
Mary Ellen Mark, fotografa e documentatrice statunitense classe ’40, è conosciuta ai più per i suoi indimenticabili ritratti di outsider e di soggetti generalmente stravaganti, passando per cani vestiti da Babbo Natale a ragazze di strada. Onorata con i più svariati premi fotografici, nel corso degli anni si è fatta riconoscere per un gusto eccentrico, per la sua capacità di costruire legami personali coi soggetti che fotografava, nonché per l’abilità nel mettere in risalto le «qualità antropomorfe dell’animale e le qualità animali dell’essere umano.» Annoverato tra i suoi scatti più famosi, “Animal trainer and an elephant” è una di quelle foto che riescono ancora ad attirare l’attenzione grazie a connotati decisamente fantasiosi.
«Mi interessa la gente ai margini. Ho un’affinità per le persone i cui ingressi in società non sono stati tra i migliori, quello che più di ogni altra cosa vorrei fare è prendere atto della loro esistenza.»
‘Animal trainer and an elephant’ di Mary Ellen Mark. La storia dietro lo scatto
In bianco e nero sebbene sia stata scattata nell’autunno dell’89, “Animal trainer and an elephant” appare, proprio grazie a questa caratteristica, fuori dal tempo. Due sono i soggetti sullo sfondo nero, che si contrappongono creando un singolare abbinamento: Ram Prakash Singh, domatore nonché il direttore del circo in questione, e Shyama, l’elefante che stava allenando. La scena è particolare, la posizione dell’elefante vagamente innaturale, con la sua proboscide arrotolata, quasi a ricordare una strana sciarpa attorno al viso corrucciato dell’uomo. Non c’è dubbio che sia stata proprio questa stranezza a rendere lo scatto decisamente indimenticabile, unito alla curiosa espressione dell’animale. Ma se la foto in sè è affascinante, la storia che la accompagna lo è ancora di più.
Il tendone alle spalle dei due soggetti appartiene ad un circo indiano, allora situato ad Ahmedabad. Mary Ellen Mark era all’epoca nel mezzo di un viaggio di sei mesi, in cui aveva visitato ben 18 circhi diversi: luoghi che la attraevano per il loro aspetto eccentrico e fortemente stravagante, a volte addirittura ironico. La posa dell’uomo, che si era arrotolato al collo la proboscide, era una sua iniziativa. Come spiega Mark in un’intervista concessa al “Guardian”, lasciava sempre che i suoi soggetti avessero la libertà di inventarsi qualcosa. L’espressione dell’elefante, forte elemento inaspettato nella scena, non era voluto o comandato. Trovatolo casualmente in uno degli scatti, Mark si era convinta che era quello che avrebbe usato.
Trovava, infatti, che avesse qualcosa di profondamente antropomorfo: pensava che Shyama stesse comunicando con lei in qualche modo, forse lamentandosi del tempo in cui aveva dovuto star fermo durante il servizio fotografico. Altro elemento particolare è il formato della foto. Un quadrato perfetto che costringe il fotografo a fare scelte inflazionate, come cercare simmetrie che possono essere scontate o inusuali. In questo caso l’unica forma geometrica chiaramente riconoscibile è la spirale della proboscide di Shyama.
L’addio di Shyama al circo indiano
“Animal trainer and an elephant” di Mary Ellen Mark è stata più volte inserita in raccolte. La prima in Indian Circus, libro pubblicato nel 1993 dedicato a quelli che che Mark descrive come «poesia e follia ancora incorrotte, e oneste, e pure». La copertina del libro è proprio questo scatto, apparso successivamente nella raccolta intitolata “Man and beast” e pubblicato dalla University of Texas Press nel 2014. La storia dietro a questa foto si conclude con un aneddoto tragicomico, raccontato dalla fotografa in persona.
«Sfortunatamente, Shyama è morto pochi mesi dopo che ho scattato questa fotografia. Sembra che la causa sia stato un chapatti (tipo di pane caratteristico della cucina indiana) avvelenato. Ram Prakash Singh era estremamente addolorato. Io pure.»