
Gideon Rubin realizza una serie di capolavori artistici originali e unici nel suo genere. Le pennellate sono larghe e dense, i colori sono vari, si estendono sulla tela in modo un po’ sparso e confuso, senza tenere conto dei contorni e della linearità. Spiccano per una particolare dote di freschezza e trasparenza, arricchiscono non solo il contenuto, ma anche i personaggi trattati, conferendo all’intera opera d’arte un fascino notevole e privo di tempo. Le tonalità maggiormente impiegate coinvolgono sfumature di colore che partono dal bianco, beige, per arrivare al rosa cipria. Le figure trattate sono anonime e prive di un’identità, tanto che i protagonisti interessati potrebbero essere chiunque.
La sua carriera artistica subì una svolta decisiva a seguito del tragico evento che colpì le Torri Gemelle l’11 settembre 2001. L’artista israeliano trovandosi a New York ne rimase totalmente scosso e al suo ritorno a Londra iniziò a dipingere i resti di vecchie bambole e soldatini abbandonati, privi di un’espressione facciale, che aveva trovato lungo la strada. Il realismo, che aveva da sempre caratterizzato le sue riproduzioni, in seguito a questo avvenimento inizia a manifestarsi nelle sue opere in maniera differente.
L’arte significativa e priva di identità di Gideon Rubin
Gli occhi, il naso e le labbra scompaiono per dare libero spazio ad una pittura decisamente più semplificata. Le figure vengono colte e raffigurate nei classici momenti spontanei della propria vita: durante una passeggiata all’aria aperta, in un momento di relax o di intimità. È in questi attimi che viene colta la visione realistica della quotidianità. I soggetti sono prettamente legati all’universo femminile e ai contenuti che riguardano l’infanzia, l’adolescenza, la famiglia e la memoria. Due coniugi che si lasciano fotografare, delle ragazze in piscina, i dettagli di uno stile fine e raffinato sono solo alcune delle tematiche affrontate e rappresentano momenti semplici di vita.
Dipingendo una figura senza volto l’artista crea un meccanismo di astrazione. Lo spettatore osservando l’opera viene stimolato a cogliere altri aspetti importanti che il dipinto porta con sè. Una postura, un gesto involontario o il modo di togliersi la maglietta sono le valide alternative su cui indagare per poter cogliere la natura dell’opera d’arte che si ha di fronte. L’anonimato dei volti porta alla memoria dello spettatore scene e persone che hanno fatto parte della propria vita, fantasmi di un passato che torna presente,
Una storia diversa per ogni spettatore
«L’arte non è ciò che vedi, ma ciò che fai vedere agli altri» – Edgar Degas
Gideon Rubin realizza le sue tele lasciando un punto interrogativo, una storia non raccontata. Togliere dettagli anziché inserirli è il processo che adopera per rendere lo spettatore in grado di immedesimarsi o identificarsi con l’opera. L’ispirazione con molta probabilità è legata al clima e all’ambiente in cui si è formato e cresciuto, oppure ad immagini tratte da vecchi album fotografici, scatti di paparazzi di celebrità, dipinti di vecchi maestri e fotografie di bambini nell’età vittoriana ed edoardiana. Senza indagare sulla reale identità dei soggetti rappresentati, le grandi pennellate rimandano a una dimensione esclusivamente emotiva, riuscendo a dipingere non tanto un volto, quanto le sensazioni e gli odori di una scena passata, come una cartolina, una finestra sulla propria storia di vita.
Sorge spontaneo chiedersi: “Di chi si tratta? Perché i soggetti rappresentati non hanno un volto?″. Questo è l’obiettivo dell’artista contemporaneo. Suscitare dubbi, smuovere certezze e far nascere una miriade di ipotesi in chi osserva una delle sue opere per la prima volta. Indagare sul vissuto, cercare di comprenderne le tecniche stilistiche, osservare i colori con attenzione, attribuirne una storia, queste sono le questioni che Rubin vuole far cogliere in coloro che osservano la sua arte cercando di decifrarla. Un’arte senza storia, senza volti, cristallizzata nel presente e in costante connessione con il personale mondo della memoria.