
Il coreografo Mauro Bigonzetti, con la compagnia dell’Aterballetto da lui diretta, ha dato vita alla “Comoedia Canti”, un progetto triennale di ricerca per rappresentare la “Divina Commedia” di Dante Alighieri in chiave “danza”. Un viaggio attraverso cui, l’uomo, con la sola purezza del movimento corporeo, ritrova se stesso. Un percorso di consapevolezza diviso in tre parti, proprio come il poema dantesco. Partendo dall’Inferno (1998) e passando per il Purgatorio (1999), questo viaggio trova il suo compimento all’arrivo nel Paradiso (2000, anno del giubileo).
“Comoedia canti” di Mauro Bigonzetti. La Divina Commedia a passi di danza
Mauro Bigonzetti ha dedicato tre anni allo studio e alla ricerca di ogni cantica. È nel 2000, dopo aver eseguito un lavoro di sintesi sulle sue stesse coreografie, che porta in scena per la prima volta l’intero spettacolo con tutte le cantiche della “Divina Commedia”, in occasione del festival di Montpellier. Nella “Comoedia Canti” il coreografo giustappone il viaggio dell’uomo attraverso la propria anima a quello allegorico di Dante. Così, dalle sofferenze, il travaglio e lo smarrimento iniziato negli Inferi, si sale in Paradiso, dove l’anima è purificata, armonica e partecipa con forza e consapevolezza al ritmo vitale che Dio ha donato all’umanità.
Sulle musiche di Bruno Moretti, Dimitrij Shostakovich e Johan Sebastian Bach, la “Comoedia Canti” si apre con i danzatori disposti in cerchio. In questo modo viene richiamato lo stato di “sospensione nel limbo” in cui si trovano le anime dei dannati nell’Inferno dantesco. Una voragine infernale ospita le anime dei pagani, dei virtuosi e dei bambini morti senza battesimo – che quindi non hanno commesso alcun peccato -che non subiscono nessuna pena, ma sono comunque esclusi dalla salvezza e vivono l’eternità sospesi nell’inappagabile desiderio di veder Dio, emettendo continui sospiri profondamente inquieti.
«Per me si va ne la città dolente, per me si va ne l’etterno dolore, per me si va tra la perduta gente» – “Inferno”, Canto III
La scena ideata da Bigonzetti gode della drammaturgia di Nicola Lusuardi e di costumi e scenografie di Claudio Parmiggiani. Qui i danzatori, vestiti solo di drappi color carne, si esprimono con movimenti e respiri convulsi che contribuiscono ad enfatizzare, insieme alla luce tenue delle candele, la sensazione di angoscia e di atroce sofferenza che anima i dannati nella prima cantica della Divina Commedia.
«Libertà va cercando, ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta» – “Purgatorio”, Canto I
Tempi, ritmi e movimenti tra Inferno, Purgatorio e Paradiso
La seconda parte dello spettacolo richiama le anime purganti. La presenza di orologi dentro bolle d’aria, indicanti diversi orari e dimensioni, è un chiaro riferimento al tempo di attesa del Purgatorio. Dante condanna quindi in una diversa forma di sospensione i peccatori. Mentre nell’Inferno non c’è possibilità di fuga, qui si tratta di una sospensione intesa come fase momentanea, con speranza di redenzione. Gli orologi in scena accentuano questo tempo transitorio e l’angoscia dei condannati che attendono con forte agitazione il momento del giudizio finale. In questo atto, a differenza degli altri, il tempo è scandito da musiche registrate e musiche orchestrate in cui si inseriscono i versi danteschi. La catena dei dannati si blocca sulla scena: cosa ne sarà di loro?
«Ché dentro a li occhi suoi ardeva un riso tal, ch’io pensai co’ miei toccar lo fondo de la mia gloria e del mio paradiso» – “Paradiso”, Canto XV
Per l’ultima tappa della “Comoedia Canti”, Mauro Bigonzetti realizza la rappresentazione del Paradiso dantesco. L’ultima cantica segna per Dante la fine del suo viaggio ultraterreno. Per l’opera del coreografo, invece, rappresenta l’inizio di un nuovo cammino per l’uomo che, dopo aver intrapreso un lungo percorso di scoperta verso se stesso, ha finalmente liberato la propria anima dalle catene dell’angoscia e del dolore. È ora forte e consapevole del proprio valore. Oltre alla presenza della luce, simbolo di purezza, sulla scena compaiono tre gruppi di tre danzatori che danzano tre volte, in uno spazio diviso in tre parti. Nell’ermeneutica medievale il numero tre è simbolo della perfezione morale e religiosa, ricorrente pertanto nella Divina Commedia. Richiama quindi la presenza di Dio che salva dai peccati e conduce alla salvezza dell’anima.
L’omaggio di Roberto Bolle
«Da settecento anni, quando pensiamo all’Inferno, usiamo le immagini di Dante Alighieri che ha dato la più credibile descrizione dell’aldilà.» – Roberto Bolle
All’interno dello show di arte, musica e danza, “Danza con me”, Roberto Bolle ha reso omaggio alla Divina Commedia, esibendosi nelle coreografie ideate da Mauro Bigonzetti, in particolar modo quelle ispirate all’Inferno dantesco. Insieme ad Agnese Di Clemente – prima ballerina del Corpo di Ballo del Teatro alla Scala – e alla MM Contemporary Dance Company, i versi di Dante sono stati fatti rivivere attraverso un linguaggio del corpo incitato ed energico.
Movimenti carichi di tensione da cui traspariva tutta la sofferenza e la violenza bruta che anima le anime dei dannati. I costumi, le musiche, sono rimaste invariate, mentre molto più suggestiva è stata la scenografia. A differenza del 1998, anno della prima comparsa sulle scene dell’“Inferno” di Mauro Bigonzetti, le tecniche della scenografia hanno fatti enormi progressi e sono sempre più in grado di sbalordire gli spettatori. Nello spettacolo di Roberto Bolle, infatti, gli “effetti speciali” hanno reso con maggiore vividezza i corpi straziati dalla sofferenza. Il fumo che è stato sparso dalle quinte laterali e la cenere cosparsa sul palcoscenico e sui corpi dei ballerini, catapultava immediatamente nell’Inferno dantesco. Se ne percepiva il calore del fuoco, la sofferenza e il dolore fisico.