Il “Narciso” di Caravaggio, la solitudine di un amore fatale

Narciso di Caravaggio, Michelangelo Merisi

Il “Narciso” di Caravaggio è stato attribuito a Michelangelo Merisi dallo storico d’arte Roberto Longhi. Attualmente è conservato a Roma all’interno della Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini. Realizzato con una tecnica a olio su tela, l’opera risale al periodo storico che si aggira tra il 1597 e il 1599 e misura 92 x 112 cm. Altri studiosi d’arte attribuirono il dipinto a diversi artisti quali Orazio Gentileschi, Niccolò Tornioli e Spadarino. La figura di Narciso è stata nel tempo fonte di ispirazione per svariati artisti, dai più antichi fino a coinvolgere i modern, tra cui anche scrittori, musicisti e poeti letterari.

«Né vasto tratto di mare, né lungo cammino, né monti, né mura di città con porte sbarrate, ci separano, bensì siamo disgiunti da poca acqua.» – “Le Metamorfosi” di Ovidio

“Narciso” di Caravaggio. Il mito

Nella mitologia greca Narciso è un cacciatore amante delle passeggiate solitarie nei boschi, rinomato specialmente per la sua bellezza. Esistono differenti versioni, ma il mito più diffuso narra la storia di uno splendido fanciullo nato dall’amore tra la ninfa Liriope e il dio fluviale Cefiso. Mentre il figlio cresceva a vista d’occhio di uno splendore disumano, la madre consultò l’oracolo Tiresia affinché la bellezza del figlio potesse durare in eterno. Fu allora che Tiresia pronunciò la seguente profezia che immancabilmente si avverò:

«Narciso vivrà molto a lungo e la sua bellezza non si offuscherà. Ma il giovinetto non dovrà più vedere il suo volto» – “Le Metamorfosi” di Ovidio

Narciso, consapevole di questo dono disdegnava tutte le sue corteggiatrici. Anche Eco, la più belle delle ninfe, si innamorò perdutamente di lui al primo sguardo, logorandosi per questo amore non ricambiato. Eco non riusciva a farsene una ragione, lo seguiva nei boschi pur di vederlo, lo aspettava in una caverna, invano. Narciso però si mostrava sempre incurante di lei e questo atteggiamento gli costò l’ira degli dei. La punizione scelta per lui fu di farlo innamorare di se stesso. Così, un giorno, mentre stava passeggiando vicino al fiume, incontrò lo sguardo di un bel giovane nel riflesso delle acque cristalline di un lago. Avvicinando il suo volto tentò di baciarlo, ma cadde nel fiume annegando. Al suo posto nacque un fiore, ancora oggi conosciuto con il nome di Narciso.

Dallo stile all’importanza del dettaglio

Per quanto riguardo il “Narciso” di Caravaggio, attira l’attenzione dello spettatore in particolar modo per la scelta oscurata della scena dominante, la cui luce anziché ricadere sull’intera composizione, sembra quasi capovolgersi solo su determinati dettagli, come la gamba e l’ampia manica a sbuffo. Lo sguardo del protagonista è immerso e coinvolgente, in dubbio sull’identità della figura a cui sta per avvicinarsi e che lo trarrà in inganno, come racconta il III libro delle “Metamorfosi” di Ovidio. L’abito è tipicamente rinascimentale, i colori sono chiari e conferiscono una leggera luminosità alla totale composizione. La bocca è dischiusa e la raffigurazione tende a cogliere l’attimo prima del bacio, pochi secondi prima del tragico finale.

Il formato verticale della tela conferisce la nascita di una figura quasi perfettamente doppia, l’aspetto dello sdoppiamento è perfettamente curato dall’artista nei minimi dettagli, facilmente osservabile con le pieghe della manica della camicia, riprodotte nel loro esatto rovesciamento. Il dipinto è il simbolo di una grande originalità per la scelta scenografica e per la solitudine in cui viene immerso il personaggio. Narciso è solo, nel buio, il nero dello sfondo annulla ogni contesto, ogni riferimento ad “altro” che non sia lui. Nessun altro elemento è capace di distogliere lo sguardo dello spettatore, che si ritrova catapultato nella contemplazione dell’intera opera d’arte cinquecentesca rendendo questa pittura eterna.

«Attonito fissa sé stesso e senza riuscire a staccarne gli occhi rimane impietrito come una statua scolpita in marmo di Paro. Disteso a terra, contempla quelle due stelle che sono i suoi occhi, i capelli degni di Bacco, degni persino di Apollo, e le guance lisce, il collo d’avorio, la bellezza della bocca, il rosa soffuso sul niveo candore, e tutto quanto ammira è ciò che rende lui meraviglioso. Desidera, ignorandolo, sé stesso, amante e oggetto amato» – “Le Metamorfosi” di Ovidio

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