
Quando pensiamo ad un artista, associamo al suo nome il titolo di una sua creazione. Dietro ogni opera però, si celano pensieri, emozioni, sensazioni che hanno ispirato l’artista portandolo a compiere l’atto creativo. È questo il caso dello scultore Francesco Jerace che nel corso della propria carriera artistica ha dato forma ad una serie di busti muliebri, da lui stesso definiti “ideali”, perché espressioni di un’idea, di un sentimento, di una lirica o anche di una melodia. Tra questi, “Era di maggio” di Francesco Jerace è una fusione di poesia, musica e arte. Racconta l’amore romantico sognato nei versi di Salvatore Di Giacomo e nelle melodie di Mario Costa.
“Era di maggio” di Francesco Jerace. Dalla musica in scultura
È il maggio del 1886 quando il giovane scultore polistenese Francesco Jerace, giunto a Napoli per studiare al Real Istituto di Belle Arti, venne ammaliato dalle dolci note di una delle più celebri canzoni che la tradizione napoletana ci ha donato. Si tratta di “Era di maggio”, poesia composta da Salvatore Di Giacomo e musicata da Mario Pasquale Costa, divenuta celebre sin dalla sua prima edizione nel 1885. Non è difficile quindi immaginare come si sia imbattuto in queste note e melodie tra i vicoli dei quartieri napoletani. Giunto nel suo studio, mentre ancora canticchiava tra sé e sé la canzone risuonante tra i palazzi nei dintorni, realizzò l’omonima opera, uno dei capolavori della scultura ottocentesca napoletana.
Le ritrovate memorie scritte dall’artista, raccontano che “Era di maggio” di Francesco Jerace fu realizzata inizialmente in terracotta sulla spinta immediata ed energica dell’ispirazione. La scultura raffigura il volto di una fanciulla che posa con gli occhi socchiusi, le labbra schiuse che accennano un leggero sorriso, la testa reclinata languidamente all’indietro con una capigliatura fluente ondulata. A guardarla sembra quasi di scorgerla nell’attesa di un bacio, del bacio del suo innamorato in una sera di maggio.
«Core, core! Core mio luntano vaie
Tu me lasse e io conto l’ore chi sa quanno turnarraie!
Rispunnev’io: “Turnarraggio quanno tornano li rose
Si stu sciore torna a maggio pure a maggio io stonco ccà»
La scultura non è statica, ha un’anima palpitante e del petto gonfio se ne percepisce il respiro. Il modellato morbido e la luce che sfuma in impercettibili passaggi donano all’opera un’aria sospesa e leggera. Dalla prima terraccotta di “Era di maggio”, Francesco Jerace realizzò altre versioni più tarde in marmo. Una è custodita presso il Municipio di Reggio Calabria, mentre l’altra è oggi presso Palazzo San Giacomo a Napoli.
“Era de maggio” di Salvatore Di Giacomo e Mario Costa. L’attesa di un amore sognato in poesia
Poeta, drammaturgo e saggista italiano, Salvatore Di Giacomo, fa parte di quell’esiguo numero di scrittori che rinnovarono la poesia in Italia. Fu autore di notissime poesie scritte utilizzando il dialetto napoletano, che ne limitò e ne limita ancora la fortuna letteraria. Venne infatti definito, in maniera riduttiva, un “poeta dialettale”, una qualifica che gli è rimasta appiccicata addosso. Al tempo stesso, però, è stata proprio la lingua napoletana un mezzo di diffusione inaudita per la poesia del suo tempo.
I suoi intramontabili versi d’amore sono stati portati al di là degli oceani dalle canzoni napoletane divenute celebri nel mondo. È questo il caso di “Era de maggio”, la cui ispirazione è stata definita addirittura petrarchesca. Una poesia molto bella, ma difficile da mutare in canzone. Ci riuscì Mario Costa, dandole una melodia tesa ed arabeggiante, derivante da alcuni canti schiettamente popolari.
«Era de maggio, e te cadeono ‘nzino
a schiocche a schiocche li ccerase rosse,
fresca era ll’aria e tutto lu ciardino
addurava de rose a ciente passe.
Era de maggio, io, no, nun me ne scordo,
‘na canzone contàvemo a ddoie voce;
cchiù tiempe passa e cchiù me n’allicordo,
fresca era ll’aria e la canzone doce.»
“Era de maggio” di Salvatore Di Giacomo parla di passione autentica e sentimenti popolari. Racconta in poesia la romantica e sognata storia d’amore tra una fanciulla ed il suo innamorato in procinto di partire per il servizio militare. È maggio, il mese delle rose, e i due ventenni si ritrovano in un giardino colmo di ciliegie, sofferenti, si preparano a dirsi addio con la promessa di ritrovarsi nello stesso luogo, ancora a maggio, per rinnovare il loro amore. Segue una seconda parte dove i due innamorati si ritrovano e si promettono amore eterno. È ancora maggio, e il loro amore risboccia proprio come fanno le rose in quel periodo, ogni anno.