
Le sei sculture comunemente denominate “Prigioni” o “Schiavi” sono oggi conservate tra il Louvre di Parigi e la Galleria dell’Accademia di Firenze. Sono il risultato di una commissione di Michelangelo realizzata tra il 1513 e il 1530, al fine di ornare un grandioso mausoleo commissionatogli da papa Giulio II.
Il papa per la propria sepoltura voleva un monumento spettacolare, memore del famigerato mausoleo di Alicarnasso, che celebrasse il proprio nome e imprese nella basilica di San Pietro. Varie vicissitudini tuttavia hanno fatto sì che queste sculture non uscissero mai dalla bottega del maestro e che il mausoleo, come immaginato in un primo momento, non vedesse mai la luce.
I “Prigioni” di Michelangelo. Una commissione senza fine da papa Giulio II a Leone X
Dopo la stipula del contratto nel 1505, il giovane Michelangelo Buonarroti trascorse ben 6 mesi presso le cave di Carrara a scegliere personalmente i blocchi di marmo da utilizzare. Ma l’entusiasmo per quell’importante commissione in Michelangelo si assopì presto a causa dei contrasti che si presentarono con il suo committente. Dopotutto due personalità facilmente infiammabili – entrambe ricordate dalle fonti per la loro “terribilità” – difficilmente potevano andare d’accordo a lungo.
Buonarroti ebbe addirittura il coraggio, o la scelleratezza, di disubbidire al Pontefice e fuggire dall’Urbe, pur di non ledere il proprio orgoglio. Tutto ciò aveva dell’inaudito: mai nessun artista aveva osato contraddire un papa. Eppure Michelangelo, con la sua caparbietà, riuscì a instaurare con il suo autorevole committente un rapporto quasi paritario. Convintosi a ritornare a Roma, dopo aver ricevuto un breve da Giulio II in cui garantiva al maestro l’immunità nel caso del suo ritorno in città, non si dedicò comunque al monumento funebre. Nel frattempo aveva ricevuto un altro incarico dal papa: il rifacimento della volta della Cappella Sistina.
Il progetto di papa Leone X
Il fato volle che Giulio II non vedesse mai il suo desiderato monumento funebre. Michelangelo infatti riprese a lavorare alla sepoltura solo nel 1513, quando ormai il pontefice era deceduto. Il suo successore Leone X si interessò poi di stipulare un nuovo contratto. Il nuovo papa non era certo interessato a celebrare il suo predecessore con un gigantesco mausoleo piramidale posto al centro del presbiterio di San Pietro, per cui cambiò alcuni termini dell’antico contratto. Modificò, ad esempio, l’impaginazione dell’opera che da piramide di marmi, sculture e rilievi intorno alla camera mortuaria, venne ridisegnata come un monumento funebre a parete.
L’imponenza della commissione a Michelangelo da parte del Leone X era un cambio di progetto altrettanto considerevole. Dal contratto si evince che stavolta la tomba doveva essere ornata da 40 statue di dimensioni più grandi del vero. I tre Prigioni “Mosè”, “Schiavo ribelle” e “Schiavo morente” si trovano al museo del Louvre. Invece i quatto “Prigioni” conservati alla Galleria dell’Accademia appaiono sostanzialmente diversi da quelli del Louvre soprattutto per il loro grado di finitura. Eseguiti tra gli anni ‘20 e l’inizio dei lavori al “Giudizio Universale” della Sistina, non vennero mai portati a compimento dal Buonarroti. La causa risiede nelle molteplici limitazioni apportate nel tempo al programma figurativo del monumento funebre dai papi che susseguirono e dagli stessi eredi di Giulio II.
La commissione di Michelangelo più lunga e travagliata
Prima di giungere alla versione definitiva della tomba -realizzata infine a San Pietro in Vincoli e non a San Pietro- ci vollero 6 fasi progettuali diverse e ben 40 anni di lavoro.
I “Prigioni” dunque non corredarono mai la sepoltura di Giulio II. I primi due realizzati in ordine di tempo vennero donati da Michelangelo a Roberto Strozzi, che li porto con sè. Gli altri quattro restarono a Firenze e vennero ereditati dal nipote dello scultore, Lionardo, per confluire poi nell’enorme collezione scultorea de’ Medici.