“Clizia” di Evelyn De Morgan è uno dei suoi quadri più belli e conosciuti. Il dipinto, un olio su tela di 106 per 44,5 cm, rappresenta la metamorfosi della bella ninfa dell’acqua Clizia nel fiore del girasole ad opera del dio Apollo. La storia è raccontata nelle “Metamorfosi” di Ovidio a cui si ispirano molte delle opere scultoree e pittoriche più belle.
“Clizia” di Evelyn De Morgan dalla bellezza preraffaelita
La “Clizia” di Evelyn De Morgan non ha ancora portato a compimento la trasformazione in fiore. I grandi girasoli infatti ancora si abbarbicano tra le gambe e il corpo della ninfa, che nella parte superiore mantiene le sue fattezze umane. Si rivolge con il capo verso il basso, proprio come un fiore che si ripiega sul suo gambo nel pieno della sofferenza d’amore. Ha gli occhi chiusi e appoggia delicatamente le mani sulla testa, quasi a nascondersi timidamente dai raggi del sole e dalla vista di Apollo.
Sembra che Evelyn De Morgan si sia ispirata alla modella Jane Hales per delineare le fattezze di Clizia. Non sorprende, perché la governante della sorella già era stata modella in altri suoi dipinti. Lo stile di quest’opera avvicina l’autrice ai pittori preraffaelliti. Clizia è qui rappresentata con dei lineamenti eterei, delicati al limite dell’impalpabile, quasi che la fragilità interna della donna innamorata si rifletta nell’incarnato sottile e pallido.
Il quadro riprende il mito greco, ma già in precedenza Evelyn De Morgan aveva scelto come soggetti per i suoi dipinti figure come angeli e demoni, dannati e morte, calandoli in contesti fantastici e mitologici. Speso Evelyn – come in “Clizia” – predilige la donna al centro della sua composizione e mostra nella narrativa dell’opera il suo grande interesse per il mistero dell’anima umana, la vita dopo la morte e lo spiritismo.
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Il mito di Clizia e Apollo nelle “Metamorfosi di Ovidio”. Un amore non corrisposto
La pittrice, amante della mitologia antica, racconta nel dipinto l’infelice storia d’amore tra Clizia e il dio Apollo. Infondo, un fiore tanto emotivo come il girasole, non poteva non rappresentare una divinità. Nelle “Metamorfosi” Ovidio narra l’intensa storia d’amore di Apollo, dio del sole, e Clizia, ninfa d’acqua. Per molto tempo il loro amore fu corrisposto, finchè un giorno il dio si allontanò da Clizia, invaghitosi della mortale Leucotoe, figlia del re orientale Orcamo.
Pur di sedurre la giovane mortale, Apollo mutò il suo aspetto assumendo le sembianze della madre di lei per entrare nella sua stanza e avere la possibilità di sedurla. Allo scoprire il tradimento, Clizia fu invasa dalla gelosia e nell’impeto del momento decise di rilevare al re l’unione di Leucotoe e Apollo. A sua volta il re Orcamo reagì stabilendo la morte di Leucotoe: doveva essere seppellita viva per l’azione compiuta. Dal suo sepolcro nacque una pianta che profumava di incenso.
Il dio Apollo perse la sua amata mortale e nel pieno del dolore e della rabbia ripudò Clizia per il suo ruolo nella sorte di Leucotoe. Cercò invano di resuscitare l’amata, perchè il Destino vi si oppose. L’amore di Apollo per Clizia si trasformò in rabbia e non volle più vederla in volto. Intanto Clizia, ancora innamorata e ora non più corrisposta, soffriva. Il suo amore non la faceva rassegnare e il suo dolore la deperiva rendendola inappetente. Clizia si nutriva solo delle sue lacrime e trascorreva le giornate intere, seduta giorno e notte, nell’attesa del passaggio di Apollo sul carro del sole. Ogni alba ed ogni tramonto inseguiva con lo sguardo il dio amato, senza mai distoglierlo.
Il tempo passava e Clizia non perdeva mai di vista il dio del sole. Tutto proseguì finché un giorno il dio Apollo, mosso a pietà dalla ninfa, decise di trasformarla in un fiore capace di seguire con lo sguardo lo spostamento del sole. Clizia – che in greco significa “colei che si inclina” – si trasformò in girasole e, da allora per l’eternità, guarda il suo amore varcare i confini del cielo.
Tanto la qualità pittorica quanto la scelta del mito, rendono “Clizia” di Evelyn De Morgan uno dei suoi quadri più conosciuti. Una pittrice che, per la grande padronanza e potenza delle realizzazioni pittoriche, meriterebbe sicuramente maggiore riconoscimento e maggiore diffusione al grande pubblico.
Evelyn De Morgan: due parole sulla pittrice
Evelyn De Morgan è una delle pittrici inglesi più importanti e raffinate della seconda metà dell’Ottocento. Autrice di scene ambientate in un Medioevo dagli accenti fantastici, ama il mito e predilige dipingere corpi femminili forti e pieni di vigore.
È nata a Londra nel 1855 da genitori dell’alta borghesia. Le fu impartito un insegnamento basato su latino, greco, francese, tedesco e italiano, e amò da sempre la pittura. Questo interesse fu contrastato dalla madre, mentre il padre sostenne la sua ambizione e iniziò a pagarle lezioni private di disegno. Nel 1973 la iscrissero alla Slade School of Arts di Londra.
Evelyn tuttavia era un’allieva ribelle, sopportava a fatica le restrizioni sociali imposte alle donne. Testarda e caparbia, Evelyn lavorò in segreto, chiusa nella sua stanza, in una condizione quasi di prigionia, che la accomuna a molte delle eroine da lei ritratte. Fu infatti grande sostenitrice delle lotte femminili e partecipò attivamente alle lotte per il voto alle donne.
È facile oggi cogliere riferimenti personali ne “La gabbia dorata – The Gilded Cage”, dove una giovane donna maritata a un uomo molto più anziano di lei (come lo era l’artista nella realtà) osserva con invidia la libertà di un gruppo di zingari che vede danzare dalla finestra. Morì a Londra il 2 maggio del 1919, dopo aver completato più di 100 dipinti e innumerevoli schizzi preparatori e disegni.