Henri Cartier-Bresson, l’Occhio del Secolo della fotografia

Il fotografo Henri Cartier-Bresson viene considerato il pioniere del fotogiornalismo e definito “Occhio del Secolo” ( il Novecento) per la sua abilità nel fissarne sulla pellicola i momenti decisivi intimi e ufficiali. Henri Cartier-Bresson con Robert Capa ed altri fonda nel 1947 la famosa Agenzia Fotografica Magnum, che in breve tempo diventa punto di riferimento per giornali e riviste che vogliono mantenersi al passo con i tempi.

Una delle più pregnanti affermazioni di Henri Cartier-Bresson sul lavoro del fotografo e la sua importanza è la seguente.

«I fotografi si occupano di cose che stanno continuamente svanendo»

Nella piena e concreta consapevolezza che esse non torneranno mai più. Tipico della sua attività di fotografo il voler «fissare una frazione di secondo di realtà».

«La fotografia può fissare l’eternità per un istante.»

Il momento decisivo di Henri Cartier-Bresson. Tecnica fotografica e filosofia

Henri Cartier-Bresson fu il teorico dell’ “istante decisivo” nella fotografia, del momento cioè che rappresenta tutta un’azione, lo sviluppo di un avvenimento, il centro della notizia colto nella sua piena spontaneità. La finalità della fotografia diventa allora quella di cogliere un particolare momento e renderlo eterno, attraverso i due capisaldi del realismo e dell’immediatezza, utilizzando il bianco e nero capace di evidenziare forma e sostanza di un’immagine astraendola della realtà.

Le sue fotografie, soprattutto quelle dei paesaggi, riflettono una perfetta armonia tra le linee e le geometrie dei soggetti, nel perfetto raggiungimento della molteplicità dei piani, dell’armonia delle proporzioni e nella costante ricerca di equilibrio. Una delle fotografie emblematiche di questa teoria bressoniana è “Uomo in bicicletta nella Down Street”, che ritrae un ciclista in pieno movimento contrapposto alla fissità della scala a chiocciola in primo piano.

Nel 1953 Henri Cartier- Bresson scrisse “Il momento decisivo”, vera e propria Bibbia per tutti i fotografi di reportages di cui lui è considerato uno dei maggiori esponenti. La frase che diventerà il suo mantra è mutuata da una frase del cardinale de Retz, memorialista del XVII secolo, che scrisse:

«Non c’è niente in questo mondo che non abbia un momento decisivo.»

Nell’unico libro da lui scritto, raccolse foto di vita quotidiana, luci ed ombre, la sacralità dei cardinali o la carnalità delle prostitute, fissando la realtà in quel momento decisivo che meglio esprime un fatto o una persona.

Per Henri Cartier-Bresson fotografare è allineare «testa, occhio e cuore». Il suo modus operandi era di scattare più foto possibili per far emergere dalla massa quell’immagine che, da sola, simbolizza un evento, una persona, un luogo. Questa è la didattica di Bresson, la sua stella polare.

«Le fotografie possono raggiungere l’eternità attraverso il momento.»

La sua intenzione principale era quella di catturare uno specifico istante che avrebbe consegnato all’eternità, e questo lo avrebbe compreso solo dopo aver sviluppato le sue fotografie.

Chi era Cartier-Bresson? Un pittore “prestato” alla fotografia

Il suo primo amore fu però la pittura, amore al quale tornò nel momento di maggior successo della sua carriera, dopo averlo “tradito”. Virò verso la fotografia a 24 anni. Henri Cartier-Bresson usava Leica 35 mm. e lente da 50 mm., inseparabile compagna per molti anni ed in molte avventure. Inizia con foto surrealiste, retaggio della precedente esperienza pittorica. Nel 1968 ridusse gradualmente la sua attività fotografica per tornare alla pittura, che era la realtà da lui interpretata. Fecero eccezione i ritratti, tra i quali ricordiamo quelli di Martin Luther King, Coco Chanel, Jean Paul Sartre ed Igor Stravinskij. Il ritratto era per lui il lavoro più difficile.

«È un punto interrogativo poggiato su qualcuno»

Il ritratto riuniva i suoi due amori, pittura e fotografia. In fin dei conti, per lui la fotografia era anch’essa una forma d’arte, un’estensione della pittura.

I libri di Henri Cartier-Bresson da “Images à la sauvette” a “L’immaginario dal vero”

I libri di e su Henri Cartier-Bresson costituiscono veri e propri capisaldi nel mondo della fotografia. “Images à la sauvette” di cui Cartier-Bresson scrisse l’introduzione -letteralmente “Immagini prese di nascosto”– , raccoglie 20 anni di esperienze fotografiche improntate alla “cattura” di quel momento che meglio descrive un fatto o un personaggio nella sua interezza. Le fotografie, riprodotte in hèliograture, ricche di dettagli e sfumature, si riferiscono alle immagini surrealiste degli anni ’30 del Novecento ed all’esperienza dei reportages. È “Il Libro” per il fotografo siciliano Ferdinando Scianna, mentre per Vittorio Scanferla -uno dei massimi esperti di collezionismo sui libri di fotografia- rappresenta una «sintesi tra immaginario dal vero e antropologia visiva».

“L’immaginario dal vero” su Henri Cartier-Bresson è un diario di vita e di esperienze, in cui emergono lezioni di stile nelle quali la Leica costituisce un prolungamento dell’occhio del fotografo. Pierre Assouline in “Storia di uno sguardo” analizza le foto “rubate” di Cartier-Bresson, che fermano nello scatto quel momento essenziale che non tornerà più, utilizzate come strumento di denuncia della condizione degli ultimi ed indignazione contro il dispotismo dei potenti.

Le fotografie di Henri Cartier-Bresson dal muro di Berlino a India photos. Giramondo al passo con i tempi

I reportages in giro per il mondo costituiscono una parte importante della sua produzione fotografica. Henri Cartier-Bresson in Messico nel 1934 documenta la costruzione della Panamericana, quando il capo spedizione scappò con la cassa decise di rimanere a Città del Messico. L’incontro con il Movimento Surrealista ed alcuni dei suoi esponenti costituì per lui un arricchimento di vita e professionale.

Documentarista al seguito dell’esercito francese, Henri Cartier-Bresson viene catturato dai tedeschi, evade e finisce nelle fila della Resistenza. Nel 1945 fotografa Parigi liberata e si aggrega ad un gruppo di prigionieri di guerra francesi tornati a casa, documentandone il rientro ed il passaggio dagli enormi centri di rimpatrio fino alle loro case.

Henri Cartier-Bresson in India, appena liberata dal dominio britannico, scatta alcune delle ultime foto del Mahatma Gandhi sostenuto dalle nipoti dopo un lungo digiuno e prima del suo assassinio. Registra con il suo obiettivo le scene oceaniche delle folle piangenti che avevano accompagnato il lungo viaggio delle ceneri del Mahatma fino al Gange.

I reportage in URSS e Cina

Henri Cartier-Bresson fu il primo fotografo occidentale autorizzato a fotografare in Unione Sovietica dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Documenta scene di vita ed immagini di quotidianità. Torna in quei luoghi negli anni Settanta per registrare i cambiamenti avvenuti in quel Paese, soprattutto nella vita delle persone comuni. La piccola storia non meno importante di quella dei grandi.

Nel 1962 Henri Cartier-Bresson fotografa anche il muro di Berlino, documentando le vite divise. Emblematica la foto dei 3 uomini che guardano la città che continua oltre il muro, ma anche quella che esprime la continuità della vita malgrado tutto, con i bambini che giocano arrampicandosi sul temibile muro.

In Cina per 10 mesi durante l’ultimo anno della guerra civile (1948), Henri Cartier-Bresson realizzò il perfetto esempio di fotoreportage, cogliendo il senso della storia in una somma di avvenimenti, dai più importanti e simbolici ai più modesti. Nelle sue immagini dà la stessa importanza ai leaders politici e all’uomo della strada, accomunati dal loro essere ugualmente effimeri. Celebre la foto che a Shangai ritrae la folla di gente ammassata in coda presso le banche per acquistare oro, unico bene-rifugio nei momenti di crisi.

Il reportage in Italia. La Lucania e Scanno di Henri Cartier-Bresson

Discorso a parte merita il reportage realizzato in Italia, negli anni dal 1951 al 1953, con le foto che fecero conoscere al mondo la cittadina di Scanno, in Abruzzo, con gli occhi di Henri Cartier-Bresson. Queste foto fanno parte della storia della fotografia mondiale. Altri fotografi, famosi e non, prima e dopo del fotografo francese, punteranno i loro obiettivi sulla cittadina abruzzese. I soggetti che interessano Bresson sono gli umili, ritratti in scene di vita paesana come su set cinematografici. Sono fotografie naturali e non posate. Scorci caratteristici e vita di comunità. Scatti in bianco e nero che definiscono una sacralità muta e rispettosa.

Nelle sue immagini dal vivo, come in quelle effettuate in Lucania, Bresson documenta e denuncia le misere condizioni di vita dei contadini, l’indigenza, il degrado, l’analfabetismo, l’alta mortalità infantile. Nella perfezione stilistica il fotografo lancia il suo j’accuse a chi, essendo al potere, non risolve gli annosi problemi di un’intera popolazione ed al contempo porta a conoscenza del mondo condizioni di profondo degrado in cui uomini e donne sono costretti a vivere. Nel corso di questa esperienza Henri Cartier- Bresson realizzò quella che avrebbe definito “La foto” per eccellenza nella sua sterminata produzione illustrativa. È quella che lui nominò “Mater Carmeli” nella quale, appostato su una scalinata, immortalò le azioni di donne e bambine davanti alla chiesa della Madonna del Carmine di Scanno.

La mostra “postuma” organizzata dal redivivo! Lo “Scrapbook” dimenticato

Cartier-Bresson quindi partecipò attivamente alla Resistenza francese e, catturato, riuscì ad evadere dal carcere. Nel 1944 fotografò la liberazione di Parigi. In base alle notizie frammentarie dell’epoca però era stato considerato morto nel corso degli avvenimenti bellici ed il MoMA di New York lo volle omaggiare con una mostra “postuma”. Venuto a conoscenza dell’intenzione del grande polo museale statunitense, il redivivo Henri Cartier-Bresson decise di collaborare in prima persona alla mostra “in sua memoria”.

Il fotografo scelse personalmente le foto che avrebbe voluto esporre, selezionando e stampandone circa 346, molte delle quali inedite, che portò con sé a New York nel 1946 sistemandole dentro una valigia. Qui acquistò un grosso album per ritagli, uno “Scrapbook” appunto, dove incollò le stampe che riteneva più significative della sua attività di fotografo. Immagini di guerra, prostitute seminude, ritratti, scatti di vita quotidiana fermati con ineguagliabili precisione e tempismo e portavoce del suo considerare la macchia fotografica come un «album di schizzi, lo strumento dell’intuito e della spontaneità». Un paradossale memento preparato da un morto redivivo!

Cartier-Bresson aveva incollato le foto scelte con certosina precisione in ordine cronologico, corredandole di appunti e note esplicative, un lavoro artigianale che testimonia i viaggi in Spagna e Messico, l’influenza del Surrealismo e dell’arte moderna. Per anni lo “Scrapbook” di Henri Cartier-Bresson è stato dimenticato, conservato in soffitta dentro una valigia e poi in biblioteca. Quando è stato ripreso nel 1992 le carte si erano rovinate e si sono salvate solo 13 pagine dell’album.

«Fotografare è trattenere il respiro quando le nostre facoltà convergono per captare la realtà fugace»

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