Jheronimus Bosch (1453 – 1516) varca le porte del Palazzo Reale di Milano per raccontare la storia di un Rinascimento alternativo, fatto di magia, sogni, perversioni, immaginazione e tanto altro. La mostra – realizzata sotto la direzione artistica di Palazzo Reale e Castello Sforzesco – regala un’opportunità unica per approfondire la personalità artistica del famoso pittore fiammingo e del suo personalissimo linguaggio stilistico.
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In realtà “Bosch e un altro Rinascimento” non è una semplice mostra su Bosch, ma il racconto di una realtà alternativa, complementare, a quella raccontata dai vecchi e datati manuali di storia dell’arte. Il Rinascimento non è la somma di quanto è stato raccontato da Vasari. Non è solo prospettiva centrica, bellezza ideale e canoni compositivi classici
Il Rinascimento è stato anche molto altro. È sbagliato segnare una linea di demarcazione netta tra Medioevo e Rinascimento pensando che tutto ciò che c’è stato di brutto e deforme sia il frutto di una realtà arretrata. Il gusto per il brutto e il bizzarro, “anti-classico”, non si è mai davvero assopito in Età Moderna e le testimonianze di questa tendenza sono numerosissime. Dagli scarabocchi di Leonardo da Vinci al proliferare di grottesche a tema mostruoso alle decorazioni da parata, “il Brutto” è presente in ogni forma d’arte e Bosch, più di ogni altro, fece di questa tendenza la sua cifra stilistica, portandola alla massima espressione.
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Il fenomeno Bosch e un altro Rinascimento
Il “fenomeno Bosch” estese la sua eco oltre i confini Paesi Bassi, fino a toccare le coste del Mediterraneo, anzi, per una curiosa circostanza, la sua fortuna prese piede più tra Spagna e Italia che non nel suo paese d’origine. L’interesse dimostrato per il pittore da Filippo I d’Asburgo proiettò il nome di Bosch in Spagna e di riflesso, grazie a un’uniformità politico-culturale, in tutti i territori dell’impero asburgico. I grandi maestri del Rinascimento “classico”, come Tiziano, Leonardo, Raffaello o El Greco si lasciarono affascinare dal linguaggio originalissimo di Bosch, così come i livelli più alti della committenza artistica e del collezionismo.
Il profondo blu scelto per l’allestimento come un soffice tappeto accoglie le numerose opere in mostra facendo risaltare i caratteristici rosa e azzurri boschiani. Le tre opere di Bosch selezionate per la prima sala della mostra appagano completamente la curiosità del visitatore che, non appena varca la soglia della sospesa e surreale realtà museale, viene catapultato nel magico mondo di Bosch.
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“Trittico delle tentazioni di Sant’Antonio” di Bosh
Ad occupare il centro della sala è il grande “Trittico delle tentazioni di Sant’Antonio”, capolavoro indiscusso del maestro fiammingo ed emblematico esempio del suo modo di intendere la pittura. Il soggetto religioso dell’opera, attraverso stratificati piani di lettura allegorica, racchiude una sagace critica nei confronti della società lasciva e mondana. Opera affascinante per il niente affatto scontato avvicinamento tra la figura di Sant’Antonio e quella di Cristo.
Oltre alle scene della Passio Christi presenti sui pannelli esterni del trittico, la figura di Cristo appare anche nella grotta indicata dal santo, sia nella sua forma divina che nella sua rappresentazione umana crocifissa. L’opera cattura per la straordinaria presenza di figurine tra il curioso il grottesco e il disturbante. La cifra stilistica che certamente contraddistingue l’artista infatti è la sconfinata fantasia che da vita attraverso le sue creazioni a un variegatissimo catalogo di creaturine assurde e bizzarre.
Il Sant’Antonio, cui è dedicato il trittico, è contornato da una caotica accozzaglia di esseri, alcuni nati del rimaneggiamento di materiale iconografico sedimentato nel tempo altri frutto della sbalorditiva fantasia dell’artista, e per cui difficilmente decifrabili nel significato. Un uccello gobbo, con ai piedi dei pattini da ghiaccio ed in testa un imbuto metallico, porta con il becco un cartiglio sigillato e una scritta enigmatica; un demonio a cavallo di pesce con in bocca un pesce, nel guscio di uno strano carapace dotato di ruote, trasporta in una lussuosa carrozza un misterioso passeggero; un uccello deforme divora altri piccoli uccelli non ancora usciti dal loro uovo. Queste e mille altre le immagini evocate nel trittico, opera che ebbe una tale risonanza da essere riprodotta in 40 repliche diverse.
La figura di Sant’Antonio ricompare nella mostra molte e molte volte, sia in altre opere di Bosch che in quelle di altri artisti che ne seguirono il’esempio, e come un fil rouge accompagna l’evoluzione del percorso espositivo segnando le tappe più significative del diffondersi della maniera boschiana nel tempo e nello spazio.
Note sulla mostra
Tra le altre opere di punta della mostra emergono certamente il “Giardino delle Delizie” e il “Trittico del Giudizio Finale” firmate Bosch, ma sono davvero numerosissime le opere esposte di grande pregio, come le stampe di Durer e Pieter van der Heyden o il “Vertumnus” di Arcimboldo. A chiusura della mostra, un’opera audiovisiva di Karmachina, permette di immergersi completamente, per un ultima volta, nell’onirico, fiabesco e spaventoso mondo di Bosch attraverso il “Tríptiko. A vision inspired by Hieronymus Bosch”.
Punto di forza della mostra è sicuramente l’aver riunito in un unico luogo un eccezionale numero di opere autografe del maestro. Sulle oltre cento opere esposte una decina sono quelle firmate Bosch, numero davvero considerevole tenendo presente l’esiguo corpus di opere certamente attribuite al maestro. Alcuni dei prestiti, tra cui le “Meditazioni di san Giovanni Battista” e “La Visione di Tundalo” provenienti dal Museo Lázaro Galdiano di Madrid, sono talmente delicati e preziosi da dover lasciare Milano prima della fine della mostra.
Bernard Aikema, Fernando Checa Cremades e Claudio Salsi, i curatori del percorso espositivo, partendo dal confronto tra i grandi capolavori di Bosch e le opere di sentimento boschiano, mettono in luce lo straordinario successo riscosso dal maestro tra i suoi contemporanei e gli artisti immediatamente a lui successivi.