Le foto impossibili di Philippe Halsman con Salvador Dalì

Philippe Halsman e Salvator Dalì sono due personalità artistiche che hanno contribuito profondamente a cambiare il panorama artistico e culturale del secolo delle Avanguardie. Il primo non ha certo bisogno di presentazioni, mentre il secondo è sicuramente più noto per il suo lavoro, piuttosto che per la fama personale.

«- Dalì, lei ha scritto di avere conservato ricordi della sua vita intrauterina. Mi piacerebbe fotografarla come un embrione dentro un uovo.
– Una buona idea, ma per realizzarla io devo essere completamente nudo.»

Ecco uno stralcio del surreale discorso che intercorse tra due grandi menti del Novecento al loro primo incontro. Le parole che segnarono l’inizio di una lunghissima e fortunata collaborazione. Dopo essersi incontrati e riconosciuti come spiriti affini, i due artisti non smisero più di mettersi reciprocamente alla prova nell’intento di creare qualcosa di sbalorditivo.

Philippe Halsman e Salvador Dalì. Un’amicizia nata nel segno del surrealismo

Ritorna alla mente il ritratto di Alfred Hitchcock con il piccolo corvo ad ali spiegate che gli si posa sul lungo sigaro. I giocosi, ma “veritieri”, ritratti della serie jumpoligy, con divi del cinema – da Marilyn Monroe a Dean Martin e Jerry Lewis, da Audrey Hepburn a William Holden – e registi cinematografici, ma anche personaggi pubblici della levatura del Duca e della Duchessa di Windsor.

Il grande fotografo di origini lettoni aveva dalla sua una forte creatività visionaria e importanti competenze tecniche – non bisogna sottovalutare l’importanza degli studi di ingegneria condotti nella sua giovinezza –. Riuscì a distinguersi con facilità in una società in cui la fotografia era ancora concepita, in larga parte, come un semplice medium tecnologico, utile a creare testimonianze visive della realtà, piuttosto che un medium artistico ed estetico.

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Costretto per il proprio credo a lasciare l’Europa antisemita, giunse negli Stati Uniti nel 1940. Qui riuscì ad ambientarsi con estrema velocità e non molto tempo dopo il suo stabilirsi a New York si imbatté nell’eclettica, e quantomeno bizzarra, personalità di Salvador Dalì. Philippe Halsman a quel tempo lavorava per la rivista Life. Doveva realizzare uno shooting dei costumi ideati dall’artista surrealista per l’opera Labyrinth, che doveva essere rappresentata dal Balletto Russo al Metropolitan Opera House. Tra i due scoppiò come una scintilla e da quel momento non si persero mai più di vista, tessendo una splendida amicizia che durò più di 40 anni.

Arte e fotografia si fondono con Philippe Halsman

Avevano moltissimo in cui rispecchiarsi. Entrambi avevano dovuto abbandonare la propria casa per il clima di terrore imposto dai regimi totalitari; amavano la città di Parigi per il suo fervore culturale e vivevano nutrendosi della notorietà. Tuttavia il collante che li tenne uniti fu la fede che entrambi avevano riposto nel linguaggio espressivo del Surrealismo.

Insieme si divertirono a realizzare più di 500 fotografie, affrontando i temi più disparati e stravaganti. Dalì voleva assomigliare alla Gioconda e Philippe lo accontentava, Dalì chiedeva di posare nei panni di Picasso e Philippe lo ritraeva. Esiste un intero book fotografico, il Dalì’s Moustache, interamente dedicato ai baffi dell’artista!

Philippe Halsman utilizzava strumenti creati da lui ad hoc per poter concretizzare in uno scatto qualsiasi suggestione solleticasse la loro fantasia, facendo, a volte, anche ricorso alla tecnica del collage in post produzione, I due realizzarono delle opere davvero memorabili, che riuscirono a stupire il mondo di allora e che tutt’oggi continuano ad affascinare.

Il Dalì Atomicus

Una di queste è senza dubbio Dalì Atomicus, un’opera che omaggia la Leda Atomica – posizionata sullo sfondo e in parte nascosta dai gatti volati e dai giochi d’acqua – a quel tempo da poco portata a compimento dal grande artista. Per rendere possibile una scena che ovviamente sfida le leggi della fisica, il fotografo realizzò una gru che tenesse sospesi tutti i vari oggetti e personaggi e mise a punto vari trucchi per riuscire a manipolare l’immagine. Oltre agli escamotage tecnici, studiati per rendere possibile l’impossibile, i due artisti visionari riuscirono a giungere al risultato atteso solo dopo di molto tempo e lavoro. Ci vollero ben 28 tentativi, confessò a tale proposito Philippe Halsman.

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In Voluptas Mors

“In Voluptas Mors”, dedicata ai piaceri della morte, il focus non è certo il distinto ed elegante Dalì in primo piano, bensì la figura che compare sullo sfondo: un teschio formato dai corpi di sette donne nude. È sicuramente un opera dal forte impatto emotivo. Per la realizzazione – dichiarò l’artista – ci vollero ben 3 ore di lavoro, solo per sistemare le modelle in quella posa.

L’ambiguità delle forme, il perpetuo e irrisolvibile enigma tra l’essere e l’apparire, il paranoico loop generato dal sovrapporsi di visioni oniriche e indecifrabili sono soluzioni su cui Salvador Dalì aveva indagato ampiamente nelle opere pittoriche e scultoree. In quest’opera, grazie alla magistrale regia di un occhio devoto alla fotografia, il surrealismo dell’immagine viene portato alla massima espressione perché trasportato nel mondo vero, nella realtà tangibile.

È il simbolo della morte che si sostanzia dinnanzi a noi o un voluttuoso groviglio di corpi femminili? Gli autori dell’opera miravano di certo a stupire l’occhio dell’osservatore, ma anche a punzecchiare il suo inconscio. Non si può dire che non ci siano riusciti! Proprio questa immagine, grazie al potere di agire a livello inconscio, è stata scelta a distanza di anni per pubblicizzare un film cult degli anni Novanta, “Il silenzio degli innocenti”. Rimpicciolita e sistemata sulla farfalla in locandina, l’immagine riesce a sintetizzare con estrema vividezza il significato del film.

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