
Bong Joon-ho negli ultimi anni si è tramutato in uno dei registi simbolo della new wave coreana. La curiosità verso le opere del cineasta cresce giorno dopo giorno, al punto da riportare in sala di “Memorie di un assassino”, uno dei suoi film più famosi. Sembra finalmente che il mondo si stia aprendo ad un diverso tipo di cinema, originale e raffinato. Tuttavia, il mistero avvolge la figura di questo talentuoso regista.
Nel suo discorso di accettazione dell’Oscar come miglior regia per “Parasite”, ha citato e ringraziato Martin Scorsese per averlo ispirato. È infatti impossibile non notare nello stile elegante di Bong Joon-ho riferimenti al regista italoamericano. Eppure alla maggior parte del pubblico occidentale restano sconosciute gran parte delle sue opere, nonché i suoi temi principali.
«Una volta superata la barriera dei sottotitoli, scoprirete molti film bellissimi.» – Bong Joon-ho
Il difficile esordio di Bong Joon-ho. “Barking dogs never bite” e la lotta sociale
La lotta per l’uguaglianza sociale è un tema che ha sempre ricoperto un ruolo fondamentale nella filmografia di Bong Joon-ho. Il suo interesse per le classi economicamente disagiate nasce durante gli anni dell’università. È il 1988 e la Corea del sud è tormentata dalle proteste studentesche contro il governo dittatoriale. Proprio in questo periodo il giovane Bong entra in contatto con la realtà rurale coreana, arretrata e abbandonata dalle istituzioni. L’esperienza universitaria influenza profondamente la visione del mondo del regista portandolo a sviluppare una particolare sensibilità per le questioni sociali.
«Negli anni ’90 l’industria cinematografica coreana era di mentalità molto aperta» -Bong Joon-ho
Gli anni ’90 sono cruciali per Bong Joon-ho. La Corea del Sud sta vivendo un periodo di rinascita, sia economica che artistica. Il primo lungometraggio “Barking dogs never bite” si inserisce proprio all’interno di questo clima. Ciò nonostante, l’esordio del regista è tutt’altro che un successo. La storia di un aspirante insegnante che deve lottare per sostenere la propria famiglia riscuote poco interesse presso il pubblico coreano e “Barking dogs never bite” viene visto al cinema da poco più di 100.000 persone.
“Memorie di un assassino” segna la nascita del suo iconico stile
Nonostante l’evidente insuccesso, il regista non si scoraggia e nel 2003 realizza “Memorie di un assassino”. In questo film emergono i tratti distintivi della regia di Bong Joon-ho che caratterizzeranno il suo stile negli anni a venire. Il frequente utilizzo del campo lungo mostra i personaggi completamente immersi nel paesaggio circostante e contribuisce a creare un’atmosfera misteriosa. Lo spettatore è guardingo e ispeziona il paesaggio insieme al protagonista per scorgere un possibile pericolo.
“Memorie di un assassino” è costruito sulla sapiente combinazione degli elementi in primo piano e quelli sullo sfondo. La messa a fuoco è sfruttata per creare profondità di campo e dare vita a scene drammatiche e strazianti. Nelle opere successive di Bong Joon-ho questo tratto ricorrerà spesso e darà via via origine a scene dall’effetto diverso, ma ugualmente impattante.
L’incontro con gli USA. “Snowpiercer” e “Okja”
Le produzioni americane rappresentano un punto di svolta per la filmografia di Bong Joon-ho. In “Snowpiercer” e “Okja” la lotta di classe tanto cara al regista assume una connotazione completamente diversa e inedita. Se in “Snowpiercer” l’atmosfera post-apocalittica rende il conflitto di classe una spietata lotta per la sopravvivenza, in “Okja” è evidente la critica al capitalismo. I due film intraprendono strade completamente differenti e portano lo spettatore a riflessioni diverse.
In “Snowpiercer” la divisione sociale viene completamente distrutta costringendo i superstiti ad affrontare l’ancestrale paura dell’ignoto. La vita fuori dal treno Snowpiercer è possibile, ma il futuro è incerto. La pellicola si chiude lasciando il dubbio sui reali vantaggi della distruzione del sistema.
In “Okja”, invece si assiste ad un finale diverso. Mija riesce a salvare il maialino Okja dal macello, ma è costretta a piegarsi alle regole del capitalismo per farlo. La protagonista compra il maiale per salvarlo da morte certa, ma lascia il sistema del tutto invariato. Mija ritorna in montagna con Okja e vive la sua vita escludendosi da quel sistema marcio che non è riuscita a cambiare. L’effetto creato è quello di un lieto fine amaro e incompleto che non è estraneo alla tradizione letteraria coreana.
Anche in queste pellicole statunitensi sono ben evidenti i “marchi di fabbrica” del cineasta coreano. In “Okja” il campo lungo è intelligentemente impiegato per creare distacco fra la crudele azienda che sfrutta i super-maiali e il resto del paese che non può far altro che restare a guardare, indignato, ma impotente. In più, fanno anche la loro comparsa numerose inquadrature dall’alto che hanno in “Okja” uno scopo ben preciso, ovvero mostrare il disorientamento di Mija appena giunta in città. Seoul è immensa e caotica e lo spettatore, come Mija, non può fare a meno di sentirsi confuso e smarrito a causa di queste inquadrature straordinariamente efficaci.
Il linguaggio universale del cinema di Bong Joon-ho
Oltre che nello stile originale e nella cura maniacale verso ogni singolo dettaglio, la chiave del successo di Bong Joon-ho si nasconde senz’altro nell’universalità dei temi trattati. Il cinema di Bong Joon-ho si rivolge ad ogni singolo individuo, indipendentemente dalla provenienza geografica e dal background culturale.
L’acclamatissimo “Parasite” ne è una prova evidente. Non bisogna essere di certo coreani per comprendere la grande disparità sociale fra la classe dominante – ricca ma incapace – e le classi più disagiate – competenti ma sprovviste dei giusti mezzi per farsi valere-. Sicuramente non serve essere coreani per capire la drammaticità della guerra fra poveri, in cui le famiglie protagoniste del film si trovano coinvolte nel disperato tentativo di raggiungere la vetta della società. Ciò che rende i film di Bong Joon-ho delle vere e proprie opere d’arte è proprio la straordinaria capacità di parlare a tutti e di riuscire a portare ogni spettatore alla riflessione su sé stesso e sul mondo che lo circonda. Un completo successo dal punto di vista sia comunicativo che cinematografico che ha permesso al regista coreano di rimanere per sempre impresso nella storia del cinema.