
Nel VII secolo d.C. Ono no Imoco, ambasciatore Giapponese, si trovò a dover vivere per diversi anni in Cina per svolgere il suo lavoro. Quando tornò aveva negli occhi ancora i favolosi fiori e le piante imponenti che adornavano i grandi templi buddisti. Fu allora che decise di ritirarsi sulle colline di Kyoto e di dare origine ad un’arte che è sopravvissuta, mutevole e essenziale com’è, fino ai giorni nostri. Nacque così l’arte Ikebana.
Ikebana, il significato e le origini
Per comprendere il significato dell’Ikebana si deve risalire alla composizione della parola. Il termine Ike significa “comporre”, “vivere” o “rendere visibile la vita”, mentre Hana significa “fiore”. Così l’etimologia del temine Ikebana suggerirebbe il significato di “rendere visibile la vita dei fiori”.
L’Ikebana nasce per fare offerte volitive agli dei, prima nella religione shintoista e poi in quella buddista. Con il tempo però la tecnica dell’Ikebana ha perso il suo stretto legame con il mondo religioso per divenire una forma d’arte a sé stante con una sua evoluzione, le sue correnti e le sue specifiche espressioni. Tuttavia non ha mai perso il suo significato simbolico e filosofico. Fare una composizione di fiori, in Giappone, non è semplicemente un gesto tecnico o artigiano. Si tratta piuttosto un momento di silenzio interiore che celebra, con rispetto e deferenza, l’equilibrio perfetto della natura e del suo ciclo vitale.
L’arte di rendere visibile la vita dei fiori
Il primo elemento, il più importante di tutti, è il sentimento di equilibrio ed armonia che deve accompagnare ogni creazione. Non a caso l’Ikebana divenne presto la massima espressione della meditazione zen, nonché rito di purificazione per lo spirito dei samurai. Ma, a parte la filosofia generale, nelle composizioni esistono simboli specifici.
In genere una composizione Ikebana contiene tre steli: il più lungo, che rappresenta il legame con il cielo, il più corto che ricorda il contatto necessario con la terra e uno stelo di media grandezza che rappresenta l’uomo, in divenire tra le due cose. Ogni creazione ha un elemento protagonista ed altri elementi complementari, persino i piccoli fiorellini in basso sono parte integrante del tutto. Ma le singole parti non sono “in competizione”, ma in rapporto olistico tra loro.
L’obiettivo è di comporre un sistema ternario, cioè di creare un triangolo raccordato ai vertici, usando meno steli e foglie possibile. L’impressione dev’essere che tutti gli elementi nascano da un unico tronco. I concetti più importanti da tenere perenti sono profondità, spazio ed asimmetria. Nell’arte dei fiori l’asimmetria è un importantissimo canone di bellezza, perché è proprio nel gioco di vuoti e pieni che nasce la bellezza, una bellezza fatta di sottintesi, come una danza. L’asimmetria è un modo per esortare a non aver paura del vuoto, tutto dev’essere in divenire, come nella natura.
In effetti un’altra accortezza dev’essere quella di prediligere, nella ricerca dei fiori più adatti, i boccioli. Perché le composizioni d’arte Ikebana sono fatte in modo tale che le piante possano anche crescere e sviluppare il loro ciclo di vita all’interno della creazione. Scegliere fiori “appena nati” permette di ammirare la loro crescita ed il loro mutare; i fiori appassiti, al contrario, darebbero un’idea di morte.
Le diverse scuole e stili di quest’arte antica
La scuola fondata dal monaco buddista Senkei Ikenobo risale al 1462 ed è la più antica e rinomata del Giappone. Si rifà allo stile nagerie, la cui frase guida è “poco è meglio“, perché il suo stile si rifà alle idee estetiche essenziali di eleganza, semplicità e spiritualità. La raffinatezza delle sue opere era tale da richiamare nel suo tempio, a Kyoto, pellegrini da tutto il Giappone.
Tra gli stili più noti ricordiamo lo stile rikka, caratterizzato da creazioni molto grandi che venivano usate per lo più per decorare i templi o le case dei nobili. Alla base delle opere viene usato spesso il kenzan, un sostegno per inserire i fiori e far scorrere l’acqua. L’idea base è la verticalità. Lo stile shoka, nato nel XVII secolo, conserva l’idea originaria di semplificare quanto più possibile l’arte per permettere alle piante di crescere e mostrarsi nella loro semplicità.
Nel XVI secolo Sen no Rikyū, grande maestro al servizio di un famoso samurai ebbe l’idea di semplificare la cerimonia del tè adornando la stanza adibita a consumarlo con un unico tralcio di fiori. Ne nacque lo stile chabana – cha “té”, hana “fiori” – le cui realizzazioni sono composte da un solo bocciolo con accanto foglie verdi. Infine, nel 1869, il capitano Perry entrò con quattro navi a Tokyo. Questo, purtroppo, costrinse il Giappone ad aprirsi all’Occidente; ma furono portati anche per la prima volta sull’arcipelago i fiori e le piante del vecchio continente. Sorse, in quest’occasione, lo stile moribara – letteralmente “fiori ammassati” -, che viene considerato anche oggi simbolo del Giappone moderno.