
Siamo abituati a concepire le grandi correnti artistiche come qualcosa di ormai ben codificato e lontano anni luce dal nostro mondo contemporaneo. Molti vedono l’arte come una dea sacra che va solo contemplata. Gli artisti di un tempo sono oggi considerati solo come tanti nomi di un elenco in milioni di libri stampati, ma guardando più in profondità possiamo considerarli come anime già predisposte capaci di conciliare l’abilità tecnica ad un istinto che ha permesso la formazione di nuovi linguaggi figurativi. Le biografie degli artisti – come in questo caso le “Lettere a Theo” – ci aiutano a comprendere chi erano dal punto di vista umano e Vincent van Gogh, grazie alla copiosa fonte epistolare che ci ha lasciato, ci consente di andare oltre il dato cronologico e di indagare la sua anima.
Il fitto epistolario ci ha aiutato a capire il suo mondo interiore, espresso attraverso un modo tutto nuovo di fare pittura. Gli artisti hanno il merito di aver contributo a rendere la vita osservabile da un altro punto di vista. Grazie a loro si può imparare ad alzare il velo dell’idealizzazione, fondamentale se si vuole comprendere la trama vera che si nasconde dietro opere grandiose. Eppure si tratta innanzitutto di persone la cui vita era popolata, come la nostra, da incontri ed occasioni, fortune avverse, dolori e soddisfazioni. Vincent van Gogh come pochi è stato capace di comprendere il vero significato della vita e di trasmettere la sua incredibile “umanità”, fortemente segnata da tante sofferenze.
Vincent van Gogh, un rapido sguardo alla sua vita
Il 30 marzo 1853 Vincent van Gogh nasce a Groot Zundert, nel Brabante olandese. Nell’ottobre del 1864 entra nel collegio di Zevenbergen, ma alcuni documenti mostrano che il 15 settembre del 1866 si iscrive alla scuola presbiteriale di Tilburg. Proviene da una famiglia molto religiosa, ed il suo modo estremo di concepire il sacro lo porta a continui fraintendimenti ed incomprensioni con il mondo reale. La sua formazione spirituale è stata molto condizionata dall’ “L’imitazione di Cristo”
«Se hai modo di procurarti l’Imitazione di Cristo, leggila: è un libro splendido, che illumina. Esprime tanto bene… La bellezza di combattere la Santa Lotta per dovere e la grande gioia che si raggiunge se si è caritatevoli e si compie bene il proprio dovere.» – “Lettere a Theo” di van Gogh
Il destino lo vuole inserito in un contesto artistico già nel 1869, quando è assunto come apprendista nella filiale della Goupil, azienda del mercato dell’arte contemporanea. Vincent vendeva riproduzioni di opere d’arte. Le “Lettere a Theo”, il fratello, costituiscono una fonte insostituibile da cui attingere per comprendere a fondo la sua personalità. Il confronto con l’arte francese avviene nel 1875, quando si trasferisce definitivamente nella sede parigina di Goupil. Abita a Montmartre e tappezza la sua stanza con riproduzioni di Corot, Rembrandt e Millet.
Le difficoltà pratiche che affronta sono soprattutto sul piano economico. Dopo il licenziamento dalla compagnia per cui lavora, accetta il denaro soltanto dall’amato fratello Theo per una cifra variabile dai cento ai duecento fiorini. Ci sono molte lettere in cui chiede espressamente i colori per dipingere, non avendo modo di acquistarli personalmente. Sul piano sentimentale le sofferenze iniziano quando conosce una prostituta di nome Sien, incinta, con un figlio, ed alcolizzata. La aiuta facendola diventare la sua modella in “Sorrow”, ossia “Tristezza”. L’arte, dunque, non può che essere una straordinaria manifestazione dell’animo umano incorniciato dalle influenze di un preciso momento storico.
Lettere a Theo. I 30 anni
I dolori che hanno popolato la vita di Vincent van Gogh attraversano in trasversale diversi aspetti della sua esistenza, eppure alcuni risultano molto familiari. Leggendo le confessioni che scriveva con amarezza al fratello, si avverte un senso di angoscia, un lieve male di vivere di un ragazzo che deve affrontare da solo questa delicata fase della vita.
Tra le numerose ed importanti lettere scritte a Theo, ce n’è una dell’8 febbraio 1883 che risale ai suoi trent’anni.
«A volte non posso credere di avere solo trent’anni, mi sento più vecchio. Mi sento più vecchio solo quando penso che la gente che mi conosce mi deve considerare come un fallito e che potrebbe veramente essere così se le cose con volgeranno al meglio; e quando penso che potrebbe essere così, lo sento con tale intensità da rendermi tanto depresso e sconsolato come se già lo fossi davvero.
Quando sono più calmo e in uno stato d’animo più normale, a volte mi sento contento che siano passati trent’anni, e non senza avermi insegnato qualcosa per il futuro, e mi sento una forza e una energia bastevoli per i prossimi trent’anni, se vivrò tanto a lungo…ma al tempo stesso un capitolo della propria vita è chiuso; rende tristi il pensiero che alcune cose non torneranno più… Beh, molte cose iniziano in realtà a trent’anni e indubbiamente non tutto è finito allora.
Ma non ci si può aspettare dalla vita quanto già si è imparato che la vita non può dare; piuttosto si inizia a vedere con sempre maggior chiarezza che la vita non è che una specie di tempo di seminagione e che non è in essa la messe. È forse questo il motivo per cui a volte non ci si cura dell’opinione del mondo e che se l’opinione ci deprime troppo, si può benissimo scrollarsela di dosso.»