Spesso scoprire la storia nascosta dietro la realizzazione di un’opera d’arte riesce ad accrescere il fascino dell’opera stessa, e nel caso del Dalì Atomicus questo è oltremodo vero.
Realizzata nel 1948 da Salvador Dalì e Philippe Halsman, rappresenta la summa della lunga e fortunata collaborazione tra i due grandi artisti. Il loro spirito devoto al Surrealismo, la loro propensione a valicare i limiti della consuetudine e la complementarietà dei loro talenti, furono il collante che alimentò i 37 anni di lavoro insieme.
«Dalì non volle mai essere realmente un fotografo e Philippe non ebbe mai l’impulso di prendere in mano un pennello, ma insieme collaborarono e realizzarono le più oltraggiose fotografie» – Irene Halsman, figlia del fotografo
Il misticismo nucleare del Dalì Atomicus
Per arrivare a sciogliere l’arcano, bisogna fare un passo indietro e mettere in evidenza l’indissolubile connessione tra questo scatto e un’altra opera di Dalì: la “Leda Atomica”. Quest’ultima – presente nella foto anche se in parte coperta dal getto d’acqua e dai gatti in volo – fu una delle prime opere realizzate dall’artista in seguito alla sua conversione mistica. Tale svolta si generò istintivamente nell’artista dopo aver interiorizzato la notizia, tanto tragica quanto epocale, dello sgancio delle bombe atomiche su Hiroshima e su Nagasaki.
«L’esplosione della bomba atomica, il 6 agosto del 1945, aveva provocato in me una vera e propria scossa sismica. Da allora, l’atomo fu il principale oggetto dei miei pensieri. In molti scenari da me dipinti in quel periodo trova espressione la grande paura che mi assalì allorché appresi la notizia dell’esplosione della bomba atomica. Decisi di utilizzare il mio metodo paranoico-critico per sondare quel mondo»
In questo nuovo periodo di produzione artistica, anche noto come misticismo nucleare, Dalì sviluppò un diverso modo di approcciarsi alla realtà, attraverso un considerevole capovolgimento del proprio punto di vista. Da allora l’artista catalano accantonò la sua devozione a Freud e alla Psicoanalisi per interessarsi alle teorie di Einstein sulla Relatività, alla Fisica nucleare e a quella quantistica. Non si lasciò più ispirare dagli indecifrabili meccanismi della mente umana, ma dalle legge e dalle forze che regolano la materia, i corpi.
La Leda atomica, soggetto e ispirazione
Anche dal punto di vista artistico attuò un importante cambiamento. Abbandonò infatti un tipo di composizione assolutamente disinvolta e libera per andare a recuperare le ligie regole delle proporzioni classiche e della prospettiva rinascimentale. La “Leda Atomica” è un’opera assolutamente pregna di questo inedito modo di indagare la realtà.
Dal punto di vista compositivo, le figure di Leda e del cigno risultano inscritte in un pentagono aureo, ma ciò che davvero colpisce del dipinto è l’atmosfera sospesa in cui i corpi sono calati. Tutti gli oggetti disposti nello spazio del Dalì Atomicus infatti fluttuano nell’aria sorretti da un misterioso equilibrio che allude alle forze di attrazione e repulsione delle singole particella della materia. Quando Halsman vide quest’ultimo lavoro di Dalì ne fu colpito profondamente. Gli domandò cosa si celasse dietro l’elaborazione di quel tema.
«Io sono un uomo dell’era atomica, e devo essere anche un pittore dell’era atomica»
A tale risposta, Halsman non poté che giungere alla conclusione di dover creare un Dalì Atomicus! Sottrarre gli oggetti al proprio peso fisico per farli levitare nell’aria, in una sorta di “equilibrio atomico” è certamente più complicato da ricreare nel mondo reale piuttosto che in pittura. Soprattutto in un epoca in cui Photoshop non era ancora stato programmato. I due artisti colsero questa difficoltà come una sfida e non come un limite così iniziarono a ragionare sul soggetto.
La realizzazione del Dalì Atomicus
La prima, folle e infausta, idea di Dalì – come raccontò in seguito Irene Halsman – fu quella di far esplodere un’anatra imbottita di dinamite. Fortunatamente il fotografo lo persuase che tale scelta li avrebbe condotti solo alla galera. Si optò dunque per rinunciare alla dinamite e utilizzare tre gatti e dell’acqua. Halsman trovò il modo di sollevare dal pavimento tutti gli oggetti inanimati presenti sul set.
Legò con una corda invisibile il cavalletto, il dipinto della Leda Atomica e il piccolo sgabello sotto di esso, mentre la sedia inclinata in primo piano era sorretta direttamente dalla moglie del fotografo, Yvonne. Al segnale del fotografo la scena si animava. I tre gatti e una secchiata d’acqua venivano lanciati nel campo visivo della macchina fotografica e Dalì compiva un bel salto. Dopo ogni scatto Halsman si ritirava a sviluppare la foto per controllarne la riuscita. Intanto la piccola Irene aveva il compito di riacciuffare i gatti e asciugarli! Ci vollero ben 26 tentativi per giungere al risultato sperato.
Il Dalì Atomicus venne lavorato anche in post produzione. Con la tecnica del collage, il vuoto del cavalletto venne riempito con un dipinto in miniatura realizzato dal pittore. Venne fatta attenzione a rimuovere anche il più minuscolo dettaglio che avrebbero svelato il trucco dietro quella mirabolante composizione.
Scatti al tempo di un salto
La diffusione dell’opera finita venne sancita dalla sua pubblicazione sulla rivista “Life”. Dire che suscitò tra i suoi contemporanei grande clamore è quasi un eufemismo. I due artisti continuarono a sperimentare insieme modi diversi per creare in foto uno spazio sospeso, un “equilibrio atomico”.
È anche importante ricordare l’impatto che questo tipo di lavoro ebbe sulla carriera fotografica personale di Halsman. Fu proprio in seguito a tali sperimentazioni che il fotografo inaugurò la serie Jumpology. Una serie sterminata di scatti, in cui i più svariati personaggi moti degli anni ‘50 sono ritratti senza la loro costruita maschera pubblica, intenti a compiere un salto in aria.
