
Vincitore del Premio Oscar, del BAFTA per la “Migliore sceneggiatura non originale” e del Grand Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes, “BlacKkKlansman” di Spike Lee dà vita alle vicende narrate nel libro di Ron Stallworth. Si tratta di un’indagine degli anni ’70 effettuata dall’autore stesso, il primo detective nero nel Dipartimento di Polizia di Colorado Springs, che riuscì ad entrare nel Ku Klux Klan con l’aiuto di un suo collega bianco. Si è di fronte ad una storia inverosimile ma reale, divertente ma al tempo stesso drammatica. Il titolo del film, inoltre, unisce la parola Black (nero) a Klansman (membro del Ku Klux Klan), inserendo una “k” intermedia e andando così a formare l‘acronimo “KKK”.
«Vogliono un nero che entri nel Ku Klux Klan, è una mission impossible.» – Ron
Un’introduzione alla “Via col Vento”
La pellicola si apre sulle immagini di “Via col Vento”, con un aspect-ratio di 1:1,37. La scelta non è accidentale. L’opera del regista Victor Fleming manifesta l’ideologia americana ai tempi della Guerra di Secessione, che vede gli afroamericani ad un livello inferiore rispetto ai bianchi. Si noti, ad esempio, la figura di Mami interpretata da Hattie McDaniel, prima donna afroamericana a vincere un Oscar. È evidente che la rappresentazione dei neri sul grande schermo è sempre quella di schiavi o servi, ma soprattutto di persone ignoranti e spesso violente. Pertanto, Hattie McDaniel fu criticata da alcuni membri della comunità afroamericana, perché accettando quel ruolo aveva incrementato gli stereotipi razziali verso i neri.
Un altro motivo per cui viene scelto “Via col vento” è la Guerra di Secessione stessa. Questa vide schierati da una parte gli Stati Uniti d’America e dall’altra gli Stati Confederati. Gli ex combattenti della Confederazione formarono nel 1865 la prima versione del Klan che durò fino al 1874. Lo scopo era quello di aiutare coloro che erano rimasti colpiti dal conflitto, attuando però una politica di segregazione razziale. Successivamente nel 1915 si sviluppò la versione di cui vengono mantenute le ideologie. Sono quindi discriminati, non solo i neri, ma anche gli ebrei e altre minoranze.
“BlacKkKlansman” di Spike Lee. La storia vera degli anni ’70
L’inquadratura si allarga nel formato Cinemascope e una carrellata aerea porta alla vista di un marciapiede dall’alto. Qui arriva il protagonista della storia: il giovane Ron Stallworth (John David Washington), che guarda un cartello della Colorado Springs Police Force. Sin da questa scena si possono notare alcuni elementi particolari. L’abbigliamento e la capigliatura di Ron sono tipici degli anni ‘70. “BlacKkKlansman” di Spike Lee è ambientato nel 1972, anche se la storia reale è avvenuta nel 1979. I vestiti, insieme al marciapiede che fa da sfondo, mostrano già un’eterogeneità di colori presenti in tutta la pellicola. Si hanno colori caldi quali il giallo, il marrone e il rosso, e colori freddi come il blu, l’azzurro e il grigio. Tutti molto carichi, vividi e ben definiti, e danno alla pellicola una spiccata intensità.
Si vive l’atmosfera degli anni ‘70, in special modo, nella sequenza che vede Ron e Patrice (Laura Harrier) ballare in un locale. Sulle note di “Too late to turn back now” del gruppo soul Cornelius Brothers & Sister Rose e sotto delle luci rosse, i giovani si divertono ad improvvisare i passi tipici dell’epoca, e cantano in un ambiente piacevole che dà anche allo spettatore un senso di benessere.
Luci in contrasto con sfondo nero
Le luci sono distribuite omogeneamente sia sui personaggi e gli oggetti che sullo spazio circostante. Invero, le ambientazioni sono illuminate in modo equo per cui è possibile distinguere senza difficoltà gli oggetti presenti, anche quando lo sfondo è leggermente sfocato. Diverso è il caso del dettaglio. Si ricordi il momento in cui Flip Zimmerman (Adam Driver) e Ron appuntano al muro foto e ritagli dell’indagine. Un giornale che mostra David Duke (Topher Grace) e successivamente la tessera di iscrizione al KKK vengono presentati uno alla volta su uno sfondo interamente nero. Ciò avviene per marcare l’importanza degli oggetti. Un pezzo di carta può sembrare banale, ma sia per Ron che per Flip ha un valore particolare. Entrambi risentono in prima persona dell’attività dell’Organizzazione. È questo che ha spinto Ron ad iniziare l’indagine e al tempo stesso è ciò che porta Flip ad identificarsi più apertamente come ebreo.
Altrettanto si ha con i primissimi piani condivisi tra due o più giovani dell’Unione Studenti Neri del Colorado College, durante il discorso dell’attivista Stokely Carmichael (Corey Hawkins) – conosciuto anche come Kwame Ture -. Lo sfondo è completamente nero, la luce è focalizzata soltanto sui volti dei giovani presenti. Sono concentrati sulle parole di Kwame, ne sono toccati. Sono incoraggiati dalla forza e dall’emozione, date dalle sue argomentazioni, a combattere contro le ingiustizie.
«È arrivato il momento per voi di smettere di scappare dall’essere neri. […] Potere nero vuol dire anche che dobbiamo unirci […] per combattere il razzismo, per combattere i nostri oppressori. […] Se non sono per me stesso, chi lo sarà? Se sono per me stesso soltanto, chi sono io? Se non ora, quando? E se non tu, chi? […] Tutto il potere a tutto il popolo.» – Kwame Ture
Le inquadrature multiple
Durante le telefonate di Ron Stallworth con Walter Breachway (Ryan Eggold), o con David Duke, si ha uno sdoppiamento della scena che permette al pubblico di vedere contemporaneamente entrambi. Si tratta di inquadrature multiple. Tale separazione si ha attraverso una linea centrale, che pone un carattere a sinistra e uno a destra, o una linea obliqua, che porta i personaggi in angoli opposti: in alto a sinistra e in basso a destra. È un espediente utilizzato soprattutto per contrapporre i ruoli, per sottolineare le diverse espressioni e sensazioni.
Da un lato, c’è un suprematista bianco la cui ideologia si basa sulla volontà di voler formare un’America bianca. Dall’altro lato, si ha un detective nero che, contro ogni logica, fa parte del Ku Klux Klan – venendo impersonificato dal suo collega Flip – per conoscerne i progetti e agire contro di esso dall’interno. Non è un caso che durante l’indagine del detective Stallworth non ci fu alcun rogo di croci, alcuna attività rilevante da parte del White Power – la scena della bomba non avvenne nello stesso periodo dell’indagine ma fa comunque riferimento ad un fatto accaduto -.
“BlacKkKlansman” di Spike Lee. Il significato dell’ultima telefonata
È doveroso sottolineare l’importanza dell’ultima telefonata. Dopo che il capo della polizia (Robert John Burke) ferma l’indagine, chiede a Ron di distruggerne le prove. I detective sono tutti interdetti e delusi. Lo stato d’animo di Ron è scandito da “Main Theme – Ron” di Terence Blanchard. Prende il rapporto e, mentre il telefono inizia a squillare, lo strappa. Ripone il resto nella sua valigetta ed esce dall’edificio con decisione. Si ferma all’uscita, torna indietro e subito dopo è al telefono con David Duke. Circondato da Flip, Jimmy Creek (Michael Buscemi) e il sergete Trapp (Ken Garito), Ron Stallworth gli rivela la sua vera identità, rifacendosi ai termini utilizzati dallo stesso Duke.
«Quel negro detective, per caso, sa come si chiama? […] è Ron Stallworth. Brutto razzista, bifolco, cazzettino, microfallo, di un grandissimo figlio di puttana!» – Ron
Questo episodio non c’è mai stato in realtà. Probabilmente, è una piccola rivincita che il regista Spike Lee ha voluto dare a Ron Stallworth, costretto in realtà a tenere l’indagine nascosta e ad eliminarne le prove – alcune delle quali tenne per sé e sono esposte nel libro -.
Il riferimento al cinema muto con “The Birth of a Nation”
Nel lungometraggio, si fa spesso riferimento al film muto “The Birth of a Nation” del 1915, diretto da David Wark Griffith. Nella pellicola il personaggio di Ben Cameron (Henry B. Walthall) dopo aver visto dei bambini coperti con un lenzuolo spaventare dei bambini neri, decide di creare il Ku Klux Klan per proteggere i bianchi e ostacolare gli afroamericani. Un’altra vicenda vede Gus (personaggio nero interpretato da un bianco Walter Long) avvicinarsi ad una ragazza. Lei per sottrarsi all’uomo si butta da un precipizio. Gus scappa, ma alla fine i membri del Klan lo prendono, lo condannano e lo giustiziano.
In “Blackkklansman” il film muto viene visto dai membri del Klan durante l’iniziazione di “Ron”. Questa scena viene alternata al discorso dell’attivista Jerome Turner (Harry Belafonte) che racconta di Jesse Washington. Ciò avviene perché il Klan prende come esempio la pellicola e infatti il giovane Jesse subì un destino simile a quello di Gus, se non peggiore. Tale contrapposizione mostra Jerome Turner e l’Unione Studenti Neri lottare contro il razzismo, mentre il Klan incita al disprezzo.
Un nuovo genere, Black Exploitation
È evidente dalle inquadrature, dai colori e dai costumi, che si ha un riferimento al Black Exploitation. Spesso criticato per il contenuto carico di stereotipi, il genere del Black Exploitation nacque intorno agli anni ‘70. Difatti, il movimento Black Power per i diritti civili influenzò anche il cinema. È proprio in quegli anni che i neri ricoprono dei ruoli di rilievo nelle opere cinematografiche e ne diventano anche protagonisti. Vengono introdotti temi quali questioni politiche e sociali. Non è un caso, quindi, che Ron e Patrice citino: “Shaft” (1971), “Super Fly” (1972), “Hit Man” (1972), “Cleopatra Jones” (1973) e “Coffy” (1973).
“BlacKkKlansman” di Spike Lee omaggia chiaramente il genere nell’ultima scena. Qualcuno bussa alla porta di Ron. Lui e Patrice prendono delle pistole e vanno in corridoio. Affiancati, si avvicinano alla finestra quasi fluttuando. Le immagini sono ricoperte da una patina e l’aspetto invecchiato è incrementato da diverse macchie nere, come se la pellicola fosse consumata. Arrivati alla finestra – sotto le note di “Photo Opps” di Blanchard – vedono dei membri del Klan che bruciano una croce. Poco dopo vengono mostrate immagini del 2017, ad evidenziare che l’odio e il razzismo sono tutt’oggi presenti.
«Let’s all be in the right side of history. Make the moral choice between love versus hate. Let’s do the right thing.» – Spike Lee, Oscar 2019