
“La città incantata” di Hayao Miyazaki è un capolavoro dell’animazione giapponese tutt’oggi ineguagliato. Attualmente rappresenta l’unico anime ad essersi aggiudicato il Premio Oscar come Miglior film d’animazione e l’apprezzamento del pubblico è altrettanto notevole. Oltre allo stile poetico di Miyazaki, a rendere unico il film è il messaggio morale che trasmette.
“La città incantata” nasconde al suo interno un significato ben più profondo. Dalla paura di crescere alla critica al capitalismo consumista, Miyazaki affronta temi cruciali con il suo delicatissimo tocco, arricchendo il tutto con gli immancabili riferimenti al folklore giapponese.
Non sono io a fare il film, bensì è il film a realizzarsi da solo e io non devo fare altro che seguirlo – Hayao Miyazaki
L’intento educativo è innegabile. L’animatore giapponese ha pensato il suo film come un’opera in cui tutte le bambine di 10 anni possano identificarsi. Proprio il desiderio di offrire un modello positivo è alla base della creazioe di Chihiro, la protagonista del film.
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“La città incantata” di Hayao Miyazaki. Le allegorie nascoste
“La città incantata” è come in Italia è conosciuto il film di Hayao Miyazaki, ma il titolo originale del film è “Sen to Chihiro no kamikakushi”, che significa “La sparizione causata dai kami di Sen e Chihiro” o “La sparizione di Chihiro e Sen”. Già dal titolo si nota su quale tematiche viene spostata l’attenzione all’interno del film.
Proseguendo con i significati nascosti, il fantasma della Città incantata si chiama Kohaku. Il nome riprende quello di un fiume -di cui Kohaku è lo spirito- interrato per poter costruirvi al suo posto dei palazzi. Da un lato si assiste all’ondata del capitalismo occidentale che piega la natura ai suoi fini, dall’altro alla perdita dell’identità originale. Kohaku infatti rappresenta i rischi che si corrono se ci si dimentica delle proprie origini. Dimenticato il suo nome, sarà in balia delle volontà di Yubaba.
Senza Volto è la traduzione italiana del nome Kaonashi. Senza Volto rappresenta uno spirito ma dalle caratteristiche umane. Un’ombra nera che vaga con indosso un’antica maschera. Non ha un volto, ma mille, così come mille sono le caratteristiche mai totalmente positive o negative. Rende l’idea dell’animo umano, o meglio di un suo lato celato, impercettibile dall’esterno ma che dentro cresce e logora. Alimenta le paure ma non ha cattive intenzioni, è gentile e calmo, triste e timido. Una parte dell’uomo da riconoscere e accogliere. Proprio nella sua accettazione ci sarà la svolta per Chihiro.
Chihiro, la giovane protagonista, già nel nome si fa portatrice della sua identità. Letteralmente Chihiro significa “mille”, “fare domande” o “essere alla ricerca”. Il suo spirito curioso e intelligente, viene deturpato da Yubaba nello storpiare il suo nome. Basta infatti eliminare un solo kanji dal nome Chihiro per ottenere Sen, il nuovo nome dato da Yubaba, che significa solo “mille”. Si perde, con quel kanji in meno, una buona parte del carattere di Chihiro, mutandone drastricamente la sua essenza e identità.
Come finisce e cosa insegna “La città incantata”? La difesa dell’identità per le future donne
“La città incantata” segue il percorso di Chihiro dall’infantilità alla maturità. Tuttavia il viaggio della bambina per raggiungere l’età adulta non segue i canoni tipici dei film di formazione. Chihiro è obbligata a separarsi dai suoi genitori e ad intraprendere da sola il cammino nel mondo degli spiriti. Il forte sentimento di non appartenenza che un bambino prova nel muovere i primi passi nel mondo degli adulti, risulta qui accentuato nella rappresentazione di un mondo ostile e ultraterreno. Sotto questo punto di vista Chihiro si rivela essere la tipica eroina dei film di Miyazaki: una ragazzina ordinaria, segretamente dotata di una forza d’animo fuori dal comune. Esattamente il genere di modello che Miyazaki intende proporre alle bambine di oggi.
È così che Yubaba ti controlla, rubandoti il nome. […] Se te lo dimentichi non potrai più tornare a casa. – Haku
Il viaggio di Chihiro si trasforma presto in una vera e propria lotta per conservare l’identità. Quando la perfida Yubaba le fa firmare il contratto di lavoro, si appropria anche del suo nome cambiandolo in Sen. Per poter tornare a casa, Chihiro deve quindi aggrapparsi al ricordo del suo vero nome, poiché se dovesse dimenticarlo non potrebbe mai più ricongiungersi con i suoi genitori. La difesa del proprio io è fondamentale nella crescita di Chihiro e nella costruzione dell’individuo che diventerà in futuro.
Miyazaki contro il capitalismo e l’occidentalizzazione
Ne “La città incantata” di Hayao Miyazaki è possibile osservare un’acuta analisi della società giapponese, nonché un’accesa critica al capitalismo moderno. Il messaggio di Miyazaki è veicolato attraverso chiare allegorie. È evidente la volontà da un lato di sottolineare l’avidità dei giapponesi moderni – i genitori di Chihiro non si fanno alcuno scrupolo nel divorare il cibo sacro destinato agli spiriti-, dall’altro di rimproverare l’eccessiva occidentalizzazione della società nipponica.
Allontanandosi dai valori tradizionali dello shintoismo, i genitori di Chihiro rinunciano alla spiritualità tramutandosi in maiali, dipinti come bestie prive di raziocinio. Al contrario Chihiro rappresenta la speranza di Miyazaki di un ritorno alle origini. Chihiro rinuncia ai beni materiali non necessari -come l’oro che le viene offerto da Senza volto- per privilegiare i sentimenti che nobilitano l’animo.
Che assurdità, per quale motivo al mondo dovrei darti un lavoro? Si vede subito che sei una stupida piagnucolona, pigra, viziata e per giunta maleducata! – Yubaba
Yubaba
La critica alla società capitalista è ben espressa anche attraverso il personaggio di Yubaba. Associare un personaggio negativo con un abbigliamento occidentale enfatizza l’allontanamento del Giappone dai virtuosi valori tradizionali. In più Yubaba è anche il simbolo di una società fortemente gerarchizzata dove il divario fra i potenti e i poveri è pressoché incolmabile. Se lei vive nel lusso di un appartamento esclusivo, i suoi dipendenti sono costretti a dividere un’angusta stanza e a sottostare a turni di lavoro sfiancanti.
Il fatto stesso che Yubaba punisca con la morte chiunque non lavori, la rende l’incarnazione di un capitalismo tossico che calpesta chiunque non risulti produttivo per la società. L’alienazione dei lavoratori di cui lei è responsabile si nota dal nome che assegna a Chihiro. Infatti il kanji di Sen è lo stesso che compone il numero 1000. Equiparare i propri dipendenti ad un numero è una pratica estremamente deumanizzante che sottolinea ulteriormente la forte critica di Miyazaki alla modernità.





La città incantata

Regista: Hayao Miyazaki
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