“Gli Stati Uniti contro Billie Holiday” di Lee Daniels. Una canzone contro la violenza

“Gli Stati Uniti contro Billie Holiday” è un film biografico di Lee Daniels che ripercorre le vicende legate alla canzone “Strange Fruit” che coinvolsero la cantante jazz Billie Holiday. Il film non solo mostra parte della vita dell’artista, ma anche la sua forza contro il razzismo negli Stati Uniti d’America.   

«Her voice would not be silenced.» 

Dopo aver diretto lungometraggi come “Precious” e “The Butler”, Lee Daniels torna sul grande schermo con la sceneggiatura scritta da Suzan-Lori Parks dal libro “Chasing the Scream: The First and Last Days of the War on Drugs” di Johann Hari.

“Gli Stati Uniti contro Billie Holiday” di Lee Daniels, oltre la trama, una storia di ribellione

La pellicola presenta un aspect ratio di 1:2,39 e per alcune scene di 1:1,85. I colori della fotografia di Andrew Dunn trasportano lo spettatore in un’atmosfera anni ‘40 e ‘50 resa realistica dalle ambientazioni e soprattutto dai costumi a cura di Paolo Nieddu.

Il montaggio di Jay Rabinowitz alterna l’intervista del giornalista radiofonico Reginald Lord Devine a Billie Holiday nel 1957 (magistralmente interpretati rispettivamente da Leslie Jordan e Andra Day), a diversi eventi precedenti. Le vicende dal 1947 si susseguono in ordine cronologico, con dei flashback, fino a ricongiungersi al momento dell’intervista e proseguire insieme verso i due anni successivi, arrivando alla morte dell’artista protagonista. 

La colonna sonora riprende le canzoni eseguite da Lady Day, ma sono cantate dall’attrice che la interpreta. “All of Me”, “Break Your Fall”, “Lover Man”, “Lady Sings the Blues” – che dà il titolo anche alla sua autobiografia -, “I Cried for You”, “Ain’t Nobody’s Business” e “Them There Eyes” sono soltanto alcuni dei brani eseguiti. La musica nel film “Gli Stati Uniti contro Billie Holiday” è sicuramente uno degli elementi portanti, ma in particolare lo è un brano che ha influito profondamente sulla carriera di Billie Holiday: “Strange Fruit”. 

“Strange Fruit” di Billie Holiday: la violenza nella poesia di un albero

Il film si apre su un’immagine in bianco e nero che mostra un linciaggio. Nel 1937 gli Stati Uniti presero in considerazione un decreto per vietare quella violenza, ma non fu approvato. Le persecuzioni ai danni degli afroamericani persistevano. Tuttavia quello stesso anno accadeva qualcos’altro: il compositore Lewis Allan – pseudonimo di Abel Meeropol – scrisse “Strange Fruit” che entrò nel repertorio di Billie Holiday. La canzone parla di un frutto strano appeso a un albero. Quel frutto oscilla al vento e bagna le foglie e le radici dell’albero con il suo sangue. Quel frutto non è come tutti gli altri. È un essere umano, una vittima di linciaggio. La crudeltà e la violenza di quell’atto si trasformano in una poesia atroce e angosciante che ricorda coloro che hanno perso la vita in quel modo.  

«Blood on the leaves and blood at the root   
Black bodies swinging in the southern breeze   
Strange fruit hanging from the poplar trees.» 

“Strange Fruit” di Billie Holiday divenne un urlo contro un sistema che non proteggeva i suoi cittadini. Dato che la pratica era ancora piuttosto comune nel sud del paese, la canzone divenne un inno dei diritti umani. Eppure, secondo alcuni, era una minaccia. Perché Billie dimostrava così di non essere soltanto una cantante che intratteneva il suo pubblico, ma la voce di un popolo che veniva messo a tacere.

Ecco perché ci fu una vera e propria persecuzione ai danni dell’artista. Billie Holiday era il simbolo di una lotta, della risposta all’intolleranza e al razzismo. Perciò fu colpita nella sua debolezza: la sua dipendenza da droghe si trasformò nel modo per fermarla e quindi per non permetterle più di cantare quella canzone.  

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Il piano sequenza che trasforma Billie in simbolo di lotta al razzismo

«What is the government’s problem with Billie Holiday? Why are they after you?» – Reginald
«My song, Strange Fruit. It reminds them that they’re killing us.» – Billie 

In un piano sequenza ambientato nel 1949 si concentra sulla cantante in un momento preciso, creando uno stratagemma per potenziare il focus su momento intenso e simbolico: Billie cammina tra delle foglie alte di una piantagione, sente qualcosa, va a vedere. C’è una croce che brucia, con fiamme ancora troppo vive. Lì, a poca distanza, due bambine piangono disperatamente. La loro madre è appesa a un albero e chiedono al padre di farla scendere.

È un’atrocità insopportabile. La consapevolezza della realtà, l’impossibilità di far finta di niente. Un peso troppo grande da portare. Billie vorrebbe alleviarlo con la droga ma fa qualcos’altro. Torna sul palco e canta “Strange Fruit”. Così sta dando la parola a chi l’ha persa, sta raccontando una storia che viene sottostimata e a cui ancora non si dà fine. 

«You think I’m going to stop singing that song. Your grandkids will be singing Strange Fruit.» – Billie Holiday

Gli stratagemmi per fermare la cantante jazz continuano. L’agente FBI Anslinger (Garrett Hedlund) cerca ancora di incastrarla per zittirla. Quando Billie, ormai malata, si trova in ospedale, i federali dichiarano di aver trovato dell’eroina e perciò la arrestano, ammanettandola al letto. Il lungometraggio termina evidenziando che nel 2020 negli Stati Uniti d’America è stata presa di nuovo in considerazione la legge antilinciaggio, ma ancora non è passata.

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Ci sono ancora molti problemi legati al razzismo che devono essere risolti. Tuttavia, nonostante tutti gli sforzi per metterla a tacere, Billie Holiday continua a essere ricordata ancora oggi attraverso i suoi dischi, attraverso i libri che ne parlano e le pellicole che la riportano in vita. Nonostante tutte le difficoltà, Billie Holiday rimane un simbolo della lotta alla discriminazione e la sua voce continua a farsi sentire.

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