Ferro 3 La casa vuota di Kim Ki-duk. Il bello di parlare in silenzio

Ferro 3 - La casa vuota, film di Kim Ki-duk

Un gesto vale più di mille parole. Sembra un’espressione banale e stantia, eppure questa frase descrive perfettamente il film “Ferro 3 – La casa vuota” di Kim Ki-duk. L’assenza di parola è infatti uno dei protagonisti principali della pellicola e sorprendentemente rappresenta un punto di forza, anziché una debolezza.

Le poche frasi pronunciate provengono da personaggi negativi o che non aggiungono alcun valore sostanziale alla narrazione. Invece i protagonisti rimangono quasi sempre in silenzio. Ne scopriamo i nomi solo nella seconda parte del film e risultano comunque i personaggi meglio caratterizzati e più interessanti. In questo modo emerge in tutta la sua potenza l’abilità registica di Kim Ki-duk, che riporta in modo realistico e sconvolgente la drammaticità della solitudine umana, avvalendosi unicamente delle immagini e della forza espressiva del cast.

Il mistero dietro al titolo ‘Ferro 3 – La casa vuota’ di Kim Ki-duk

Ad un primo sguardo il titolo “Ferro 3 – La casa vuota” risulterà sicuramente criptico e poco incline ad interpretazioni. Solitamente il titolo dà qualche informazione, anche sommaria, sul film che si andrà a vedere o sul suo genere di appartenenza. Sarà un horror? O un film drammatico? Magari un’allegra commedia, perché no?

Difficile indovinarlo con queste poche parole, che sembrano addirittura messe insieme in modo del tutto casuale. In realtà, il mistero è facilmente svelato dopo la visione del film. In Ferro 3 di Kim Ki-duk la casa vuota rappresenta da un lato la condizione di solitudine e infelicità che accomuna tutti i personaggi – anche quelli negativi vivono una vita miserabile allo stesso modo dei protagonisti -, mentre dall’altro descrive lo stile di vita del protagonista maschile della pellicola, che vagabonda da una casa vuota all’altra.

Tae-suk entra illegalmente nelle abitazioni, dove non è stato rimosso il volantino da lui precedentemente lasciato durante il suo turno di lavoro, e ci vive per un giorno come se fosse realmente casa sua. Non ruba nulla, come i più si aspetterebbero, ma fa il bucato, innaffia le piante e aggiusta gli oggetti rotti. Per un giorno intero Tae-suk riempie il vuoto di quelle case prendendosene cura come se fossero sue e nell’atto di riparare orologi, radioline e bilance si intravede un barlume di positività. Se le case vuote rappresentano le persone abbandonate, allora gli oggetti riparati simboleggiano la possibilità per ognuna di loro di “ritornare a funzionare”, qualora qualcuno di buona volontà decida di prendersene cura.

Per quanto riguarda invece la prima parte del titolo, Ferro 3 rappresenta una tipologia di mazza da golf. Sebbene ricorra spesso all’interno della pellicola, in realtà sul campo non viene molto utilizzata e resta abbandonata nella sacca da gioco.

Solitudine e abbandono secondo Kim Ki-duk

Tae-suk è quello che si potrebbe definire un emarginato sociale. Sembra non avere una fissa dimora, una famiglia a sostenerlo o un qualsiasi tipo di legame affettivo e, soprattutto, non ha un lavoro “socialmente accettabile” in Corea. È infatti qui che viene ambientata la pellicola, una realtà in cui esiste una precisa gerarchia sociale, per la quale i soggetti come Tae-suk, un semplice addetto al volantinaggio, vengono impietosamente isolati. La solitudine, però, non conosce barriere. Così come colpisce Tae-suk, confinandolo ai margini della società come un fuoricasta, si abbatte anche su Sun-hwa, che dovrebbe essere privilegiata essendo benestante, giovane e di bell’aspetto.

L’unico personaggio con il quale interagisce, oltre a Tae-suk, è un marito violento e dispotico che cerca di controllare ogni aspetto della sua vita, perfino il suo abbigliamento. È proprio in quest’ottica di isolamento e soprusi che si inserisce l’incontro tra i due protagonisti. Sono entrambi soli, emarginati e con poche speranze nell’avvenire. Come due case vuote, lasciate all’abbandono da dei proprietari incuranti, Tae-suk e Sun-hwa vagano nel mondo alla ricerca di qualcosa che dia un senso alle proprie vite, trovano quello che cercavano l’uno nell’altra, imparando a comunicare i propri sentimenti nel più assoluto silenzio.

Ancora una volta con Ferro 3 di Kim Ki-duk emerge il talento del regista nel rendere evidente il profondo disagio vissuto dai due protagonisti prima del loro incontro e la progressiva evoluzione dei loro sentimenti senza ricorrere alla parola. Insomma, Kim Ki-duk con questo film suggerisce che, a volte, le cose migliori possono essere espresse restando semplicemente in silenzio.

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