
L'”Antigone” di Ichòs Zoe Teatro con la regia di Salvatore Mattiello è paragonabile ad un grappolo d’uva, i cui chicchi hanno sapori sempre più sorprendenti. Un grappolo che si può gustare a livello superficiale, mangiando prima la parte esterna, o partendo metodicamente dal basso. C’è una terza soluzione molto interessante, cioè quella di prendere un chicco esterno in una posizione definita e poi andare al cuore, seguendo una linea logica tra dentro e fuori, ma non per forza didascalica. È questa la strada che ci propone Salvatore Mattiello. Una Antigone che parte dai tempi odierni e ritorna al mito e viceversa, pur rimanendo fedele alla consequenzialità temporale del mito stesso.
Questa strategia diegetica tiene molto viva l’attenzione dello spettatore e allo stesso tempo permette agli attori di sfruttare in corso d’opera la tragedia greca per far riflettere il pubblico su tematiche contemporanee. Gli interpreti sono Giorgia Dell’Aversano (Antigone), Giuseppe Giannelli (Creonte), Rossella Sabatini (Ismene) e Ivano Salipante (Emone).
“Antigone” di Ichòs Zoe Teatro. Una meravigliosa mina vagante
Antigone è una giovane ribelle condannata a morte per aver disobbedito all’editto di un re. Questa è la storia se la leggiamo a livello superficiale. Ovviamente ci sono tanti livelli fondamentali. Intanto il re Creonte non è soltanto un re, è lo zio di Antigone. È un re che condanna una suddita ma, come ci fa riflettere la messinscena, è un essere umano, costretto anche dagli eventi politici a condannare a morte la nipote. Antigone, che viola l’editto, lo fa perché lo stesso le impone di non dare degna sepoltura al fratello Polinice, in quanto Polinice si era schierato contro l’altro fratello Eteocle, alleandosi con la città di Argo per conquistare Tebe.
Antigone non è una semplice ribelle, lei è figlia dell’incestuoso Edipo che ha ucciso il padre e messa incinta la madre Giocasta, sorella dello zio – e poi re – Creonte. Inoltre Antigone ha una relazione col figlio del re, Emone. I due si amano intensamente, al punto che dalla loro unione sta per nascere un figlio. Antigone rappresenta una mina vagante per il potere costituito, deve morire. Ismene, sua sorella, dopo uno scontro inziale, deciderà di segurila in questa crociata verso la difesa dell’onore di Polinice soltanto quando Antigone sarà già stata condannata a morte. L’episodio è stato diligentemente utilizzato dal regista per creare un’ulteriore prova da superare prima di giungere – attori e spettatori insieme – verso il finale dell’opera.
Lo stile drammatico con un pizzico di Cocteau
Lo stile recitativo drammatico è inteso in un senso che va verso il teatro classico, come la tragedia greca certamente impone, ed è stato finemente utilizzato anche per passare alle riflessioni sulla contemporaneità. Alla lunga potrebbe però risultare poco dinamico, rischiando a tratti di limitare l’espressività degli attori, costretti in una griglia troppo ben definita. La dinamica dentro/fuori dal mito è stata alquanto interessante così come i riferimenti all’attuale questione migranti e la critica sulle religioni, portata avanti con una discreta metateatralità che ha tenuto i presenti attenti fino alla fine.
Del resto la bravura di Mattiello nel creare il grappolo e muoversi all’interno, denota un certosino lavoro sui testi di Sofocle e Brecht in particolare. Il porre l’attenzione sulla donna Antigone, che si sottrae al giudizio dell’uomo che la condannerà, strizza l’occhio a Jean Cocteau, che non poteva rimanere inconsiderato mettendo mano ad un’opera di una responsabilità così importante.
“Antigone” di Ichòs Zoe Teatro. La compagnia
La compagnia Ichòs Zoe Teatro chiama gli spettatori a non essere meri auditori, ma partecipanti, testimoni attivi della messinscena. Una realtà ventennale a San Giovanni a Teduccio, nella periferia di Napoli; un piccolo teatro che è un vero gioiello, dove ogni cosa è stata incastonata ad arte.
Una riflessione è doverosa sul comparto luci, – tutte posizionate in maniera funzionale – che ha contribuito ad abbattere la quarta parete teatrale. L’utilizzo dell’ambra in apertura, i proiettori posizionati perpendicolarmente alle quinte e direttamente sul palco, le luci dirette a incrocio sugli attori ed i sagomatori, hanno contribuito a valorizzare il lavoro degli attori ed i costumi, per niente scontati, di Roberta Sorabella. Tutto è stato coordinato magistralmente con le avvolgenti musiche e suoni ad opera di LA-Nu, Claudio Marino e Gino Potrano. Una chicca l’utilizzo dei sagomatori nella scena che contrapponeva Antigone a Creonte come fotografia e negativo l’uno dell’altra. Un’utilizzo particolare degli elementi scenografici uniti al colore ambra renderanno il finale fortemente significativo.
Un Antigone fenice ismenica
Soffermandoci sul finale proposto dall’ “Antigone” di Ichòs Zoe Teatro, possiamo rispondere alla domanda che ci propone questo lavoro: “Cosa significa essere Antigone oggi?”
C’è ancora luce e speranza se proprio Ismene, sorella di Antigone, la più impreparata ad affrontare la tragedia che le verrà riversata addosso, è unica sopravvissuta e genitrice di una nuova donna di nome Antigone. Una nuova regina che, in quanto donna, continuerà a procreare vita.
Essere Antigone oggi vuol dire semplicemente verificare le notizie prima di pubblicarle, vuol dire impegnarsi attivamente per difendere il proprio territorio e la propria creatività ed originalità a discapito di chi usa strumenti di controllo sociale per soffocarla, uniformarla e governarla. Vuol dire con una gran prova di coraggio scendere in piazza, che sia per protestare, cooperare, organizzarsi o semplicemente socializzare. Perché il conflitto della polis ormai si è spostato ad un livello talmente etereo da risultare impercepibile, invece le dinamiche son rimaste uguali. È la modalità che è cambiata, sia essa digitale, globalizzata, esclusivista o monoteista. La dialettica politica e civile ha preso solo nuove forme e sta a chi vive il mondo decidere se esserne semplice auditore, spettatore o partecipante attivo. Emanciparsi mentalmente, fisicamente e affettivamente è un passaggio importante in questo processo, tenendo conto realisticamente della verità che Creonte consegna al figlio Ermone.
«Si è completamente soli, il mondo è spoglio e tu mi hai ammirato già per troppo tempo.»