Melancholia di Lars von Trier. Apocalisse metafora di depressione

“Melancholia” di Lars von Trier è il punto importante nella carriera del regista. Come secondo capitolo della “trilogia della depressione” si pone come obiettivo quello di esplorare una prospettiva diversa del disturbo, andando ad ampliare il discorso già iniziato con “Antichrist”.

Se il primo capitolo della trilogia esamina la depressione in chiave horror, con “Melancholia” il racconto diventa fantascientifico e la depressione si intreccia con l’angoscia per l’apocalisse imminente. Con “Nymphomaniac”, terzo e ultimo capitolo della trilogia, la depressione si mescola alla devianza sessuale. Quindi, ognuno dei tre film è necessario a costruire un quadro completo della percezione che il regista ha della depressione. In particolare “Melancholia” si presenta come un racconto intimo e strettamente legato alla sfera personale di Lars von Trier.

«Non è esattamente un film sulla fine del mondo, ma un film su di una condizione mentale.» – Lars von Trier

Il tono della narrazione è volutamente pessimista, in perfetto accordo con i sentimenti del regista che ha dichiarato di aver tratto l’ispirazione da un periodo di profonda depressione da lui vissuto. La sensazione generale di sconforto è resa perfettamente dalla fotografia cupa con predominanza di colori spenti e desaturati che conferiscono alla pellicola un’aura decisamente sconfortante. Inoltre, la sapiente combinazione di luci ed ombre suggerisce l’apocalisse imminente portando all’attenzione dello spettatore un ulteriore motivo di preoccupazione.

Depressione melanconica e significato in “Melancholia” di Lars von Trier

«Sì, dovrei essere felice. Dovrei davvero esserlo.» – Justine

Kirsten Dunst in “Melancholia” interpreta Justine, la protagonista, e già nell’iconico prologo si concentrano i pilastri fondamentali della narrazione. Allo stesso modo di un preludio operistico, il prologo condensa i momenti salienti della pellicola, anticipando ciò che sta per accadere. Eppure, ciò non pregiudica in nessun modo la resa finale della pellicola, al contrario aumenta la tensione nello spettatore che attende di scoprire in quale modo si giungerà al finale preannunciato. Tuttavia il prologo è l’espediente perfetto per presentare un altro tema che sarà protagonista della pellicola, ossia la depressione melanconica. Nelle primissime scene del film il ritmo è modulato dallo slow-motion che mostra il rallentamento del tempo causato dalla depressione.

Non a caso nella prima parte di “Melancholia”, dedicata a Justine, il tempo è dilatato e le scene si susseguono senza un apparente nesso logico. Mentre Justine arranca per sopravvivere, il mondo intorno a lei si muove velocemente, trascinandola nel più completo sconforto. I movimenti di camera frenetici sono tesi a sottolineare il contrasto fra la melanconia di Justine e il mondo circostante. Nelle scene del suo matrimonio con Michael (Alexander Skarsgård), Justine passa rapidamente dalla gioia per il futuro che l’attende, al più completo sconforto. Intorno a lei ogni cosa perde di significato e ogni persona si rivela tragicamente deludente.

I suoi genitori, divorziati da tempo, sono un completo fallimento. La madre Gaby (Charlotte Rampling) non fa altro che screditare il matrimonio, gettando una prima ombra sulla felicità di Justine. D’altro canto, suo padre Dexter si dimostra un personaggio egoista, incurante della salute di sua figlia. Infatti, mentre il baratro risucchia lentamente Justine, il padre commenta ciecamente di non averla mai vista più felice. I frequenti primi piani sull’espressione vacua di Justine dimostrano l’insoddisfacente futilità di tutto quello che sta succedendo, smascherando le bugie di Dexter.

L’angosciante attesa del pianeta Apocalisse

«Quando dico che siamo soli, siamo soli. La vita è solo sulla terra. E non per molto» – Justine

Nella seconda parte del film la dimensione psicologica si sovrappone all’angoscia esistenziale per l’avvicinarsi dell’apocalisse. Nella parte dedicata a Claire (Charlotte Gainsbourg) ciò che era un preoccupante presagio diventa una spaventosa realtà. “Melancholia” non è solo il nome del disturbo depressivo di Justine, ma costituisce una reale minaccia per l’umanità. Infatti, si scopre che un pianeta alieno – Melancholia, appunto – è in rotta di collisione con la Terra. Mentre John (Kiefer Sutherland) cerca di rassicurare sua moglie sull’impossibilità scientifica che tale ipotesi si verifichi, Claire precipita in un abisso di angoscia.

Per contro, Justine sembra invece ritornare lentamente lucida e padrona di sé stessa. In quanto affetta da depressione melanconica, Justine si dimostra essere già preparata alla fine del mondo. Per la donna l’apocalisse non è altro che l’esternazione della sua depressione, il segno di un dolore che non è più solo suo, ma che può condividere con l’umanità intera. L’avvicinarsi della fine del mondo è per Justine una liberazione dall’enorme peso dell’incomunicabilità. L’apocalisse rende tutti i personaggi del film vulnerabili, ponendoli sullo stesso piano emotivo di Justine. Quindi, la fine della vita sulla Terra non è nient’altro che l’allegoria della depressione. Come il pianeta Melancholia, anche la depressione si presenta in partenza come un trascurabile puntino, per poi infine rivelare la sua vera natura distruttiva. 

«La terra è cattiva. Non abbiamo bisogno di addolorarci per lei.» – Justine

L’arte incontra il cinema. La metanarrativa

«Essenzialmente ho paura di tutto nella vita, tranne che di fare film» – Lars von Trier

Fin dal prologo è evidente la dimensione metanarrativa di “Melancholia”. Ogni rimando all’arte e all’opera classica arricchisce la narrazione di simbolismi che anticipano gli eventi che stanno per verificarsi. Il preludio del primo atto di “Tristano e Isotta” di Wagner esprime il profondo legame del film con la morte e la frustrazione del desiderio d’amore. Il fallimento del matrimonio di Justine e la sua conseguente infelicità è già annunciata da questa dolorosa melodia. Sempre nel prologo Justine è mostrata mentre viene trascinata via dalla corrente di un fiume, in un evidente parallelismo con “Ophelia” di Millais. Come l’eroina tragica, anche Justine è travolta dalla follia e dal dolore. L’inquadratura dall’alto crea distacco fra lo spettatore e la donna offrendo la possibilità di apprezzare la bellezza e della poeticità della depressione, quando osservata da lontano.

Si palesa quindi il sublime romantico, ossia l’osservazione estatica della bellezza distruttrice della patologia. Il sublime ritorna anche in una particolare scena in cui Justine è distesa sull’erba mentre ammira incantata la luce del pianeta Melancholia che si fa sempre più vicina. In questo caso, il sublime non è più contemplazione della depressione, ma desiderio di autodistruzione. L’apocalisse giungerà di lì a poco, distruggendo il pianeta e mettendo fine alla sofferenza di Justine. Il brusco stacco sul nero comunica l’inappellabilità della sentenza. Non esiste nessun luogo dove nascondersi, nessuna possibilità di salvezza. Tutto ciò che i personaggi possono fare è arrendersi all’ineluttabilità della fine e attendere il verificarsi dell’inevitabile tragedia.

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