Il Decameron di Pier Paolo Pasolini: analisi, poetica e significato

Pier Paolo Pasolini era un artista poliedrico che sperimentò numerose forme di espressione: scrittura narrativa e poetica, pittura e cinema, sia come sceneggiatore che come regista. Alcuni lungometraggi nascono dalle sue opere letterarie, mentre “Il Decameron” di Pier Paolo Pasolini è tratto dall’omonima opera di Giovanni Boccaccio.

“Il Decameron” di Pier Paolo Pasolini: una recensione al dettaglio!

Come si legge nel libro “Il Decameron di Pasolini, storia di un sogno” di Carlo Vecce, il film è un’opera corale, con personaggi realistici e semplici, che intreccia ceti sociali e stili di vita differenti. Qui, il passaggio dal medioevo all’età moderna diventa immagine dell’allontanamento dall’autenticità del mondo popolare verso quello capitalista e consumista.

Il lungometraggio esalta la gioia di vivere e tocca tematiche quali la ragione, l’ingegno, la fortuna, la natura e l’eros, quindi la sessualità vista come atto istintivo ma naturale, qualcosa che «nun è peccato» – come gioiosamente urla Meuccio – finché non è l’uomo stesso a renderlo tale.  

«Vevimmo a’a salute r’o maestro ch’ha fatto n’opera grande p’a città nosta!» – Frate 

Differenze tra il Decameron di Boccaccio e Pasolini

«Signori miei, mo’ v’o spiego alla napoletana.» – Novellatore 

Durante la stesura della sceneggiatura, la struttura del film è stata cambiata diverse volte, ma alcuni elementi erano chiari all’autore sin dall’inizio. Il Decameron di Pasolini è stato girato e ambientato a Napoli – anche se molte scene sono state realizzate a Caserta Vecchia e non solo – perché in un periodo in cui il progresso portava al capitalismo, alla corruzione e al consumismo, Pasolini intendeva esaltare l’autenticità della vita popolare in contrapposizione alle sovrastrutture sociali. Ed è anche la ragione per cui sceglie persone comuni come attori.

La cornice dei giovani che fuggono dalla peste nel Decameron di Boccaccio è eliminata a favore delle novelle contenitore dei fili conduttori, ma la peste continua a essere presente con Pasolini: è la realtà corrotta. La pellicola inizialmente prevedeva tre tempi in cui i protagonisti delle novelle contenitore fungevano da alter ego del regista stesso. Ciappelletto rappresenta il peccatore, Chichibio (che è stato poi eliminato) il picaro e Giotto (divenuto poi l’allievo di Giotto) ritrae l’artista. 

Quante e quali le novelle nel Decameron di Pasolini? La censura

Da una prima selezione di 27 novelle, si passò a 16, poi vennero eliminate altre, alcune registrate e poi tagliate nel montaggio finale. Insomma si ebbero dei continui cambiamenti, anche alla fine delle riprese. Infatti, diversamente dal primo montaggio del 27 aprile 1971, nel lavoro finale manca la novella di Alibech.

La novella del “diavolo all’inferno” fu eliminata sia perché il film risultava troppo lungo rispetto a quanto concordato, sia per il problema della censura. Purtroppo però le pellicole che la riportavano sono andate perdute e ci restano soltanto delle registrazioni in Yemen. Il lavoro di Pasolini ha subito numerose modifiche che sottolineano quanto la creazione stessa dell’opera, vista come sogno, sia più importante della sua conclusione.  

«Perché realizzare un’opera quando è così bello sognarla soltanto?»

Un aspetto molto interessante del film e della sua creazione è proprio la “storia di un sogno”. È una delle tematiche centrali. La creazione è un sogno, un sogno che non si vuol concludere. Così si arriva alla poetica dell’opera aperta, del non finire, che all’interno della pellicola diventa concreta con l’affresco dell’allievo di Giotto.

L’opera pittorica, infatti, si basa sul trittico del Maestro delle Vele che si trova nella Basilica inferiore di Assisi. Si tratta di “Caduta incolume di una bambina di casa Sperelli”, “Morte del fanciullo di Suessa” e “Resurrezione del fanciullo di Suessa”. Nel film però vengono rappresentate soltanto due scene e non tre. L’affresco dell’allievo di Giotto all’interno de “Il Decameron” non rappresenta un’opera inconclusa, bensì una aperta, dinamica e in continuo movimento. 

In questo modo l’opera continua a vivere e, secondo l’idea di Roland Barthes, diventa sempre diversa nella sua interpretazione. Ogni destinatario, che sia un lettore o uno spettatore, attraverso la sua l’interpretazione rende l’opera immortale e la sua immortalità implica a sua volta quella dell’autore. Sognare è creare, creare è sognare. E il sogno, come la creazione, deve proseguire con la Trilogia della Vita a cui “Il Decameron” dà inizio.

L’allievo di Giotto ha una funzione metapoetica, realizzando l’affresco diventa immagine di Pasolini che realizza il film. Tale funzione è sottolineata anche dalla creazione dei colori da parte dei garzoni dell’artista, perché quelli rappresentano proprio quelli del film. 

L’arte nell’arte. Riferimenti in pittura e cinematografia

Per la realizzazione de “Il Decameron” Pasolini si ispira a diverse opere pittoriche e cinematografiche. Per esempio, dall’edizione Longanesi del “Decameron” ricrea l’illustrazione erotica del pittore milanese Guido Somaré nella scena in cui, attraverso una soggettiva tattile, si vede la mano di Caterina che si poggia protettiva sull’usignolo di Riccardo.

Dal Codice Capponi ricostruisce la sequenza dell’arrivo di Masetto al convento e delle suore che portano il giovane al capanno. Dal Codice Ceffini ripropone l’apparizione di Lorenzo. Invece, da un manoscritto francese ricostruisce il momento in cui Andreuccio da Perugia si trova a Malpertugio e delle donne si affacciano dalle loro finestre. Nella novella di Lisabetta oltre ad avere numerosi elementi nella stanza della fanciulla posizionati come se fossero delle nature morte (lo straccio per avvolgere il capo di Lorenzo e la brocca per lavarlo) si ha un primo piano della protagonista che si rifà al dipinto “Annunciata” di Antonello da Messina. 

A cosa si ispirano le visioni nel film

La prima visione di Ciappelletto e quella dell’allievo di Giotto sono dei tableaux vivant. La prima riprende le pitture di Bruegel il Vecchio: “Battaglia tra Carnevale e Quaresima”, “Paese di Cuccagna” e “Il trionfo della morte”.

La seconda visione, invece, rappresenta il “Giudizio Universale” di Giotto, dove il Cristo Giudice viene sostituito dalla Madonna per riproporre una dimensione femminile e materna, ma anche perché la Madonna è spesso invocata dai napoletani. Inoltre, vengono citati film del cinema orientale.

“Racconti della luna pallida d’agosto” di Kenji Mizoguchi ispira la novella di Lisabetta, “Rashomon” di Akira Kurosawa è richiamato nella corsa tra gli alberi di Lorenzo. Viene preso in considerazione anche il cinema muto. Gemmata è il tipo fisiognomico che si ritrova nella contadina di “Linea generale” di Sergej Ejzenštejn, mentre la corsa a velocità doppia di Giotto si ispira alle comiche del personaggio Charlot di Chaplin.

L’arte è anche quella musicale. Il film è accompagnato da canti religiosi e canzoni della tradizione napoletana che sottolineano delle particolarità delle novelle. 

La dialettica di Pier Paolo Pasolini regista

Tra le tematiche della pellicola, si ha la dialettica tra dentro e fuori, tra spazi aperti e chiusi, a cui si rifà direttamente quella tra corpo nudo e corpo vestito, tra luce e ombra, tra vita e morte. La rappresentazione delle novelle si basa su tale dialettica che diventa un fattore metaforico piuttosto evidente. Le storie tendono agli spazi chiusi, all’interno e all’ombra, quando finiscono male. Viceversa tendono agli spazi aperti, all’esterno e alla luce, quando finiscono bene.

La dialettica tra corpo nudo e corpo vestito evidenzia come senza abiti siamo tutti uguali, il corpo nudo è naturalezza e autenticità, mentre i costumi diventano una seconda pelle che definisce lo status sociale di un individuo, creando delle differenziazioni. Corpo e abito si collegano direttamente alla sessualità. Essa, così come le parole e i gesti, diventa un mezzo di comunicazione tra esseri umani, una comunicazione fisica che avviene attraverso il corpo. 

«E che r’è stu fatto? I’ me crereve ch’eri muto! […] Miracolo! Miracolo!» – Madre superiora 

Si ha quindi il miracolo della liberazione sessuale, reso chiaro dalla novella di Masetto, ma non è l’unico presente. Con il bozzetto e l’affresco dell’allievo di Giotto si ha il miracolo della creazione. Entrambi sono evidenziati dalle soggettive. Il primo quando le monache guardano e contemplano la virilità di Masetto, il secondo quando l’allievo di Giotto guarda il suo bozzetto. 

È chiaro che nessun elemento de “Il Decameron” di Pasolini è posto lì a caso. La pellicola diventa specchio di un mondo che si sta perdendo, proprio come l’affresco diventa specchio del mondo esterno. Attraverso questo lungometraggio – e non solo -, Pier Paolo Pasolini dimostra la sua apertura mentale in un mondo che non vuole ascoltare e vedere la realtà delle cose. Così il film, come la sua poetica, rimane attuale, un classico come l’opera letteraria a cui è ispirato.  

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