Cosa pensava Keith Haring dell’arte?
Keith Haring -se writers o graffitista ancora se ne parla- considera l’arte un dono di tutti e per tutti. Le attribuisce un potere curativo sugli uomini e sul mondo. Agendo positivamente sull’umore delle persone, l’arte dona loro la capacità di realizzare cose belle per il mondo circostante, contribuendo in questo modo alla sua trasformazione. Perché se si sta bene con se stessi, se si è in pace con la propria anima, si è in grado di fare del bene anche a chi ci sta intorno.
«Mi è sempre più chiaro che l’arte non è un’attività elitaria riservata all’apprezzamento di pochi. L’arte è per tutti e questo è il fine a cui voglio lavorare.» – Keith Haring
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Che cosa sono i writers? Cosa disegnano? La prima domanda per capire Keith Haring
Keith Haring arriva a New York a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta nel pieno boom del movimento writer. In realtà all’inizio questa definizione viene appiccicata con fare dispregiativo dai giornalisti ad un gruppo di ragazzi neri, portoricani o newyorkesi che rivendicano la loro diversità. Si esprimono realizzando tags, ossia firme dei loro pseudonimi in uno stile calligrafico molto individuale per differenziarsi gli uni dagli altri.
Negli anni finiscono con identificarsi come writers i giovani che utilizzano qualsiasi superficie dove sia possibile “lasciare un segno”, preferibilmente sui muri delle stazioni e sulle carrozze della metropolitana di New York. Si tratta di ragazzi appartenenti a classi sociali disagiate che “sporcano” la città per protestare contro la società che li emargina, provocando così spaesamenti e rischi tra i passanti.
La differenza tra writers e graffitismo
Quello dei writers è un mondo completamente autoreferenziale. Non può essere definita una corrente artistica vera e propria e non si identificana nemmeno con il “graffitismo”, altro movimento. Scopo dei writers è quello di “bombardare” con le loro firme più superfici possibili, e al contempo impossibili (per collocazione).
Una competizione giostrata con parametri non-artistici, ma premiante la quantità, la dimensione dei pezzi, la ripetizione ossessiva del tag, l’unicità e la personalità della firma. Quest’interesse fa sì che il tag diventi sempre più illegibile. Un wildstyle in cui le lettere sono sempre più deformate e arricchite da ornamenti quasi baroccheggianti.
Quando nel 15 settembre 1973, guidati dal sociologo Hugo Martinez, i più grandi writers del tempo tennero la loro prima mostra collettiva alla Razor Gallery, il cambiamento è inevitabile. Mostrati i un museo, i tags perdono il loro senso.
Creare su commissione, stravolge l’identità stessa dei tags e dei writers. Il contesto per questa forma d’espressione è fondamentale. L’adrenalina e il rischio corso per dipingere sui treni non è replicabile in una mostra. D’altro canto la visibilità museale, il compenso economico in cambio dell’opera, sembra nobilitare il prodotto. E così, in una ricerca artistica diversa, si comincia a parlare di graffiti writing.
Cosa c’entra Keith Haring con i writers?
Haring si inserisce in un contesto in cui le gallerie d’arte hanno bisogno di una novità da cui ripartire, e i writers -la cosiddetta novità- sono indecisi tra il “vendersi” in mostra e il preservare la purezza del movimento. Keith Haring è bianco, giovane, comprensibile. Dei writers riprende solo il mezzo attraverso cui esprimersi (strade, stazioni, muri), ma non lo stile e la tecnica, senza contare che evita il rischio di “scrivere” in posti illegali e inaccessibili.
Questa semplificazione è perfetta per i galleristi che gli danno la fama di writer -perchè è ciò che serve loro-. Nella realtà le differenze sono inconciliabili tra l’arte di Haring e il movimento dei graffiti writers. Keith non firma le sue opere, si avvale di uno stile e di un metodo diverso e, soprattutto, si limita a disegnare sui muri, nelle stazioni, ma fondamentalemente sempre in posti “legali”.
Il Bambino Raggiante, simbolo e significato
Si potrebbe definire Keith Haring l’eterno bambino dell’arte. Le sue opere sono la pura rappresentazione della gioia di vivere tipica dell’infanzia. Se si pensa a lui, subito appaiono i suoi omini, piccoli pupazzi dalle fattezze umane, ma è con uno in particolare che si identifica l’artista.
Il “Radiant Boy” di Keith Haring -letteralmente “bambino raggiante”- rappresenta il bambino interiore, libero e pieno di vita. Canta e balla in “Dance”, abbraccia e ama in un “Untitled” o in “Heart”, vivendo in maniera libera e spensierata dagli obblighi e dalle convenzioni.
Inizialmente dipinto come figura isolata, il Radiant Boy viene rappresentato come un bambino nell’atto di gattonare, circondato da raggi che si irradiano verso l’esterno. Diventa una sorta di simbolo di grazia divina. La figurina stilizzata ne esprime tutta la vitalità ed energia. Il suo muoversi per celebrare la vita prosegue attraverso il processo della nascita e della crescita, segna una sorta di speranza per un futuro migliore.
Il Radiant Boy di Keith Haring va in guerra
«I bambini sanno qualcosa che la maggior parte della gente ha dimenticato.» – Keith Haring
La estrema semplificazione grafica delle persone, le rende soggetti universali, non è possibile infatti distinguerle per sesso, etnia o età. Gli omini di Keith Haring si ispirano a motivi tribali e agli amati personaggi della Walt Disney. L’arte di Haring è un invito a vivere la vita come un’anima libera, dando spazio all’immaginazione, uscendo dagli schemi per vagare con la fantasia, proprio come i suoi omini.
Se da un lato gli omini invitano a vivere la vita con la leggerezza dei bambini, dall’altro lo stesso bambino raggiante viene inserito in contesti molto più oscuri. Il Radiant Boy comincia a rappresentare il simbolo di lotte e battaglie contro alcuni temi sociali dell’epoca. Si parla dell’AIDS, di droghe (“Crack is Wack”), ma anche di guerra e violenza -come il murale realizzato nel 1989, in occasione della caduta del Muro di Berlino- e addirittura della bomba atomica. Il Radiant Boy rappresenta sempre un barlume di speranza, di riscatto dal male, pur assaporando l’intensità angosciante e frustrante della miseria umana.
Con la malattia la salute di Haring peggiora di volta in volta, così anche l’energia dei suoi omini diventa sempre più esasperata. Il “Tuttomondo” è l’ultimo inno alla vita di Haring. Fonde l’uomo-bambino con creature mostruose in una grande metafora dell’eterna lotta tra bene e male nella recondita speranza che l’arte possa salvare il mondo, o per lo meno renderlo migliore, invogliando «le persone ad andare lontano con la fantasia», come lui voleva.ù
Il rapporto con Andy Warhol
Se Keith Haring crea il suo modo di fare arte studiando in parte il mondo tribale e in parte quello dei graffiti writers, Andy Warhol si considera il papà della Pop Art.
Entrambi frequentano (chi più, chi meno) il mondo sub-urbano in fermento per il graffitismo e i writers. Keith Haring sta ancora formando la sua identità artistica, ma Andy Warhol è semplicemnte attratto da un brulicare di nuove espressioni che possono essere interessanti influenze. È in questo contesto che i due si conoscono e da questa amicizia nascono due progetti in comune.
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“Andy Mouse” di Keith Haring e Martin Burgoyne
“Andy Mouse” di Keith Haring è dedicata nel 1986 all’amico Warhol, un mito e un maestro da emulare. L’opera nasce dalla fusione dell’amico con il Topolino della Disney. “Andy Mouse” fa parte di una serie di 4 serigrafie su carta e banconote da un dollaro, tutte firmate sia da Keith Haring che da Andy Warhol. Le immagini in stile cartone animato, fortemente contaminate della Pop Art, rappresentano una chiara volontà di realizzare un’arte popolare e democratica che ironizza sulla società capitalista guidata dal denaro.
È sempre nel 1986 che i due artisti si trovarono a collaborare per un altro importante progetto artistico. Si tratta della realizzazione di biglietti d’invito ad un party. Warhol e Keith Haring ritraggono Martin Burgoyne, il giovane e promettente artista organizzatore della festa, affetto da AIDS. Keith, nonostante tutto, sceglie di raffigurarlo in una celebrazione della vita, dell’amore e dell’amicizia. Mentre sul retro Andy Warhol realizza un ritratto più composto ed elegante.




