
Gli scavi di Pompei ed Ercolano, dopo secoli dalla loro scoperta, continuano a sorprendere e affascinare con la loro aura di mistero e sacralità. Non sorprende il peso che nel tempo hanno esercitato sul mondo dell’arte, del collezionismo e della cultura in generale. A partire dalla metà dell’Ottocento gli scavi passarono dall’essere proprietà privata della Corona borbonica a punto di incontro per artisti, amatori e collezionisti. Fu allora che si sviluppò un filone artistico, il Neopompeiano, di cui Sir Laurence Alma-Tadema fu senza dubbio il principale e più noto rappresentante.
Nasce il Neopompeiano di Alma-Tadema
Fu durante il suo primo viaggio in Italia nel 1863 che il pittore anglo-olandese rimase folgorato dalle visite agli scavi di Pompei e al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Un’epifania, una vera e propria manifestazione di qualcosa di grandioso ed eccezionale, che mutò il suo modo di fare arte. Rapito dal carattere domestico, privato e quotidiano degli scavi e delle collezioni del Museo, accantonò i temi storici di ambientazione merovingia o egizia per dedicarsi alla realizzazione di elegantissime scene di genere calate in ambientazioni di stile neopompeiano.
Decisiva in questa “conversione” fu l’amicizia che strinse con Giuseppe Fiorelli, l’allora direttore degli scavi vesuviani. Sotto la cura di quest’ultimo la gestione degli scavi subì un netto cambio di direzione. Oltre ad adottare un metodo archeologico scientifico nella conduzione del lavori di rinvenimento e catalogazione dei reperti, mise a punto la tecnica per ricavare i calchi in gesso, ancora oggi in uso, e aprì le porte degli scavi a chiunque fosse interessato a visitarli. Ecco che la nascita e la diffusione del Neopompeiano coincise proprio con la direzione del Fiorelli.
Da quel momento in poi gli artisti iniziarono acquisire un campionario di immagini e scenari sconfinato, e nel mercato dell’arte andò ad alimentarsi la domanda sia di opere d’ambientazione antica che copie di opere antiche. Questa crescente “febbre” per l’antico traspare particolarmente in un gruppo di opere di Alma-Tadema considerate, già dai contemporanei, dei veri e propri “quadri-museo”.
I quadri-museo. “Appassionato d’arte romano”
“Appassionato d’arte romano” di Alma-Tadema (1868) apre una finestra sull’atrium di un antica dimora, in cui un collezionista enumera i pregi di una preziosa scultura di Afrodite agli ospiti. Dietro la semplice composizione e il chiaro rimando presente nel titolo dell’opera all’amore per l’arte, Alma-Tadema cela un divertissement diretto a tutti coloro che si soffermano a osservare il dipinto. Il vero soggetto dell’opera non è l’appassionato d’arte, ma le opere rappresentate. Analizzando i vari componenti dell’arredo si riesce ad individuare con estrema precisione i grandi capolavori del passato che l’artista ha voluto assemblare in maniera incoerente e anacronistica, in questo interno dal sapore classicheggiante.
Il “Fauno danzante” degli Uffizi è trasformato – in maniera assolutamente arbitraria – nella fontana che alimenta l’impluvium. Il famoso mosaico pavimentale pompeiano “La battaglia di Isso” viene utilizzato a mo’ di quadro come nella sua musealizzazione. Proprio al centro della composizione compare la piccola statuetta di Afrodite, poggiata su un tavolino pieghevole dalle gambe leonine, conservata nelle collezioni dell’Archeologico di Napoli. Queste sono solo alcune delle citazioni che Alma-Tadema inserisce nel dipinto, per stuzzicare l’attenzione dell’osservatore, che inevitabilmente finisce per identificarsi con l’Appassionato d’arte romano.
“La galleria di statue”
Un simile intento è celato anche ne “La galleria di statue” di Alma-Tadema, realizzato nel 1874 per il suo gallerista e rivenditore di quadri Ernest Gambart. Anche qui i temi principali sono la competenza artistica e la passione per il collezionismo degli antichi romani, proiettati sugli amatori contemporanei. Le citazioni di opere esistenti sono davvero sterminate.
Dal grande bacile raffigurante Scilla, su cui è catalizzata l’attenzione di tutti i protagonisti dell’opera, al trapezoforo del tavolo con le gambe di grifone. Dalla porta con cornice ornamentale, ai ritratti di Agrippina Minore e di Pericle. Al di là del vano principale, la galleria offre un campionario completo di lampade in bronzo e candelabri, statuette e busti basati su oggetti domestici trovati a Pompei. Tutti questi elementi sono accostati paratatticamente – senza tenere in considerazione l’accuratezza cronologica, le classi di materiali e la tipologia dell’oggetto – proprio come accadeva nelle gallerie d’arte ottocentesche.
La presenza e l’autoironia di Alma-Tadema nei suoi quadri
Questa tipologia di opere di Alma-Tadema racconta molto di più sulla realtà contemporanea all’artista che sull’epoca da lui rievocata. Il modo in cui sono rappresentate le sculture non è certo utile a ricostruire un accurato scenario storico. Le opere a grandezza naturale, i mosaici, i dipinti, gli oggetti d’arredo fino a giungere agli utensili e ai piccoli cimeli sono un mero assemblaggio di oggetti che segue come unico criterio quello estetico. Tra l’altro gli attori presenti nel dipinto nascondono in realtà i ritratti dello stesso Alma-Tadema e di altri esponenti della sua famiglia. L’artista si rappresenta nella figura seduta col braccio proteso, alla sua destra ritrae il suocero Washington Epps e sua sorella Ellen Gosse. Infine il gruppo di figure in piedi comprende la moglie del pittore, Laura, e le figlie Anna e Laurense.
Presentandosi nei panni di un collezionista d’arte antica, l’autore chiarisce sia la sua posizione in merito alla moda corrente di accumulare opere dal sapore antico, sia il suo reale spirito di pittore dell’antico. Si identifica con la figura del semplice collezionista di antichità, non in quella dell’archeologo. Gode infatti nell’assemblare incoerentemente oggetti e opere del passato, senza curarsi minimamente di dare loro un’interpretazione filologica. In questa operazione non manca anche una buona dose di autoironia. Presentandosicome acquirente piuttosto che come conoscitore della materia, l’autore dipinge se stesso nei panni di un incompetente – e di rimando anche il suo gallerista, che era il destinatario dell’opera! – abbacinato dal fascino e dalla ricchezza del mondo antico.
