Da “Assunta Spina” a “La Parmigiana”: la donna nella società patriarcale

“Assunta Spina” di Gustavo Serena e Francesca Bertini e “La Parmigiana” di Antonio Pietrangeli sono due film che si collocano nella storia del cinema italiano in tempi differenti. Il primo è un melodramma veristico del 1915, mentre il secondo è una commedia all’italiana del 1963. Si tratta chiaramente di epoche diverse, eppure in entrambi i casi le protagoniste devono fare i conti con la società patriarcale a cui appartengono. I due film mostrano una società che detta le regole, in cui una donna che si autodetermina viene giudicata negativamente, in cui la libertà diventa motivo di punizione.

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Il film “Assunta Spina” dal libro di Salvatore Di Giacomo

“Assunta Spina” è un film del cinema muto che nasce direttamente dalla novella omonima di Salvatore Di Giacomo. Il melodramma divistico e veristico, che mette in scena il proletariato, narra la storia di una femme fatale la cui volontà di decidere del proprio destino sentimentale la rende vittima di se stessa, della propria natura passionale e del fato. La donna lotta contro forze più grandi, quelle della natura e quelle della struttura sociale, che rendono tale scontro impari. L’epilogo della femme fatale è già segnato nel momento in cui intende decidere per sé. 

La trasposizione cinematografica come un melodramma verista

“Assunta Spina” come film muto è caratterizzato da una particolare espressività degli attori e soprattutto dai gesti e le movenze della diva protagonista. Infatti, nella prima sequenza, Assunta entra in scena prendendo forma al centro dell’inquadratura e si avvolge nel suo scialle bianco. La prima parte della storia si svolge negli esterni, ma più il destino della donna diventa negativo, più le sequenze si inseriscono negli interni, nei luoghi chiusi, e gli abiti della protagonista si scuriscono. Non a caso, l’ultima scena vede Assunta macchiatasi di una colpa che, in realtà, non è l’omicidio ma la sua natura passionale, il suo eccesso di desiderio, ed è per questo che la si vede con un abito scuro e acquattata lateralmente a terra.

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Il film “La Parmigiana” dal libro di Bruna Piatti

“La Parmigiana”, invece, è tratto dal romanzo omonimo di Bruna Piatti. Qui però la protagonista porta il nome di Angelica che viene modificato in Dora da Antonio Pietrangeli. Probabilmente, il regista fa riferimento ad un caso di isteria di cui scrisse Freud dove il nome della paziente Ida Bauer fu sostituito dal nome Dora. Ma la giovane interpretata da Catherine Spaak, diversamente dalla paziente del noto psicoanalista, non reprime i propri istinti e desideri, ma anzi esprime la sua juissance. Nonostante ciò, il suo non è un percorso semplice a causa della volontà di autodeterminarsi che la porta ad essere giudicata male, anche da spettatori e critica dell’epoca.

La trasposizione in commedia all’italiana

La commedia all’italiana, invece, si rifà a un uso significativo dei primi piani e di inquadrature insolite per evidenziare la dimensione psicologica del racconto. Il meccanismo dei flashback, a cui si dà inizio attraverso degli spostamenti laterali della macchina da presa, crea due linee parallele: una che segue cronologicamente il presente e l’altra il passato. La differenza tra le due temporalità è resa esplicita dai diversi tagli di capelli di Dora che, tra l’altro, evidenziano il suo cambiamento interiore. “La Parmigiana” diventa un bildungsroman in cui la protagonista rappresenta la donna del boom economico che ricerca la propria libertà. Si evidenzia la sua intenzione di godere della fisicità, non soltanto legata all’eros, ma anche al cibo o al fumo. Si parla perciò di voracità esistenziale, di voglia di vivere la vita nella sua interezza ed è per questo che la giovane ha la capacità di trasformare il dolore in piacere. 

Assunta e Dora: due reazioni agli antipodi verso il mondo maschile

Ma l’antica fiamma si andava spegnendo nel cuore di Assunta. Ed ella, addolorata, sentiva di non essere più sincera.

Assunta e Dora sono simili? Sia in “Assunta Spina” che ne “La Parmigiana” sono presenti delle scene che segnano ed evidenziano il modo in cui le protagoniste agiscono di fronte a delle vicende. Assunta, nonostante Michele le sfregi il volto, nella sequenza in tribunale è lei stessa a negare l’evento e a proteggere il suo fidanzato. Oltretutto, alla fine si prende la colpa dell’omicidio effettuato dallo stesso. 

Al contrario, Dora ha un atteggiamento del tutto diverso nei confronti della vita. In uno dei flashback, subito dopo il rapporto con Giacomo, Dora afferma di essersi fatta male provocando il compiacimento del ragazzo. Ciò avviene perché secondo la visione tradizionale una ragazza non deve mostrare di provare piacere erotico. Tuttavia il dolore di Dora non era provocato dall’amplesso, bensì da un sasso che aveva sotto la schiena. Di conseguenza, nel momento in cui decide di prendere il sasso, gli dà un valore metaforico: decide di mantenere una relazione di apertura verso il sesso – non è un caso l’assonanza tra “sasso” e “sesso” evidenziata nel film -, evitando di sottostare ad un ruolo passivo e di diventare oggetto del dominio maschile.

Essere donna in un mondo di uomini

In entrambi i casi, si fa riferimento a donne che intendono autodeterminarsi in un mondo che non lo prevede. La società patriarcale e maschilista ritiene che la donna debba essere al servizio dell’uomo. Francesca Bertini e Gustavo Serena ricreano la storia di Assunta Spina, punendola come da copione, non perché siano d’accordo con quello che le accade, ma semplicemente perché è esattamente questo il destino che vuole quel tipo di società per lei. Secondo la legge del melodramma, la colpa di cui si è macchiata porta a delle conseguenze. L’epilogo è quindi determinato.

Il caso di Dora, però, è differente. Il lungometraggio degli anni ‘60 è una denuncia all’ipocrisia nei riguardi della sessualità femminile, all’incapacità di pensare che anche le donne possano provare piacere, alla chiusura verso la libertà al di fuori di concetti precostituiti. Con il racconto di formazione che vede Dora al centro della vicenda, si cerca di superare quella antinomia tra matrimonio e prostituzione. Vale a dire che la donna non deve essere limitata alla scelta tra l’essere una sposa o una prostituta perché questi termini non sono rispettivamente sinonimi di sottomissione o indipendenza. Ed è proprio questo che dimostra la protagonista di Antonio Pietrangeli: si può essere indipendenti, ci si può autodeterminare, senza per forza appartenere ad una categoria limitante stabilita dagli uomini e dal loro sguardo prevaricatore.

È chiaro quindi che Dora e Assunta non sono simili. Le loro reazioni e modi di agire non sono soltanto dettati dal loro modo di essere, ma anche dal contesto in cui vivono, nonché dal periodo storico a cui appartengono.

Assunta Spina, La Parmigiana
Assunta Spina e La Parmigiana. Assunta e Dora a confronto

Regista: Gustavo Serena e Francesca Bertini, Antonio Pietrangeli

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