“Questa è la mia vita” è la sfida di Jean-Luc Godard al cinema

Questa è la mia vita, film di Jean-Luc Godard

“Questa è la mia vita” di Jean-Luc Godard è un film coraggioso. Come ogni pellicola del suo movimento cinematografico di appartenenza, la Nouvelle Vague, “Questa è la mia vita” si pone in aperta contraddizione con le regole del cinema tradizionale. Ogni elemento tipico della narrazione filmica classica, dalla centralità della trama alla linearità narrativa e temporale, viene messo in discussione e smantellato. Nella Nouvelle Vague non è più importante cosa viene rappresentato, bensì il come: la trama del film è molto semplice, in quanto lo scopo è quello di riportare la realtà in modo del tutto genuino, andando quindi ad eliminare ogni artificio tecnico specifico del cinema tradizionale. Vengono a mancare le riprese in studio e la strumentazione costosa, sostituite da riprese autentiche realizzate in ambienti reali – per strada, ad esempio – con la sola luce naturale e attrezzature economiche come la camera a mano.

“Questa è la mia vita” di Jean-Luc Godard e la frammentazione della narrazione

«Il film è una serie di blocchi. Basta prendere le pietre e metterle una accanto all’altra. Tutto sta nel prendere al primo colpo la pietra giusta.» – Jean-Luc Godard

La struttura narrativa è senza dubbio particolare e unica nel suo genere: si suddivide in dodici quadri, ognuno dei quali è introdotto da un semplice titoletto su sfondo scuro e concluso con una dissolvenza in nero. Ogni riquadro ha una propria autonomia contenutistica e, complice la scarsità di indizi temporali, si potrebbe vedere i singoli riquadri separatamente oppure seguendo un’altra disposizione, tanto sono deboli i legami fra loro. Il secondo, il terzo e il quarto potrebbero cambiare la propria collocazione, l’undicesimo potrebbe essere omesso o sistemato in qualsiasi altro punto della pellicola, mentre il settimo e l’ottavo sono certamente collegati da una frase pronunciata da Raoul, uno dei personaggi.

Essendo i legami fra i quadri visibilmente indeboliti, l’unico filo conduttore del film è rappresentato dalla protagonista Nanà: ogni riquadro è un episodio della sua vita ed è seguendo questo principio che i vari momenti si susseguono e assumono importanza. Anche quando sembra che le scene siano prive di interesse, è bene tenere a mente che si sta assistendo alla rappresentazione di scene di vita quotidiana dove, verosimilmente, si alternano tempi morti e momenti densi di significato.

Jean-Luc Godard omaggia il teatro brechtiano

Lo sforzo di Jean-Luc Godard di combinare ecletticamente diversi linguaggi artistici ha come risultato la mescolanza del cinema col teatro: la suddivisione in dodici quadri ne è la prova. Ciascuno di essi è un atto teatrale di cui i titoletti rappresentano il canovaccio: l’effetto ottenuto è di indeterminatezza e straniamento, in quanto la frammentazione della narrazione genera delle ellissi temporali che impediscono di determinare l’arco temporale dello svolgimento della vicenda. Il concetto di straniamento, omaggio al teatro brechtiano, ritorna nello stile registico di Jean-Luc Godard attraverso alcune strategie che contribuiscono a distanziare gli attori dagli spettatori, portando quest’ultimi a non identificarsi con i personaggi.

Fin dalle prime scene di “Questa è la mia vita” i protagonisti vengono ripresi di spalle – piuttosto che frontalmente – portando lo spettatore a guardare la scena con un certo distacco, come se fosse un osservatore esterno. Nell’ambito del montaggio questo intento è rafforzato tramite l’uso del jump-cut, una tecnica di editing che consiste nell’eliminare la parte centrale dell’inquadratura mantenendone solo l’inizio e la fine. Il risultato sarà una scena frammentata dove i personaggi sembreranno muoversi con scatti repentini, accentuando la consapevolezza del pubblico di stare guardando un film e aumentando ulteriormente la distanza fra personaggio e spettatore.

Lo stile di Jean-Luc Godard in equilibrio tra documentario e finzione

«La verità è in tutto, anche nell’errore.» – Nanà Kleinfrankenheim

Nanà Kleinfrankenheim, la protagonista di “Questa è la mia vita”, è una giovane donna che vive una vita ordinaria: ha una relazione che non la soddisfa –infatti la interrompe nei primi minuti di film – un lavoro modesto in un negozio di dischi e il sogno di fare carriera nel cinema. La svolta avviene quando, trovandosi a corto di soldi, inizia a lavorare come prostituta, prima occasionalmente, poi in modo regolare sotto il controllo del suo protettore Raoul.

L’elemento di novità del film sta nel taglio documentaristico dato alla narrazione, non per nulla l’idea dietro la storia di “Questa è la mia vita” nasce da un’inchiesta sulla prostituzione in Francia. Infatti, proprio come in un documentario, Godard si limita a seguire Nanà negli episodi della sua vita e a riportarli fedelmente, senza esprimere alcun giudizio. Nel dodicesimo quadro Nanà si trova in macchina con Raoul ma, anziché concentrarsi su di loro, la ripresa scorre sulle vie e i monumenti di Parigi dando l’impressione di stare osservando un documentario sulla città con le voci di Nanà e Raoul fuoricampo ad incorniciare le immagini.

In questa scena si sovrappongono due generi differenti: il documentario – la carrellata sulle strade parigine – e la finzione rappresentata dal dialogo fra i due personaggi. La sfida di Jean-Luc Godard al cinema tradizionale sembra, quindi, definitivamente vinta: “Questa è la mia vita” si pone come la perfetta sintesi di diverse forme d’arte che, contaminandosi a vicenda, danno vita ad un film originale e creativo.

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