
Il “Martirio di sant’Orsola” di Caravaggio (1610) rappresenta il lascito dell’artista all’umanità. È l’ultimo quadro dipinto da Michelangelo Merisi, morto nello stesso anno, e proprio questo dà all’opera un’accezione tutta particolare. Purtroppo, e inspiegabilmente, non è tra le sue opere più conosciute, ma certamente si distacca dal resto della sua produzione per il modo nuovo di rappresentare la scena religiosa -priva della calda luce e grazia con cui riveste solitamente i santi- e la profonda cupezza che domina l’atmosfera, riflesso di un animo tormentato.
Nel corso dell’ultimo restauro sono venuti alla luce alcuni dettagli prima scomparsi per la grossolana conservazione. Il dipinto infatti era stato realizzato da Caravaggio in fretta e furia e consegnato con la pittura non ancora del tutto asciutta. Per velocizzarne l’asciugatura, i servi del committente Marcantonio Doria esposero il quadro al sole, causandone il pessimo stato di conservazione. Il restauro ha svelato delle scritte sul retro della tela con la data 1610 e le iniziali del committente M.A.D., ma soprattutto ha portato nuovamente alla luce la mano e il braccio destro dell’uomo accanto alla santa, nell’atto di arrestare l’uccisione, i drappeggi sullo sfondo e le sagome di due teste a destra e sinistra dell’uomo citato (alla sua destra si nota un capo velato, alla sua sinistra il riflesso di un elmo).
Che storia narra il Martirio di sant’Orsola? Il rifiuto che le valse la morte
La tela racconta con orrore e moderna dinamicità un momento estrapolato dalla tradizione. Si assiste all’attimo in cui Sant’Orsola viene uccisa da Attila per aver rifiutato di essere sua sposa. La scena si stringe sull’impassibile presa di coscienza da parte della Santa nel guardarsi la ferita e sull’immediato rimpianto di Attila nel compiere il gesto fatale. La storia per intero viene tramandata anche nel testo della Legenda Aurea di Jacopo da Varazze, XIII sec. Durante un viaggio di ritorno da Roma avvenne il martirio. Insieme ad 11.000 compagne vergini, sant’Orsola venne fermata alle porte della citta di Colonia, assediata e conquistata da Attila. Il Re degli Unni fece ferocemente trucidare le 11.ooo compagne ma risparmiò lei, invaghitosi della sua bellezza e pensando di farla sua sposa. Il rifiuto di sant’Orsola, che si era già segretamente consacrata a Dio, porterà alla sua morte.
L’iconografia tradizionale di sant’Orsola la raffigurava coi soli simboli del martirio o in compagnia delle altre compagne uccise. Caravaggio invece sceglie di rappresentare il momento solo della sua morte con una forte carica realistica, trasportando la vicenda nella dimensione terrena e senza rimandi alla santità o al martirio.
Il “Martirio di sant’Orsola” di Caravaggio emerge dall’oscurità
La scena si mostra dall’oscurità. Il complesso gioco di luci mette in evidenza sant’Orsola, ma con una luce bianca che accentua la realtà moribonda di lei, corpo esangue, privandola anche del calore divino. I suoi carnefici sono invece lasciati nell’ombra, un’oscurità non solo materiale, ma anche spirituale. Per certi versi il “Martirio di sant’Orsola” riporta alla mente la “Flagellazione di Cristo”, anche qui gli altri personaggi vengono risucchiati dal buio e l’unico ad essere illuminato è Cristo, ma in questo caso da una luce calda.
Sia Attila che i soldati vestono abiti del ‘600, ciò non deve sorprendere troppo perchè molti artisti dell’epoca erano soliti attualizzare i loro dipinti in questo modo. Oltre che con Caravaggio, questo espediente lo si ritrova con Rubens, Luca Giordano, Guido Reni, e Artemisia Gentileschi.
Il momento ritratto da Caravaggio si svolge probabilmente nella tenda del Re unno, dal momento che si nota a stento sullo sfondo un drappeggio. Attila ha appena sferrato la freccia con l’arco, il viso è aggrottato in un’espressione sorpresa e di rimorso. È un momento di umanità inattesa che rimane in ombra, a suggerire che sia troppo tardi per pentirsi. Sant’Orsola piega la testa in avanti, verso la ferita, in un gesto istintivo ma indecifrabile, per alcuni con la pace interiore di chi già sà cosa sarebbe accaduto, per altri con la stessa incredulità che colse San Pietro nella “Crocifissione di San Pietro” (Caravaggio).
Nei lineamenti del soldato alle spalle della santa si riconosce il viso di Caravaggio, diventando quindi l’ultimo autoritratto del pittore. Il soldato è addolorato, come se anche lui fosse stato colpito dalla freccia; un dolore non solo fisico, ma anche spirituale. Si nota una mano, avanti la santa, nel gesto di fermare l’azione e l’uccisione. Questo dettaglio è comparso dopo il restauro, probabilmente la mano è del personaggio alla destra di sant’Orsola, che guarda di sbieco accanto a sè, anzi, precisamente tra sè e Attila. In questo punto si intravede quasi un capo velato. Si pensa che si tratti di una donna, Santa Cunera, sfuggita anche lei al massacro di Colonia e poi salvata dal re Radbod di Frisia.
La commissione
Il “Martirio di sant’Orsola” di Caravaggio forse non tra le sue opere più osannate, ma sicuramente tra quelle da lui più sentite. È un quadro che lascia una sensazione scomoda allo spettatore, si sente quasi di essere un intruso, di star sbriciando dal buco della serratura. Nel 1609 Caravaggio era a Napoli, e qui rimase per un anno prima di partire per Porto Ercole dove morirà.
In questo periodo napoletano si colloca la realizzazione del “Martirio di sant’Orsola”, oggi conservato presso la galleria di palazzo Zevallos a Napoli. Il quadro fu realizzato da Caravaggio su commissione del banchiere genovese Marcantonio Doria. Per un periodo è stato erroneamente attribuito a Mattia Preti, ma Ferdinando Bologna fortunatamente ne confermò la paternità caravaggesca dopo una visita nella tenuta dei baroni Romano-Avezzano a Eboli, che erano venuti in possesso della tela.