Antonio Ligabue, selvaggio e primitivo a metà tra due mondi

"Volpe con gallina" di Antonio Ligabue, 1955
“Volpe con gallina” di Antonio Ligabue, 1955

Vuoi per una mostra, vuoi per uno sceneggiato televisivo, vuoi per un film, Antonio Ligabue ritorna ciclicamente alla ribalta e si riprende la scena che gli spetta di diritto nello spettacolo dell’arte contemporanea. Nato a Zurigo il 18 dicembre 1899, figlio di italiani emigrati in Svizzera, con la fama di selvaggio e primitivo è stato un pittore e scultore italiano, tra i più importanti artisti del XX secolo. Chi l’ha conosciuto testimonia che lui è sempre stato cosciente della sua arte e convinto di essere un grande artista. 

Suo appassionato estimatore, Vittorio Sgarbi ritiene che la critica non l’abbia capito perché troppo poco d’avanguardia, ma in realtà si tratta di un artista al pari di Morandi. Come lui ha avuto una reazione, sebbene molto diversa, al periodo storico in cui stava vivendo, il fascismo. Ligabue ha una visione dantesca, di profonda verità e di confronto anche difficile con il mondo. 

«Tanti decenni di impegno hanno portato a far conoscere la vita e l’opera di Antonio Ligabue a livello internazionale come un artista completo di altissimo livello creativo, con uno stile personale, affascinante ed attualissimo.» – Augusto Agosta Tota, Presidente della Fondazione Archivio Antonio Ligabue di Parma

L’uomo e il suo destino per Antonio Ligabue

L’anno dopo la sua nascita Antonio viene affidato ad una coppia svizzero-tedesca. A causa dei suoi problemi psicofisici verrà espulso dal Paese e mandato a Gualtieri in Emilia, luogo di cui è originario l’uomo che è ufficialmente suo padre. Qui vive per anni in condizioni di estrema povertà sulle rive del Po. Entra e esce dai manicomi fino a quando lo scultore Renato Marino Mazzacurati lo indirizza allo sviluppo delle sue naturali doti di pittore.

C’è un tumulto senza requie in tutto il suo essere, a volte sente strani rumori che esprime come può. Spesso percepisce spiriti cattivi che gli impediscono di dipingere e allora intraprende strani rituali per scacciarli e riprendere la sua attività creativa.

Nella bassa reggiana, dove conduce una vita randagia, Antonio soprttutto d’estate ama girovagare per i boschi e la campagna, dove dipinge all’aperto. Nonostante abbia avuto una vita difficile è molto amato dai più umili e dai contadini, che con grande generosità gli offrono del pane e un piatto di minestra, che a volte lui contraccambia con dei quadri.

Quando si ritira al chiuso della sua stanzetta, invece, ama indossare vestiti femminili dalle tinte delicate e per lunghe ore intreccia discorsi amorosi con sé stesso. Si veste da donna perché ciò lo rende felice. Spiega che si sente bene in quei panni. In quelle vesti bianche, in quei pizzi gli va via la disperazione e trova la tranquillità.

Arte tra realtà e allucinazione

Ai confini tra la pazzia e la verità Ligabue è uno straordinario narratore che racconta il dramma dell’uomo in equilibrio tra la vita e la morte. Dispiega sulla tela le cose che vede e che sente per dar vita a mondi che stanno a metà tra la realtà e l’allucinazione. Mondi brutali di forza, violenza e conflitto.

Sebbene l’interesse prevalente di Ligabue sia rivolto alla pittura, oltre ai dipinti realizza anche disegni, sculture in terra asciutta o cotta e incisioni. In trent’anni l’artista realizzò circa mille opere, una produzione comunque molto limitata. Quadri di grandi, medie e piccole dimensioni. Le prime opere sono da dilettante di genio.

«L’opera di Antonio Ligabue può essere suddiviso in tre periodi. Nel primo periodo (1927-1939) i colori sono molto tenui e diluiti. Sono usuali i temi legati alla vita agreste e le scene con animali feroci in atteggiamenti non eccessivamente aggressivi; pochissimi gli autoritratti. Il secondo periodo (1939-1952) è segnato dalla scoperta della materia grassa e corposa e da una rifinitura analitica di tutta la rappresentazione. Il terzo periodo (1952-1962) è la fase più prolifica. Il segno diventa vigoroso e continuo, al punto da stagliare nettamente l’immagine rispetto al resto della scena. È densa in quest’ultimo periodo la produzione di autoritratti, diversificati a seconda degli stati d’animo vissuti al momento dell’esecuzione» – Sergio Negri

La natura e gli autoritratti di Antonio Ligabue

Le immagini delle sue opere sono perfettamente costruite tra la realtà e la fantasia, non c’è niente di realistico ma domina l’eccesso creativo ed emotivo. L’impianto della composizione è classica, in orizzontale, verticale o diagonale tutto eseguito con estrema intelligenza ed attenzione. I soggetti che predilige sono gli animali: domestici da cortile e feroci, le invenzioni della giungla. Poi autoritratti, ritratti, scene di vita quotidiana, il lavoro dei campi, paesaggi campestri. La natura sempre, come sfondo o come natura morta, alberi, fiori, insetti. Non mancano le contaminazioni.

Gli autoritratti sono ricorrenti nell’arco della sua vita. Il primo lo fece durante il secondo ricovero manicomiale nel 1940 su richiesta dell’incisore Luigi Bartolini interessato al suo lavoro. Da allora ne dipinse circa 150 tutti più o meno con lo stesso impianto compositivo. Ligabue si riprende sempre nella stessa posa: a mezzobusto di tre quarti. Lo sguardo è sempre lo stesso allucinato o stupefatto, in ogni caso molto intenso e profondo. L’abbigliamento può variare anche se di poco, lo sfondo è campestre a volte con uccelli volteggianti. C’è sempre un qualche elemento nuovo: o addosso – una mosca, un cappello, una sciarpa rossa – o accanto a un cane, una motocicletta, un cavalletto, la tavolozza. Se un autoritratto non gli viene subito, scaccia con esorcismi gli spiriti maligni.

La ricerca di tecnica e colori

Ligabue impasta colori che modificano la realtà secondo una sua logica forte. Nel terzo periodo fa largo uso di gialli, cadmio e limone, blu di Prussia, terre di Siena. Inventa fusioni e tonalità varie, si prepara i verdi da solo, mai li compra, se non il verde smeraldo.

Secondo una sua tecnica consolidata, prima prepara il cielo sul quale poi applica, con gesti rituali, un disegno d’insieme e poi di getto comincia a dipingere. Dotato di una memoria prodigiosa, immortala quello che vede anche a distanza di anni, riuscendo a riprodurre i minimi particolari.

«Per quanto concerne la tecnica pittorica, infatti, Ligabue non conosce mestiere ed è estraneo a ogni accademia, ma esprime uno stile personalissimo e potentissimo» – Vittorio Sgarbi

Le manie di Antonio Ligabue. Il riflesso animalesco e le automobili della fama

Lo specchio è una sua mania, ne porta sempre uno con sé. Nello specchio si guarda, si scruta e si studia, si prende a modello per esprimersi e riprodurre la propria immagine. Inoltre nello specchio spera di ravvisare una qualche somiglianza con gli animali più amati. Si immedesima in quelli che vuole rappresentare: ne riproduce i movimenti, i versi, la forma. C’è un intima connessione tra lui e le bestie che dipinge.

«Gli animali che vede nella foresta sono simboli di forza, di energia, emblemi di un desiderio di libertà, di riscatto. Ligabue, uomo umiliato ed emarginato, come pittore si afferma e vince attraverso la potenza gloriosa dell’animale» – Vittorio Sgarbi

Le motociclette sono un’altra delle sue manie e se ne serve soprattutto per un modo ante litteram di promozione del suo lavoro. Infatti, appena finito un quadro se lo appende sulle spalle e gira di paese in paese a mostrarlo, affinché tutti lo ammirino. Un giusto compenso per tanta fatica.

Con la mostra di Roma del 1961, presentata da Giancarlo Vigorelli, la sua vita cambia radicalmente. La sua fama si diffonde, i suoi quadri valgono di più e tutti vogliono un leone, un leopardo, una zebra. È in questa fase della sua vita che il pittore acquista tre automobili e stipendia persino un autista per farsi accompagnare nei luoghi dove aveva vissuto come un animale selvaggio. Si avvicina alle donne, cercando disperatamente una compagna.

Il contributo nel mondo dell’audiovisivo

Lo stesso Cesare Zavattini, regista, sceneggiatore, scrittore e giornalista, rimase affascinato da questo personaggio bislacco. Nel 1967 scrisse un testo poetico “Ligabue”, biografia edita da Franco Maria Ricci nel 1968. Da questo racconto fu tratto lo sceneggiato televisivo – diretto da Salvatore Nocita e impersonato dall’attore Flavio Bucci – andato in onda sulla RAI in tre puntate nel 1977 con enorme successo.

“Volevo nascondermi” (2020) con la regia di Giorgio Diritti fu giudicato Film dell’Anno ai Nastri d’Argento. Ha il merito di aver riproposto al grande pubblico la storia tormentata del pittore intrisa di genialità e profonda sofferenza interiore. L’attore Elio Germano nei panni di Antonio Ligabue ne dà una magistrale interpretazione che è stata premiata con l’Orso d’Argento al Festival di Berlino.  

Antonio Ligabue è sepolto nel Cimitero di Gualtieri, dove morì il 27 maggio 1965. Sulla sua tomba appare il seguente epitaffio.

«Il rimpianto del suo spirito, che tanto seppe creare attraverso la solitudine e il dolore, è rimasto in quelli che compresero come sino all’ultimo giorno della sua vita egli desiderasse soltanto libertà e amore».

 

Autore: Anna Amendolagine

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