Francesca Woodman. La fotografia alla ricerca dell’identità

La fotografia di Francesca Woodman alla ricerca di sè

Le fotografie di Francesca Woodman (1958-1981), artista nota nell’ambiente dell’arte contemporanea, hanno segnato la storia della fotografia. In completa rottura con le regole tradizionali di composizione e tecnica, i suoi scatti furono per l’epoca scandalosi e spesso incompresi. Scatti quasi eterei, a tratti angelici, dove il nudo vuole spingere lo spettatore ad andare oltre le sovrastrutture ed arrivare direttamente all’essenza. Francesca Woodman aveva l’esigenza di raccontare la sua storia e l’indagine della propria identità, e per farlo si è posta come protagonista del suo stesso obiettivo. Rivestiva tutti i ruoli, dal regista allo scenografo, dal fotografo alla modella. Perché? Semplicemente perché voleva rappresentare un’immagine che fosse il perfetto riflesso di se stessa… il riflesso del suo “Sé”.

«La cosa che mi interessava di più era la sensazione che la figura, più che nascondersi da se stessa, fosse assorbita dall’atmosfera, fitta e umida.»

La fotografia di Francesca Woodman tra tecnica e metamorfosi

Ogni foto racconta una parte recondita della sua identità, il senso di alienazione e isolamento, attraverso ambientazioni tristi e trascurate, grigie e anguste, quasi a volersi leggere dentro, a voce alta, utilizzando un linguaggio ambientale esplorativo, fatto di oggetti e colori simbolici. La sua indagine su di sé e sul proprio io è destinata però a non trovare risposte. Nonostante si sia messa letteralmente a nudo, forse non è mai riuscita completamente a scoprire le sue verità profonde. Tra i suoi contemporanei, la nudità senza veli della Woodman, circondata solo da mobili, oggetti, carta da parati e piante, fu vista al limite dello scandalo. Un elemento ricorrente è lo specchio, sempre lì, presente per riflettere volutamente la sua immagine e la sua identità.

Nelle fotografie l’artista si mimetizza con il luogo in cui si colloca. Attraverso il bianco, il nero e i grigi, talvolta vestiti che riproducono la scenografia di fondo -le fronde degli alberi e il fogliame con i capelli- diventa un tutt’uno fino a fondersi con ciò che la circonda. A livello più tecnico, la lunga esposizione della macchina fotografica le ha permesso di catturare il movimento, superando i limiti del tempo e dello spazio, creando un’atmosfera misteriosa che sembra sospesa tra passato e presente. Così facendo, disegna nell’ aria una visione in sospensione, cadute e percorsi nel vuoto.

L’effetto visivo che crea è come un’idea che si sfuma davanti agli occhi dello spettatore, che cerca di afferrare l’immagine. In realtà il montaggio delle scene, la scenografia, la luce, la luminosità, le ombre, gli scatti, l’inquadratura, il tempo e il pathos, sono tutti messaggi di una coscienza fotografica non sempre rivelata. Tutti questi ingredienti tecnici assegnano un ruolo fondamentale allo spettatore, in quanto viene considerato lui stesso elemento fra gli elementi artistici dello scatto. Sarà lui lo step finale del percorso fotografico, nel momento in cui creerà la propria  interpretazione.

L’autoritratto di Francesca Woodman e l’anticipazione del Selfie. Un movimento tra passato e presente

La Woodman ha creato le sue scene in ambientazioni che sembrano appartenere ad altre epoche: interni abbandonati, muri scrostati, vestiti senza tempo. La predilizione per il bianco e il nero e per alcune posizioni colte in movimento sospende la foto tra passato e presente.

Tanto sofisticata in ogni sua posa, ha voluto quasi documentare il passaggio dall’adolescenza all’età adulta vissuto attraverso la propria esperienza ed individualità, eppure universalizzato nei sentimenti comuni a quanti cercano la propria identità e il proprio spazio nel mondo. Le sue fotografie si inseriscono su uno sfondo esistenziale tormentato e offuscato, come le scenografie curate in ogni dettaglio per richiamare la giusta atomosfera decadente e le espressioni che si leggono nei ritratti.

L’autoscatto di Francesca Woodman si può considerare per certi aspetti quasi il precursore dei selfie di oggi. Scegliendosi come protagonista, ha raccontato la storia della sua vita, l’ha scritta sulla pellicola attraverso l’unico linguaggio che amava: la fotografia. Per Francesca Woodman la fotografia era conversazione con se stessa, desiderio di studiarsi e scrutarsi. Una vera e propria introspezione psicologica che coinvolge lo spettatore, diventando soggetto attivo dell’atto artistico.

Le foto di Francesca Woodman, poetica tra Dadaismo e Surrealismo

È facile scorgere nell’ineffabilità dei suoi scatti l’influenza del Dadaismo e del Surrealismo.

Del Dadaismo si riconosce la negazione dell’arte in quanto espressione dei valori e delle convenzioni borghesi, che frenano la libertà espressiva ed esaltano l’ipocrisia e la convenzionalità. Se vista in tal senso, l’atteggiamento irrazionale serve da strumento adatto a distruggere l’arte convenzionale. Il Dadaismo è una reazione contro l’assurdità di un mondo dove non c’è comunicazione.

Da qui nasce un movimento che parte dall’odio per la guerra e per l’incomunicabilità, ma che crea un atteggiamento più positivo: il Surrealismo. Il Dadaismo distrugge tutto, anche il linguaggio. Il Surrealismo vuole creare e cercare, si riconosce la volontà di andare oltre l’apparenza e la realtà tangibile. Il Surrealismo dà libero sfogo alla fantasia… quella fantasia offuscata e misteriosa che si legge nelle immagini eteree e ultraterrene.

«Ho dei parametri e la mia vita a questo punto è paragonabile ai sedimenti di una vecchia tazza da caffè e vorrei piuttosto morire giovane, preservando ciò che è stato fatto, anziché cancellare confusamente tutte queste cose delicate»

Francesca Woodman è stata un’anima inquieta e impaziente. La sua ricerca individuale è terminata con il suicidio all’età di 22 anni, ma la sua arte vive ancora, ed ha cambiato per sempre la storia della fotografia.

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