
Sin dalle popolazioni più antiche, rupestri o nelle raffigurazioni egiziane e mesopotamiche, il cane nella storia dell’arte è sempre stato raffigurato attribuendo diversi significati, tutti legati al suo animo gentile. Nell’arte egiziana è persino connesso ad un Dio, Anubi, protettore della morte. Rappresentato con corpo da uomo e testa di cane, accompagnava i defunti nell’aldilà. Oltre ad accompagnare, il Dio doveva stabilire il peso del cuore del defunto, se era degno di passare al regno di Osiride. Il suo animo e compito è sempre nobile, come la sua natura, fedele compagno dell’uomo.
“I coniugi Arnolfini”. Una delle prime apparizioni del cane nella storia dell’arte
“I coniugi Arnolfini”, opera del celebre pittore Van Eyck, del 1434 sita al National Gallery di Londra, è sempre stata conosciuta per la magistrale rappresentazione dei due coniugi. Quindi ci si è sempre focalizzati sulla loro raffigurazione, sulle tante ipotesi del significato della coppia, delle attese future, se la mano sul ventre indicasse una gravidanza o meno. Per non parlare dell’astuto marchingegno adoperato dal pittore di inserire quello splendido specchio alle spalle dei due, che dilata lo spazio, rendendoci testimoni di ciò che c’è al di qua di esso e facendoci diventare spettatori dell’evento.
Tuttavia un particolare è stato messo poco in luce, o spesso dimenticato: ai piedi dei due coniugi c’è un cagnolino, proteso verso il lungo vestito verde della donna, con un pelo lungo e scuro, guarda lo spettatore. È vicino la sua amata padrona, ma guarda l’estraneo, colui che ammira cotanta bellezza e bravura artistica, fa entrare lui stesso lo spettatore. I suoi occhi piccoli, ma così espressivi, ricordano l’anima di questo splendido animale, da sempre amico fidato dell’uomo. Difatti ogni animale ha sempre incarnato una caratteristica, una peculiarità dell’animo, come si può ricordare studiando le favole che hanno come protagonisti gli animali, e il cane nella storia dell’arte ha sempre incarnato la fedeltà.
Il cane accanto la Dea di Tiziano. “La Venere di Urbino”
L’opera “La Venere di Urbino” di Tiziano (del 1538 sita agli Uffizi) è un chiaro rimando alla “Venere di Dresda” di Giorgione del 1507. La donna, rispetto al modello originario giorgionesco, è carica di sensualità, completamente nuda e stesa sul letto sfatto. Non è più in dormiveglia, anzi è sveglia, con i lunghi capelli che scendono sul corpo. Lo sguardo sensuale attira lo spettatore, fissandolo con fare ammiccante. Tutti gli elementi che ricordano la Dea sono accompagnati da alcuni realistici: le ancelle che prendono dei vestiti dal baule e un cagnolino accoccolato sul letto accanto alla Dea.
Un cucciolo, con un manto color latte e qualche macchia scura, dorme sul letto, acciambellato ai piedi. È un dettaglio che smorza questo clima sensuale. Il cane è simbolo di fedeltà ed in questa veste che il pittore lo inserisce nell’opera. L’atto di far cadere le rose dalle mani della Venere ricorda la bellezza fisica che piano piano svanisce, quindi suggerisce di basare il proprio amore non su questo elemento fugace, ma su qualcosa che può resistere: la fedeltà. Appunto, Tiziano ricerca sempre la fedeltà nelle sue tele, qui incarnato magistralmente e per eccellenza dal cane.
Il dinamismo di Balla diventa canino
Francesco Sapori facendo visita al pittore descrive l’opera “Dinamismo di un cane al guinzaglio” di Balla (1912, sita a Buffalo) come una delle maggiori tele fondamentali nell’ambito della ricerca del dinamismo. Lo stesso artista confessa che quando espose per la prima volta l’opera non ottenne il consenso di tutti, anzi molto lo credettero impazzito. L’opera vede come protagonisti un cane al guinzaglio, portato a spasso dal padrone.
Entrambi sono influenzati dalla ricerca sul movimento operato da Balla, ma anche dal Futurismo, sua corrente artistica di appartenenza. Del padrone si notano i piedi e parte del vestito, ma il vero protagonista da ammirare in toto è lo splendido cane dinamico. Un muso lungo e un manto scuro, una coda lunga che si agita su e giù, le zampette create con un movimento da non farle percepire. Per la forte dinaminicità non se ne intuisce il manto, il pelo se è lungo o corto, la grandezza degli arti. Le zampe sono il simbolo del movimento che bisogna inserire nell’arte.
Il Cocker spaniel guarda Andy Warhol. Ed è subito amore
Il grande artista, Andy Warhol, anima della Pop Art, sceglieva con cura i propri soggetti, connessi al messaggio di consumismo e della realtà di quel tempo. Come lui stesso ammise, fece eccezione per la raffigurazione del suo cane, che raccontò di aver comprato e non di essersi recato ad un canile per compiere un’opera di misericordia. Affermò di essersene innamorato immediatamente tanto da spingerlo a comprarlo, come un oggetto qualunque. Tuttavia questa “compravendita” ha del sentimentale, tanto da spingerlo ad abbandonare in questa occasione il suo solito stile.
Il suo cane è il primo animale ad essere stato raffigurato dal pittore, ed è il primo che entra come testimone della sua produzione artistica. C’è un precedente. Quasi 30 anni prima Andy Warhol aveva realizzato una serie di “Dog Paintings” (1948), e 20 anni prima un libretto dedicato ai suoi numerosi gatti (1954). Subito dopo realizzò altre opere del genere ma su commissione, come un qualunque quadro da comperare. Invece nell’opera “Cocker spaniel” (1976) il cane ha una certa importanza. Lo conferma il punto di vista ribassato, che dona vanto al suo manto color caramello, folto e peloso, la cui trasparenza lascia intendere il volume del pelo. Sembra maestoso e regale, in contrasto con il suo muso dolce, gli occhi languidi di chi ammira il padrone, gli occhi di chi non conosce altro che gratitudine e fedeltà.