Andy Warhol è stato sin dall’inizio una voce fuori dal coro. Si colloca in un contesto storico e geografico imprenscindibile dalla sua fortuna. È stato infatti in grado di dar voce alla realtà storico sociale della seconda metà del Novecento, tempi in cui il consumismo è nato ed ha raggiunto al sua apoteosi. Un fenomeno, prima ancora che economico, sociale, che è entrato sotto la pelle dei cittadini americani e ne ha mutato la filosofia di vita. La caccia al prodotto e il suo acquisto permettevano al compratore di raggiungere una sorta di gloria, di euforia, al pari di una droga. Il prodotto di conseguenza assumeva i connotati di un oggetto di culto, pur nella sua semplicità e serialità.
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In questo contesto nasceva un giovane e timido Andy Warhol. Da sempre libero dalle regole delle mode del momento, nei primi anni della sua carriera fa sorridere pensare che venisse preso poco sul serio e apostrofato con nomignoli come “Andy lo straccione”, “il pubblicitario”, “il vetrinista”. Inoltre – siamo onesti – non si avvaleva tanto meno di un fisico apollineo, come i suoi stessi scatti testimoniano. Ebbene, proprio quel mingherlino ha condizionato tanto l’arte contemporanea da poterla dividere in un “prima di Warhol” e in un “dopo Warhol”.
«Alcuni critici hanno detto che sono il Nulla in Persona e questo non ha aiutato per niente il mio senso dell’esistenza. Poi mi sono reso conto che la stessa esistenza non è nulla e mi sono sentito meglio. Ma sono ancora ossessionato dall’idea di guardarmi allo specchio e di non vedere nessuno, niente.» – Andy Warhol
Andy Warhol, padre e figlio della Pop Art
Il cambiamento epocale a cui il nostro è riuscito a dare voce, si respira anche tra le strade, nelle città. E quale migliore posto nel mondo può rappresentare più di tutti questo fenomeno? New York.
Negli anni della pubblicità e delle icone, dei simboli e della vendita patinata, dove tutto diviene prodotto, New York consente a Warhol anche di entrare a contatto con tante pubblicità – che assimilerà e tradurrà in forma d’arte -, ma soprattuto con celebrità del calibro di Audrey Hepburn con le sue colazioni da Tiffany, Arnlod Schwarznegger, Silvester Stallone, Alba Clemente. La Pop Art non avrebbe avuto fama, se la pubblicità non fosse mai esistita. In un mondo congeniale alla sua arte, Andy Warhol si insinua e ne diventa simbolo lui stesso, ma il successo è raggiunto anche seguendo i consigli delle persone giuste, facendosi amici e nemici nell’ambito, creando un suo stesso brand con la sua storica società.
La Silver Factory rappresenta questo e, come dirà lo stesso artista, ad un certo punto cominciò ad accogliere personaggi come Fonda e Hopper, Barnett Newman e Judy Garland, i Rolling Stones e i Velvetm Undergoriund. Ma la sua attività artistica non si arresta mai, ed ecco che si volge al cinema in qualità di regista. Il protagonista messo in scena è speculare alla sua vita personale. Personaggi spesso al di fuori di sè, confusi in una tempesta di voci poco identificabili, che denunciano una forte crisi interiorie ed un senso di mancata accettazione di sè. Non troppo lontano dalla vita di un ragazzo tanto timido da nascondersi sotto un’enorme parrucca argentata.
Il potere della serigrafia
La tecnica serigrafica ben si inserisce nel quadro tracciato fino ad ora sul nostro artista. In questo modo Warhol prende un prodotto – oggetto di culto – e lo oggettivizza spersonalizzandolo e moltiplicandolo potenzialmente all’infinito. Non esiste più alcun concetto di unicità ed individualità e si piega alle nuove filosofie consumistiche, alle nuove forme di comunicazioni, ad una mentalità di massa globale. In fondo «tutte le Coca-Cola sono uguali e tutte le Coca-Cola sono buone.» Simbolo della tecnica serigrafica è senza dubbio il ritratto di Marilyn Monroe. Il destino volle che Marilyn morì proprio lo stesso mese in cui Andy stava lavorando alla tecnica serigrafica, da lì decise di trarre delle serigrafie dell’attrice: le prime Marilyn.
«La procedura di Andy per fare un ritratto era alquanto elaborata. Cominciava con il mettere il soggetto in posa e gli scattava una sessantina di foto con la Polaroid usando esclusivamente la Big Shot. Da quelle sessanta ne sceglieva quattro e le faceva stampare per farne delle positive 8×10 su acetato. Tra tutte, sceglieva un’immagine, decideva dove tagliarla e poi la truccava per far apparire il soggetto il più attraente possibile: a suo piacimento allungava i colli, rimpiccioliva i nasi, gonfiava le labbra, o schiariva la carnagione. In breve, faceva agli altri quello che avrebbe voluto che gli altri facessero a lui. L’immagine, così deformata veniva quindi portata a un ingrandimento 40×40 e da questo lo stampatore faceva la serigrafia.» – Pat Hackett
La passione per la musica, gli album e le polaroid
La polaroid, compagna fedele e quotidiana della vita di Andy, scatterà personaggi di ogni tipo. Si contano ritratti di grandi personaggi come Man Ray, Keith Haring, Edvard Munch, Lenin. Con “Ladies and Gentlemen”, l’attenzione viene catturata dalle drag queen del The Golden Grape, personificazione della femminilità. “Love You Live” del 1977 raccoglie invece le foto scattate ai Rolling Stones mentre i vari membri della band si mordono parti del corpo. Si possono ammirare foto ritratto di divi come Mick Jagger, Miguel Bosè, Billy Squier, ma anche Grace Jones, Ron Wood, Stevie Wonder.
L’avvicinamento al mondo della musica è rappresentato benissimo dai disegni per le copertine degli album di gruppi come i Velvet Unferground e i Rolling Stones, appunto. Ma scatti vengono realizzati anche in relazione con il mondo della moda. in “Italian Portraits” si possono ritrovare persone importanti del mondo della moda italiana, come Giorgio Armani, Gianni Versace, Valentino, Jean Paul Gaultier. L’italia nella vita di Warhol non sarà punto di riferimento esclusivamente per la moda, ma per l’arte in generale. Si pensi alla passione che pervade le serigrafie su Napoli, “Vesuvius”, rappresentanti il vulcano in eruzione con un’esplosione di colori pop.