
Sulle rive dei fiumi cambogiani, che confluiscono nel più grande lago di acqua dolce del sud-est asiatico, il Tonlé Sap, molti immigrati provenienti dal Vietnam hanno dato vita a qualcosa di particolare che ha attirato l’attenzione della fotografa del “National Geographic”. Ne nasce così il fotoreportage “Icons on water” di Alina Fedorenko.
Era il 2016 e Fedorenko si trovava in Cambogia con il figlio piccolo Romeo per un breve soggiorno, quando durante un giro in taxi costeggiando il lago, vide una serie di piccole abitazioni costruite su palafitte o galleggianti. Ciò che le accomunava erano i loro colori sgargianti e variegati. Chiedendo informazioni, scoprì che questo vivace villaggio, chiamato Kompong Khleang dai residenti, era stato costruito da immigrati vietnamiti.
Sembra che abbiano scelto questo posto perché sulle acque non sono richiesti documenti di cittadinanza, motivo per cui tutte le abitazioni erano galleggianti. Nel corso dei quattro giorni successivi, la fotografa tornò spesso sul posto con lo scopo di conoscere queste persone e raccontare la loro storia.
‘Icons on water’ di Alina Fedorenko racconta il villaggio degli immigrati vietnamiti in Cambogia
Gli immigrati si dimostrarono ben lieti di accoglierla nel villaggio mostrando una grande ospitalità verso lo straniero. Questo comportamento, secondo Alina Fedorenko, era dovuto non soltanto alla presenza del figlio, che la rendeva una persona di fiducia ai loro occhi, ma in generale al loro status di apolidi, infatti la stessa fotografa si considera tale, essendo cresciuta lontano dal luogo di nascita nell’ormai ex Unione Sovietica.
Nonostante siano stati costruiti sull’acqua, il villaggio galleggiante opera in modo simile ai villaggi sulla terraferma. Ci sono negozi di alimentari, scuole, barbieri, templi e persino un’area dove giocare a calcio e punto di ritrovo per i ragazzi della zona. La peculiarità di ogni abitazione sono i dettagli. Le persone che vivono in queste case le costruiscono e le arredano personalmente e spesso sotto lo stesso tetto vivono diverse generazioni di famiglie. Per questa ragione nel tempo le palafitte diventano una sorta di diari visivi, in cui viene raccontata la storia dell’intera famiglia. Una storia visibile attraverso i dettagli dell’arredamento, nel modo in cui gli oggetti vengono visualizzati, i colori e le trame delle pareti.
Questa allegria e vivacità di colori si rispecchia nella cordialità e spensieratezza delle famiglie di immigrati accolti in questo villaggio. Alina Fedorenko ha spesso sottolineato la differenza tra questa cultura e quella occidentale nei confronti dell’immigrazioni, infatti qui gli abitanti del posto accolgono di buon grado i nuovi arrivati e instaurano con loro un legame reale e profondo. In questo tranquillo villaggio ogni casa è considerata un luogo sacro.
«È un mondo magico che dondola dolcemente sull’acqua … ogni casa ha un’anima bellissima.»
Con queste parole la fotografa descrisse la sua esperienza nel villaggio confluita nel reportage “Icons on water”.