
Nel 2016, la galleria “Photographs of Films” di Jason Shulman ha suscitato meraviglia agli occhi di critica e pubblico. L’artista londinese è principalmente attivo come scultore, ma i suoi lavori toccano il campo della fotografia, del cinema e della pittura. Noto in precedenza per le sue opere scultorie di arte moderna, si è cimentato in un impresa tanto originale quanto ardua con le sue foto dei film.
Ha sintetizzato i film più famosi della nostra storia cinematografica in una foto. Per ognuno dei film scelti Shulman ha creato uno scatto diverso sfruttando la tecnica dell’esposizione continuata, lunga quanto la durata delle pellicole. Da “Arancia meccanica a “2001 Odissea nello spazio”, da “La dolce vita” a “The Shining”, da “Dumbo” ad “Alice nel paese delle Meraviglie” e molti altri film ancora.
«Penso ci sia qualcosa nel modo in cui il tempo è manipolato che hanno solo queste fotografie. Sono diverse dalle fotografie in time-lapse, che raccontano sempre e solo un singolo evento.»
Le foto dei film più facilmente riconoscibili
L’attuazione dell’idea, dopo un primo esperimento sui giochi Olimpici invernali del 2014, è stata possibile grazie all’uso di uno schermo ad altissima risoluzione ed un’enorme fotocamera. Il risultato è spettacolare. La tecnica di Jason Shulman cattura colori, atmosfera, luci e ombre di ciascuno dei film che decide di fotografare. Facilmente ci lasciamo sorprendere nell’osservare la nitidezza di alcune immagini, laddove ci aspetteremmo uno sfocato miscuglio di colori.
Uno degli esempi più calzanti tra le foto dei film più noti è “The Gospel According to St Matthew”, scatto che raffigura “Il Vangelo secondo Matteo“, film del 1964 di Pier Paolo Pasolini. Quello che appare nella foto, su sfondo bianco e nero, è inconfondibilmente l’immagine che iconograficamente associamo a Gesù: un uomo coi capelli e la barba lunghi, che guarda fisso nei nostri occhi. La ragione, secondo Shulman, è da ricercarsi nella tecnica di regia di Pasolini.
«Pone la maggior parte delle teste degli attori che dirige nello stesso punto centrale, tutte inquadrate esattamente nello stesso modo: faccia grande, occhi che ti guardano dritto negli occhi. E quando le inquadrature sono sommate l’una all’altra… eccolo, il figlio dell’Uomo»
Lo scatto più nitido di tutti, però, è quello che nasconde al suo interno il celeberrimo “Il viaggio nella luna”. Girato nel 1902, la pellicola è la più vecchia della galleria con le foto dei film, nonché la più corta. Per questo motivo intravedere chiaramente i vari elementi dello sfondo ed i soggetti è molto facile. Compaiono casette di legno con camini fumanti, un mulino, un telescopio. Se strizziamo un po’ gli occhi anche la famosissima Luna sembra apparire tra il cielo blu.
In “The Shining”, invece, la pellicola del 1980 sembra avere inquadrature piuttosto confuse, confini labili. L’unico elemento che sembra darci qualche sensazione di riconoscimento è quello centrale, apparentemente raffigurante il noto volto di Jack Nicholson. Molto probabilmente, però, la nostra percezione si allontana in modo impressionante dalla realtà e la somiglianza altro non è se non il tentativo della nostra mente di aggrapparsi ad un’immagine che crede di riconoscere.
“Photographs of Films” di Shulman. La magia di Hollywood in uno scatto
Secondo Shulman stesso è molto facile farsi ingannare dal proprio desiderio di autoconvincersi, come racconta in un’intervista al magazine britannico Hotel.
«Queste immagini sono spesso pre-condizionate. Dopo aver guardato un film la tua relazione con esso muta: i dettagli vengono dimenticati e quando cerchi di ricordarti quell’ora e mezza te ne ricorderai inevitabilmente qualcuno a discapito di altri. Ma in queste immagini ti sto restituendo tutti i dettagli, una traduzione pittorica su una sola pagina di ogni singola scena che hai guardato.»
Jason Shulman, dal canto suo, è piuttosto esperto quando si parla di analgesia, perdite e illusioni create dalla nostra percezione. Un campo che appartiene alla scienza più che all’arte e che l’artista è molto abile nel navigare. Attenzione dunque, ricorda Shulman, alle illusioni dell’arte e quella che lui definisce “cattiva scienza”: un misto di illusione, autosuggestione e impressioni che alla fine sono parti fondanti dell’arte e che a volte ne costituiscono l’unico valore.