“Il segreto della miniera” di Hanna Slak porta sul grande schermo la vera storia del minatore Mehmedalija Alić, già raccontata nella sua autobiografia “No One”. Nel 2007 fu inviato in una miniera per controllare che fosse vuota e scriverne un rapporto. Dopo due anni di lavoro, però, scoprì che quel luogo nascondeva un terribile segreto. Non si trovavano gas o carbone lì, ma corpi di migliaia di profughi uccisi, murati vivi, durante la Seconda Guerra Mondiale. La scoperta doveva essere tenuta nascosta, il che mostra una forte opposizione tra ciò che accade e ciò che viene raccontato, tra giusto e sbagliato, tra verità e falsità, tra umanità e disumanità.
«Quando ho sentito per la prima volta delle scoperte di Huda Jama e delle 4000 persone uccise segretamente nella miniera e sepolte ancora lì dopo 60 anni, ero sconvolta. […] La mia angoscia cresceva perché mi rendevo conto che qualcuno mi stava nascondendo una verità giudicata troppo terribile. Poi ho ascoltato Mehmedalija che raccontava la storia e mi sono trovata davanti un uomo che non aveva paura di guardare la verità dritta negli occhi. […] Mi ha trasmesso immagini, emozioni, memorie, terrore, disperazione, speranza. […] il mio interesse primario risiedeva nella figura straordinaria del minatore: la ricerca di se stesso e della verità, il suo viaggio nell’oscurità e la liberazione finale.» – Hanna Slak
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“Il segreto della miniera” di Hanna Slak. Un’autorità senza volto
«Questa miniera è vuota. Capito? Vuota.» – Kamnik
La pellicola si basa sulla contrapposizione tra Alija Bašić (Leon Lučev) e un’autorità senza volto rappresentata indirettamente da Kamnik (Jure Henigman). Nel primo si avverte costantemente un senso di impotenza dovuto alla subordinazione verso i suoi superiori e soprattutto verso un paese che non lo riconosce. È minacciato dal rischio di perdere il lavoro e di non essere identificato come essere umano al di fuori della sua produttività lavorativa dalla Slovenia. Tuttavia, Alija dimostra un potere più grande di quello dell’autorità: forza di volontà e umanità. Il minatore, piuttosto che occultare la realtà, preferisce compiere un atto di ribellione dando esempio di profondo coraggio. Per lui si tratta di un’occasione significativa anche per redimersi. Essendo l’unico superstite del suo villaggio, Alija prova quasi un senso di colpa. Nel voler rendere giustizia agli uomini e alle donne ritrovate nella miniera, rende omaggio al suo popolo e alla sua famiglia.
«Il segreto della miniera è un’opera bella e preziosa che, attraverso la battaglia di un coraggioso minatore, ci ricorda il genocidio […] di Srebrenica del luglio 1995 e ci parla dell’importanza della memoria, contro ogni tentativo di cancellarla. E […] fa luce su un risvolto poco noto del conflitto dei Balcani: quello delle decine di migliaia di cittadini ex jugoslavi che vennero eliminati dai registri anagrafici della Slovenia.» – Amnesty International Italia
Per quanto sia atroce e triste la vicenda che si nasconde dietro il ritrovamento dei corpi, la storia raccontata dimostra quanto sia importante la determinazione di un individuo di fronte alle ingiustizie. Dimostra quanto la memoria del passato sia fondamentale per la costruzione di un presente e un futuro migliori.
I contrasti della fotografia
«C’è qualcosa nella miniera. […] Persone.» – Alija
“Il segreto della miniera” di Hanna Slak si apre su un paesaggio naturale e luminoso che riporta ad un evento passato del protagonista. Qui i colori della natura sono piuttosto vividi, ma non rispecchiano gli eventi storici del periodo. Il piccolo Alija deve lasciare il suo paese d’origine a causa della guerra. Nonostante il dolore di lasciare i propri cari, in particolare sua sorella Mirsada, è proprio grazie all’emigrazione che riesce a scampare al massacro di Srebrenica, in cui furono uccisi numerosi uomini e ragazzi. Si arriva al presente e, sebbene i conflitti siano terminati, c’è un’atmosfera cupa ben resa dalla fotografia opaca di Matthias Pilz. Tale tonalità aumenta fino al buio intenso della miniera. È l’oscurità di un segreto, di qualcosa che non deve venire a galla, ma è anche la malinconia di un’interiorità segnata da eventi tragici e dalla perdita delle persone amate.
«Non è la nostra gente.» – Faruk
«Qualcuno starà cercando anche loro.» – Alija
L’unica fonte di luce nella miniera è quella dell’elmetto. Seppure fioca, la sorgente luminosa crea dei leggeri contrasti con le immagini. È spesso evidente sul viso di Alija, indicando da un lato la sua umanità e dall’altro le imposizioni del capo per nascondere la verità. Simbolico è che mentre viene ordinato di costruire il muro in miniera e lasciare i corpi lì, il minatore seppellisce la treccia di una donna sotto un albero di fiori bianchi. Alija sente la presenza della sua famiglia tra quelle vittime, persone non indentificate e mai ritrovate. Con quel gesto, cerca di dare degna sepoltura ai profughi e lascia un momento di riflessione allo spettatore. Così si ritrova la luce che indica la pace interiore del protagonista e la sua consapevolezza di aver fatto la cosa giusta.





