
Le 4 tele con gli Amori di Giove del Correggio
Antonio Allegri da Correggio, intorno al 1530, iniziò la serie delle 4 tele con tema gli Amori di Giove. Si tratta di una serie di tele volute da Federico Gonzaga, figlio di Isabella, che a quei tempi aveva da poco acquisito il titolo di duca di Mantova.
Federico Gonzaga commissionò al pittore Correggio quattro tele con soggetto i vari amori di Giove. Per lo storico Vasari, le tele erano destinate all’imperatore Carlo V, ma in realtà sembra che il vero destinatario fosse lo stesso Federico. Il duca, figlio di Isabella, era particolarmente affezionato a questo ciclo che probabilmente doveva essere composto in origine da più delle 4 tele che si conoscono odiernamente. A testimonianza di ciò vi sono delle lettere in cui si può leggere che dopo la morte del pittore, il duca tentò con ogni mezzo di recuperare dei cartoni preparatori con il tema degli amori di Giove preparati dal Correggio per lui.
Il racconto dei sentimenti
I grandi e molteplici amori di Giove diventano protagonisti di opere che dimostrano la bravura dell’artista nell’elevare ad un certo livello la pittura erotico-mitologica. Gli Dei e i personaggi mitologici sembrano più umani, si possono scorgere nei loro momenti più propri, nella loro intimità, scoprire i loro segreti e intenzioni, osservarli negli istanti in cui si lasciano andare ai piaceri della vita, unendosi alle diverse forme che Giove ha acquisito di volta in volta per congiungersi con stupende fanciulle. La bravura di Correggio è stata nel raffigurare i sentimenti in queste circostanze e temi con una grazia e una sensibilità non così comuni. Usando accortezze quali il chiaro-scuro, una particolare attenzione per la resa della luce e creando un’atmosfera quasi incantata realizza una vera poesia. Correggio è riuscito a rendere percettibile, vicino ed umano ogni sentimento riprodotto che viene compreso soltanto grazie alla sua maestria pittorica.
Il mito di Giove e Danae
Giove, per unirsi con diverse fanciulle e per sfuggire all’ira di Giunone, assume di volta in volta diverse forme. In quest’opera Danae è sdraiata e, appoggiandosi con la nuda schiena su due cuscini, accoglie nel proprio grembo Giove sotto forma di pioggia d’oro che viene giù da una nuvola sospesa sopra al letto. Ai sui piedi è raffigurato un genio alato che, alzando il lenzuolo, facilita l’unione tra i due. In basso due piccoli putti ignari di ciò che sta avvenendo, giocano con una lavagna di ardesia e una freccia. Lo storico Vasari in merito a quest’opera afferma che il duca di Mantova volesse farne dono all’imperatore Carlo V in occasione della sua incoronazione. Tuttavia non avvenne mai questo dono e non vi sono documenti che dimostrano l’intenzione di farlo.
Il mito di Leda e il Cigno
Leda seduta su un drappo di color rosa accoglie nel suo grembo Giove con le sembianze di un cigno. A destra sono raffigurate delle ninfe che si bagnano in un ruscello, a sinistra un Cupido alato è impegnato a suonare la lira e due putti soffiano in cornetti. La bravura del pittore non è solo di raccontare in modo così sensibile queste avventure extraconiugali – che Giove spesso si concedeva -, ma la maestria è nel raffigurare in modo così veritiero ogni dettaglio. Le morbide piume di color bianco del grande cigno sembrano così vere da poterle accarezzare. Tra il 1726 e 1731 il figlio del duca d’Orléans, scandalizzato da questa raffigurazione, decise di distruggere la tela provocando la perdita totale della testa di Leda. Nonostante i restauri, la testa non fu più simile all’originale, dato che fu ridipinta in posizione diversa. Da riproduzioni precedenti all’accaduto, si nota che la testa di Leda, realizzata dall’Allegri, era maggiormente inclinata conferendo maggiore sensualità alla figura.
Gli Amori di Giove del Correggio. Ganimede e l’Aquila
Con uno sfondo di paesaggio che rimanda a quello di tipo leonardesco, Correggio fa svolgere la scena con il giovane Ganimede che sospeso in aria si aggrappa ad una possente aquila. Il rapace è una diversa forma che Giove ha acquisito per unirsi al suo giovane amante. Il paesaggio alle loro spalle è rischiarato, ma con minor chiarore rispetto alla luce che illumina le due figure principali, mettendo in contrasto la carnagione chiara del giovane e le piume scure dell’animale.
Il mito di Giove ed Io
Quest’opera ha le medesime misure del “Ganimede”. Si ipotizza che la tela con protagonista l’unione tra Giove e la ninfa funga da pendant a quella con protagonista l’unione tra il giovane e il rapace. La ninfa Io viene raffigurata seduta su un lenzuolo di color bianco, disteso su una porzione di terra, mentre si unisce a Giove. Il Dio, di cui si può leggermente intravederne il viso, questa volta ha usato le forme di una nuvola. Il tutto avviene sulla riva di un torrente, difatti si può notare una testa di cervo occupato a bere. La decisione di questi secondari elementi occorre al pittore per dimostrare che esiste uno spazio al di fuori della scena, facendo in tal modo stimolare l’immaginazione. Una forte luce illumina la schiena nuda e seducente della donna, il resto della scena è invece sui toni scuri. Nella figura della ninfa risiede sicuramente un rimando alla statuaria antica dato che nelle raffigurazioni con soggetto amoroso la rappresentazione del nudo femminile di schiena era comune.