I Giganti della montagna di Gabriele Lavia. Sogno realtà e magia

“I Giganti della montagna” di Gabriele Lavia è l’ultimo capolavoro di Luigi Pirandello. Insieme ad un gruppo di formidabili attori, è stato portato in scena al teatro Mercadante di Napoli. La prima è stata assolutamente all’altezza delle aspettative. Il testo di pirandelliana memoria è rimasto incompiuto dall’autore, del finale non si hanno contezze, se non una dichiarazione postuma del figlio di Luigi Pirandello.

La storia narra di una compagnia teatrale capitanata da una contessa Ilse, che si imbatte in una villa disabitata in cui cerca riparo. In realtà il luogo è infestato da fantasmi che provano in tutti i modi a spaventare gli attori ma non vi riescono. La contessa Ilse ha vissuto una tragedia personale: un poeta innamorato follemente di lei si è suicidato. Da quel giorno lei vive in una dimensione del tutto personale che la porta in uno stato di forte straniamento e depressione, tale da travolgere tutti quelli che la circondano. Il marito in primis non riesce a recuperare il rapporto di dialogo che credeva di avere un tempo con lei, e la stessa compagine di attori si trova rifiutata da tutti i teatri perché ormai la magia di un tempo è svanita e quindi anche le rappresentazioni ne risentono negativamente.

Gabriele Lavia accompagna I Giganti a teatro

Nella messinscena sono ben scanditi i momenti chiave dell’opera, primo fra tutti l’incontro con i fantasmi. Questi hanno come punto di riferimento il mago Cotrone, impersonificato dallo stesso Lavia. C’è un’imprenscindibile considerazione da fare: Gabriele Lavia conferisce un tono di naturalezza al suo personaggio tale da non farci capire che sta recitando. Non è una descrizione che si può palesare in parole, ma di fronte ad un testo la maggior parte degli attori di teatro tende a perdersi nei meandri della dizione, conferendo cadenze innaturali ai personaggi, cantilenando spesse volte addirittura.

Lavia è sicuramente un caposaldo del teatro italiano, di conseguenza sapevamo benissimo che non sarebbe incappato in questo tranello metacomunicativo. Il punto però è che il suo modo di recitare ha ottenuto il risultato di tenere viva l’attenzione degli spettatori, che al giorno d’oggi avrebbero potuto considerare troppo cervellotico il filosofeggiare pirandelliano. È riuscito a caratterizzare con misura, senza strafare, dando una lieve sonorità in dialetto al suo personaggio e più in generale utilizzando camminate strampalate, che ritmicamente si coordinavano con le parole, senza dare un punto di riferimento preciso allo spettatore

Gli espedienti teatrali di Luigi Pirandello

Pirandello maestro di letteratura e di teatro, che già si era posto il problema di come il pubblico potesse accogliere le sue opere, trova un compromesso tra i monologhi del grande Cotrone e i dialoghi tra la contessa e il conte – per la maggiore – o l’interlocutore di turno. Questo compromesso è rappresentato da tre componenti importanti: la compagnia teatrale, i fantasmi e successivamente i fantocci. Questi ultimi due rappresentano le onde di questo mare in cui l’autore ci fa navigare. Un mare che come per magia ci solleva e ci scaraventa a terra, o semplicemente ci culla verso la deriva a comando. La deriva è invece il fattore metafisico dell’opera. Dalla spettacolare messinscena vengono fuori magia e sogno, due elementi che Pirandello usa come vettori ne “I Giganti della montagna”.

Il sipario è bipartito dal verde e dal viola, creando sfumature di colore cromate. Un sipario tagliato in diagonale che ci fa già presagire la visione di uno spettacolo fuori dal comune. I vestiti sono sfavillanti, a discapito della trascuratezza che poi rimandano e devono rimandare. Questo comparto della messinscena è stato davvero impeccabile insieme allo stesso trucco, e ha consentito al pari della recitazione di immedesimarci nel caleidoscopio teatrale.

“I Giganti della montagna” di Gabriele Lavia rende vivo il sogno e la magia di Pirandello

Appunto Luigi Pirandello usa sogno e magia per far capire che poi la realtà così tangibile non è, che le mille maschere sono contrapposte realmente ai pochi volti. E i suoi fantocci – interpretazione pazzescamente affascinante da parte degli attori sul palco – diventano appunto i sogni che si traducono in realtà. Ad un certo punto la pantomima degli interpreti dei fantocci superava la realtà immaginata dagli attori della compagnia della contessa. Giochi di luce e un enorme telo bianco che menzioniamo riassuntivamente – onde non precludere l’esperienza diretta a chi va a teatro – facevano da corollario a tutti i fuochi d’artificio che, sempre in maniera controllata, hanno invaso il teatro. Menzione speciale va per la scenografia. Vedere aprirsi il sipario e ritrovarsi un altro teatro di fronte è entusiasmante. I palchetti del Mercadante sembravano non finire, bensì continuare sul palcosenico.

Magia, realtà, sogno sono un tutt’uno in questo spettacolo dove Pirandello sembra suggerire che siamo solo noi a decidere la dimensione da vivere. Per lui è ben chiaro che bisogna seguire le proprie passioni, finanche verso l’autodissoluzione, ma soprattutto sembra evidente che per l’autore queste tre dimensioni sono tassativamente indissolubili. Frizzi, lazzi e introspezioni questo è quello che bisogna aspettarsi quando ci si siede in platea prima di assistere a “I Giganti della montagna” di Gabriele Lavia. Degnamente mette in scena Pirandello pur non riuscendo a sottrarsi a qualche momento di stasi, in cui il ritmo rallenta un bel po’, cosa fisiologicamente probabile nel 2020 ma alquanto ben governata dal regista.

Ringraziamenti dovuti

Il nostro plauso va agli attori che insieme a Gabriele Lavia hanno meravigliosamente calcato il palco. Hanno fatto rivivere non solo il lato strettamente prosaico del teatro, ma anche quello fanstastico, circense, magico. Quello talmente artefatto da essere poi reale e per il quale solo l’unione di una grande tecnica di base e di una profondità d’animo adatte riescono a creare il risultato notato. Grazie quindi a Federica Di Martino, Clemente Pernarella, Giovanna Guida, Mauro Mandolini, Lorenzo Terenzi, Gianni De Lellis, Federico Le Pera, Luca Massaro, Matilde Piana, Ludovica Apollonj Ghetti, Michele Demaria, Simone Toni, Marìka Pugliatti, Beatrice Ceccherini, Luca Pedron, Laura Pinato, Francesco Grossi, Davide Diamanti, Debora Rita Iannotta, Sara Pallini, Roberta Catanese, Eleonora Tiberia.

Le spettacolari scene sono ad opera di Alessandro Camera. I costumi, che hanno creato un colpo d’occhio incredibile per bellezza, varietà e meticolosità sono invece una realizzazione di Andrea Viotti. Musiche e luci hanno avuto la giusta dose di complementarità con il recitato. Le musiche di Antonio Di Pofi e in particolare le luci di Michelangelo Vitullo hanno contibuito insieme alle scene a rendere tridimensionale lo spettacolo. Attualmente il pubblico è abituato ad andare al cinema per vivere situazioni quasi realistiche. Il teatro in questo caso ha vinto questa idea.

Stare in platea è significato sentirsi avvolti, sentirsi parte, immedesimarsi pur non avendo indosso l’abito giusto per l’occasione. Certamente non cozzavano col resto, ma la quarta dimensione questa volta l’hanno rappresentata le maschere di Elena Bianchini e le coreografie di Adriana Borriello. Basti pensare ai fantocci, le cui maschere li facevano sembrare veri e propri manichini, ma i costumi e ovviamente le coreografie ribaltavano questa dimensione a piacimento dell’autore. Così i fantocci un secondo prima erano credibilissimi manufatti inanimati e poco dopo erano vivi ed elettrici, coreografanti, commentatori della scena.

Considerazioni finali

Insomma non era facile mettere su uno spettacolo di due ore e di una tale portata. “I Giganti della montagna” di Gabriele Lavia hanno come fine nobile quello di dare respiro alle parole di uno scrittore tra i maggiori conoscitori della psiche umana, quale è Pirandello. L’altro bilanciere su cui si muove Pirandello è il rapporto tra profondità dell’opera e gradimento o, meglio ancora, comprensione da parte del pubblico. Sembra interrogarsi meno Lavia di questo aspetto, o considerarlo solo in parte. Nonostante questo l’opera ha il pregio di arrivare non solo in platea, nei palchetti, ma in tutto il teatro e quindi toccare le corde di ogni spettatore. Che poi, è uno dei fini ultimi di ogni spettacolo che si rispetti, se non il più importante.

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