
L'”Ebe” di Antonio Canova è la dea dell’eterna giovinezza, scelta dal noto scultore veneto per essere immortala nel marmo. Una delle sue più celebri opere in grado di mitizzare Ebe in un spazio temporale tra cielo e terra, tra dei e uomini. Anche questa scultura conferma la bravura innata di uno scultore, portavoce del Neoclassicismo, in grado di creare opere eterne come quelle degli antichi maestri greci.
«O Canova immortal, che addiettro lassi/ L’italico scalpello, e il greco arrivi/ Sapea, che i marmi tuoi son molli, e vivi.» – Ippolito Pindemonte
Chi era Ebe nella mitologia greca. A passi leggeri nel mito di Ebe
Figlia di Zeus e di Era, Ebe, in greco ἡβη, che come suggerisce il significato etimologico personifica l’eterna giovinezza. Le fu concesso nell’Iliade, da parte degli Dei dell’Olimpo, il ruolo di coppiera. La sua vera mansione, tuttavia, è quella di divina ancella di Era. Nella mitologia più tarda il ruolo di coppiere fu conferito a Ganimede, nonostante il cambio Ebe resterà a prescindere per eccellenza la dea personificatrice della bellezza, della giovinezza e dispensatrice di piacere, da cui ogni Dio dell’Olimpo poteva attingere. Legata sentimentalmente ad Eracle, dopo l’avvelenamento da parte di Deyanira, Ebe divenne la nuova moglie dell’eroe.
La statua “Ebe” di Canova. Descrizione e significato della Dea della giovinezza
Antonio Canova decise di immortalare nel marmo la figura della Dea nel momento della discesa sulla terra. Le sue vesti sono gonfie, per poter sottolineare il suo movimento, il suo incedere è elegante e il panneggio è accompagnato dal vento. Il vestito mosso si contrappone al morbido e rifinito busto. Il volto è indifferente, decorato con una pettinatura ricca e impreziosita. La fanciulla sorregge con una mano un’anfora, come le antiche sculture greche, rimarcando l’origine del soggetto dal mondo ellenico, e con l’altra una brocca di bronzo. Il bronzo venne adoperato ancora per arricchire il collo con una collana e la ricca capigliatura con un nastro. Una novità, un piccolo dettaglio che fa risaltare il marmo bianco latteo o, al contempo, potrebbe “stridere” proprio per la purezza del candido marmo.
Il grande pregio dello scultore veneto fu quello di rendere concreta, visibile a tutti gli sguardi, veritiera la più insigne, se non unica, caratteristica di questa Dea: la giovinezza. La “Ebe” di Canova libra tra cielo e terra, tra dimensione ultraterrena e quella terrena, tra gli uomini e gli Dei. Il tutto è arricchito dal suo stile classico, il vero Neoclassicismo di cui Canova diviene il rappresentante. Delicatezza e prontezza sono le due chiavi fondamentali che rendono l’opera così meravigliosamente realistica. La Dea vola leggera, senza il peso del suo leggiadro corpo e della veste che le copre parte delle fresche spoglie, incede lesta e l’osservatore stesso può accorgersene.
“Ebe” di Canova fu commissionata nel 1816 dalla contessa Gaurini per abbellire il proprio palazzo sito a Forlì. Dopo un probabile spostamento, in un secondo momento la scultura venne venduta. Un primo marmo con lo stesso soggetto, sito attualmente all’Ermitage, fu comprato da Joséphine de Beauharnais nel 1802 e successivamente entrò a far parte delle collezioni di Alessandro I di Russia.
Le diverse riproduzioni dell'”Ebe” di Canova
Dello stadio definibile come “creativo” di Antonio Canova vi è una certezza di autenticità documentabile grazie ai numerosi disegni autografi siti in diversi musei che fanno conoscere il processo creativo dello scultore. Studia il vero, l’antico, i modelli, il passato e avvia il proprio processo fecondo. In un secondo momento viene creato il primo bozzetto, necessario per comprendere l’andatura del progetto e per poter realizzare la scultura, ma soprattutto farlo a grandezza naturale. Si è pronti alla realizzazione del modello in argilla a grandezza naturale che verrà successivamente eliminato con la fabbricazione della forma.
Lo scultore creava rivestimenti in gesso ricoprendo il modello in argilla, distrutto successivamente cavato dall’interno della forma. La forma viene poi riempita di gesso liquido: nasce così il modello a grandezza naturale fatto di gesso solidificato, ma il particolare più importante sta nella forma che si prestava nuovamente ad essere riempita per altri esemplari. Spiegato il processo, è lampante comprendere come possano esistere uguali sculture, quasi gemelli monozigoti, situati in diversi musei, in diversi territori, ma tutti di mano dello scultore veneto. Tutte, tuttavia, conservano l’estro originario, l’ideazione primaria, tutte inedite opere originate da un processo intellettivo.
Antonio Canova. Sintesi tra antico e moderno
Naturalismo ed eleganza vivono al contempo nella stessa opera, nei gruppi, nei tanti rilievi creati in modo così semplice, non forzato, che confermano la sua decantata e famosa bravura. Un realismo così vero da far spingere a ipotizzare – la critica – che Canova realizzasse le sue opere fornendosi di calchi prodotti su corpi viventi. Una bravura innata, perfetta, come lo era quella dei grandi maestri del passato, degli scultori greci. Un ritorno dell’antico, delle regole dell’arte inimitabile, di un’arte che tutti gli scultori hanno cercato di riecheggiare.
È puro Neoclassicismo Antonio Canova, non nella speranza di riportare in vita un periodo florido e indimenticabile, ma nella consapevolezza di rapportarsi con un’assenza. Si è confrontato con un tempo andato, inarrivabile, quasi di un’altra dimensione, e con questa consapevolezza è stato in grado di misurare la distanza da un tempo così inafferrabile e dare vita ad una nuova arte. Allora, dopo aver capito la lontananza, Antonio Canova fu in grado di creare figure eteree, di una diversa dimensione. Ancora oggi delizia tutti i comuni mortali di una bellezza che gli antichi erano riusciti a rendere perpetua. Sguardo sul futuro, tenendo stretto il passato. Nasce così un’arte senza precedenti, ideale, una sintesi tra ciò che è stato e ciò che è, in cui il tempo moderno diventa antico.
Autore: Antonella Mazzei