato tentativo di fuggire dal dolore del loro amore finito.

Il fatto che Joel cambi improvvisamente idea e tenti in ogni modo di opporsi alla procedura, testimonia la complessa stratificazione della memoria. Sradicando completamente Clementine dalla sua mente Joel rinuncia definitivamente ad una parte di sé. Ben presto si rende conto che cancellare Clementine significa rimuovere dalla sua memoria non solo i ricordi tragici, ma anche quelli felici. Il processo di cancellazione è però irreversibile e definitivo

«Se ne sono andati via tutti, non c’è più nessun ricordo.» -Joel

Durante la procedura le numerose inquadrature in soggettiva ricalcano perfettamente il punto di vista di Joel. Quindi, lo spettatore – allo stesso modo di Joel – vede i ricordi legati a Clementine disgregarsi e sparire sotto i propri occhi, come se non fossero mai esistiti. Inoltre, il frequente uso di jump-cut rende le scene confusionarie e scomposte. Il montaggio serrato è impiegato per rendere l’idea delle sequenze di ricordi che si succedono freneticamente e altrettanto freneticamente scompaiono.

Dal rosso passione al blu malinconico. “Eternal Sunshine of the Spotless Mind”

La caratterizzazione e le diverse fasi dell’amore fra Joel e Clementine risultano evidenti nell’utilizzo dei colori all’interno del film. L’ordinarietà di Joel è resa dai suoi vestiti scialbi, dai colori anonimi. La sua immaturità emerge invece dall’arredamento della casa, disordinato e squallido. Gli ambienti piccoli ingombrati dal divano-letto creano una sensazione di claustrofobia e disagio. L’assenza di spazi nell’appartamento sommerge Joel e Clementine, soffocando il loro amore. Dopo aver subito la procedura di cancellazione della memoria, la luce tenue nell’appartamento di Joel rivela la futilità della sua esistenza senza Clementine. La gioia della vita di Joel è sparita insieme ai ricordi della storia con lei, lasciando spazio a vuoto e tristezza.

«Com’è felice il destino dell’incolpevole vestale! Dimentica del mondo, dal mondo dimenticata. Infinita letizia della mente candida! Accettata ogni preghiera e rinunciato a ogni desiderio.» -Mary

Se i colori dell’appartamento e dei vestiti di Joel sono indice della sua personalità, per quanto riguarda Clementine sono simbolo di qualcosa di ben diverso. In particolare, il colore dei suoi capelli è metafora delle stagioni dell’amore con Joel. Quando i due si incontrano per la prima volta Clementine ha i capelli verdi. Il verde è il colore della primavera, della vita che si risveglia e di un nuovo inizio. L’entusiasmo per una relazione che inizia è paragonabile alla primavera che con il suo tepore promette felicità.

Nei momenti più romantici il colore dei capelli di Clementine è il rosso. Come il sole estivo, l’amore fra i due divampa vivendo il suo massimo splendore. Le prime crisi sono contrassegnate dall’arancione autunnale, simbolo del pallido ricordo del calore estivo. La relazione di Joel e Clementine finisce nel freddo dell’inverno e i capelli della ragazza si tingono di blu. Tuttavia, i capelli di Clementine lanciano un messaggio di speranza. Nel momento del suo secondo incontro con Joel il blu è ormai sbiadito, lasciando presagire l’arrivo di una nuova desiderata primavera.

Joel e Clementine. Un amore di opposti e complementari

L’amore fra Joel e Clementine è un altro indiscusso tema principale del film. Attraverso i ricordi di Joel, lo spettatore ha modo di ricostruire le fasi salienti della loro storia. Sebbene la sequenzialità degli eventi non venga rispettata, subito emergono le differenze sostanziali che potrebbero aver causato la fine della relazione. Joel e Clementine hanno due personalità antitetiche, ma allo stesso tempo complementari. L’ordinarietà di Joel confligge con l’esuberanza di Clementine, ma questo non impedisce al loro amore di sbocciare. L’intraprendenza di Clementine li porterà a riunirsi anche dopo aver subito la cancellazione della memoria. Nonostante l’impacciata reticenza di Joel, la ragazza stabilisce un nuovo contatto fra loro, accorciando le distanze.

Nel loro secondo “primo incontro” l’inquadratura ampia indica la loro lontananza, dovuta alle conseguenze della procedura. Tuttavia, man mano che la conversazione fra Joel e Clementine si fa più disinvolta, l’inquadratura si stringe intorno ai loro visi, esplicitando la complicità rinata.

«Io non sono un’idea, ma una ragazza incasinata che cerca la sua pace mentale.» – Clementine

Malgrado le differenze fra Joel e Clementine possano non sembrare insormontabili, il film non manca di sottolineare che in realtà siano state proprio quelle a separarli. Joel, insicuro e paranoico, presto arriva a guardare alla vivacità di Clementine con sospetto. Lei, dal canto suo, è annoiata dalla banalità di Joel. I suoi continui tentativi comunicare con lui cadono nel vuoto, innalzando un muro fra loro fatto di silenzi e incomprensioni. Ciò che Joel non comprende è che lui sia sempre stato innamorato dell’idea che aveva di lei. Vederla divergere sempre più dal quadro perfetto che aveva realizzato, rende Joel apatico e insoddisfatto. Solo cancellando i suoi ricordi riuscirà a liberarsi del fantasma di una perfezione inesistente, concedendosi, forse, la possibilità di innamorarsi della vera Clementine.

La dimenticanza è debolezza. “Se mi lasci ti cancello-Eternal Sunshine of the Spotless Mind” di Michel Gondry

Intanto, anche gli altri personaggi che ruotano intorno alla coppia protagonista sono il simbolo di come la manipolazione della memoria possa rappresentare un pericolo. Per Clementine la cancellazione della memoria rappresenta la sua vulnerabilità agli attacchi di chi conosce la verità e sceglie di utilizzarla a proprio vantaggio.

«Beati gli smemorati, perché avranno la meglio anche sui loro errori» -Mary

Un’altra impiegata della Lacuna Inc., Mary (Kirsten Dunst), offre un ulteriore spunto di riflessione. Inizialmente lei è ben felice di lavorare per la clinica. Secondo Mary, offrire la possibilità di cancellare i ricordi infelici significa aiutare a vincere il dolore, regalando così l’opportunità di un nuovo inizio. Tuttavia, scoprire di essere lei stessa una vittima inconsapevole della procedura cambierà radicalmente il suo punto di vista.

Al contrario di Joel e Clementine, Mary è stata costretta a subire la cancellazione della memoria dall’uomo che credeva di amare, nonché il suo capo. L’amara rivelazione renderà Mary finalmente consapevole della sua fragilità. Avendo dimenticato il tragico epilogo della sua relazione, si era condannata a ripetere in eterno i suoi errori, gli stessi che l’avevano condotta a ricorrere alla procedura. Scoprire l’inganno la libererà dal giogo del suo capo e le aprirà la strada per una nuova vita.

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L’Onda di Dennis Gansel, l’autocrazia nata da un esperimento

By Beatrice Andolfatto
L'Onda di Dennis Gansel

Come le dittature possono essere attuali e trascinarci in un impetuoso vortice, ce lo spiega “L’Onda” diretto da Dennis Gansel e uscito in sala ben 10 anni fa.

Reiner Wenger, interpretato da un ottimo Jürgen Vogel, è un professore dalla mentalità anarchica, che insegna in un liceo tedesco come tanti altri. Durante la settimana a tema dedicata allo studio extra-scolastico, è obbligato a tenere un corso sull’autocrazia, ideologia diametralmente opposta alla sua. Ci prova, Wenger, a cambiare cattedra, ma la preside e un collega sono irremovibili. Gli tocca parlare di qualcosa che non sente suo. Ma come fare?

Dennis Gansel scava nel fascino del pensiero autocratico tramite Reiner Wenger

Dopo aver riflettuto un po’, decide di immergersi in una lezione su questa ideologia analizzandone i pilastri principali e i comportamenti. Gli studenti si mostrano un po’ scettici, subito gli vengono alla mente le grandi autocrazie del passato, quali nazismo e fascismo, ma si tratta di una tematica anacronistica e lontano dal loro presente.

Ma il professore ha un colpo di genio, l’idea di fare un esperimento sull’autocrazia. Chiede a tutti se vogliono provare a ricreare le condizioni che hanno permesso l’avvento delle autocrazie. Stupore, poi si accetta, si comincia. Prima di tutto occorre nominare un capo, condizione essenziale, e sarà Reiner per inevitabile acclamazione. Inizialmente tutti dipenderanno dal suo ingegno e si comincerà con iniziative volte ad appianare le singole individualità ed a creare spirito di gruppo. Dalla disposizione dei banchi alla postura da tenere fino alla realizzazione di un preciso protocollo da seguire per poter intervenire nei dibattiti o per prendere le decisioni, tutto viene stabilito con regole da rispettare.

Sembra un gioco, ma Reiner Wenger è sempre serio e presto lo saranno tutti. Non occorre più guidare, basta indirizzare con delle domande e i ragazzi sono propositivi ed entusiasti. Si sceglie un nome per il gruppo e verrà votato “L’Onda”, con una modalità di apparente democrazia. Si decide che la camicia bianca e i jeans saranno la loro divisa, viene ideato un logo, persino un saluto col braccio destro. Entusiasmante per quasi tutti, la voce corre fuori dall’aula, la preside è entusiasta, altri ragazzi chiedono di unirsi alla classe. Un crescendo incontenibile, tanto che uscirà dall’ambito scolastico. L’Onda diventerà un gruppo anche fuori dalla scuola molto coeso e solidale, via via sempre più settario ed estremista: o sei con loro o sei contro. Reiner Wenger perderà il controllo della situazione, quando se ne renderà conto sarà troppo tardi, diventerà parte de L’Onda.

La Terza Onda, la storia vera che si cela sotto il nome di The Third Wave

Questo film del 2008 ha persino del vero. I fatti a cui si è ispirato il regista Dennis Gansel sono del 1967, noti come “La Terza Onda”. “The Third Wave” è stato un esperimento per dimostrare l‘attrattiva del fascismo e dell’autocrazia. Tenuto dal professore di storia Ron Jones agli studenti del secondo anno della Cubberley High School – Palo Alto, California – , la sua classe di Storia Contemporanea è stata quindi parte di un realistico studio della Germania nazista nella prima settimana di aprile del 1967.

Siamo di fronte ad un film pieno di significati. Avvincente e sorprendente, è capace di muovere l’adrenalina nel sangue. I colpi di scena sono parecchi, i momenti inaspettati anche, e questo prodotto di qualità ottima sotto ogni aspetto è talmente ben girato che può essere apprezzato anche come semplice film che parla dei giovani. Altra nota favorevole è la colonna sonora, curata dal dj/arrangiatore Heiko Maile, che mette insieme i generi ascoltati da questi ragazzi. Il finale pensato da Dennis Gansel è di una durezza senza compromessi, che va ben oltre i fatti reali ma senza stonare e lasciando un segno indelebile nella memoria. Come sia realmente finita a Palo Alto non si sa, ma sembra che già al quarto giorno l’esperimento sull’autocrazia fu interrotto.

1 Comment
    KATIA Cava says:
    Gennaio 28th 2020, 2:55 pm

    Ottime le osservazioni e il linguaggio descrittivo

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