“Il bambino di pietra” di Laudomia Bonanni: le nevrosi di mente e corpo

“Il bambino di pietra” è un romanzo di Laudomia Bonanni, pubblicato nel 1979. Se il significato del titolo è tutto da scoprire pagina dopo pagina, quello del sottotitolo – “Una nevrosi femminile” – è ben chiaro. Il tema è evidente, ma sono lo stile e il modo in cui i singoli punti vengono affrontati a spiccare: rendono il romanzo attuale e la scrittura «convulsa e dolente, ma piena di vita e immaginazione», secondo l’opinione di Dacia Maraini.

Il romanzo è un viaggio nella mente e nel corpo della protagonista, la quale chi legge conoscerà nel profondo sempre di più, agevolato dalla narrazione in prima persona. Al centro vi sono, chiaramente, le sue nevrosi “femminili”. Ma, una malattia, una patologia può avere una peculiarità di genere?

Per Cassandra, donna di quarantasette anni, sposata e senza figli, sì. A ben pensarci, ogni punto critico della sua esistenza è valutato sotto la lente del femminile, dalla prospettiva di chi sente negarsi qualcosa troppo spesso o, altrimenti, se la nega da sé. La natura “mostruosa”, come Bonanni la definisce, è al centro della sua analisi e con essa anche le sue declinazioni: la maternità, la sessualità, il rapporto con la famiglia e con l’amore, l’infanzia. Ognuno di queste tappe esistenziali ha uno spazio tutto proprio, ma non in ordine né incasellato come in una narrazione logica e lineare. Sembra, anzi, che i ricordi e i pensieri vengano fuori senza preavviso e che la sola cosa che rimane alla protagonista sia prenderne nota e cercare di dar loro una forma.

La scrittura come auto-analisi in “Il bambino di pietra”

Cassandra, infatti, ha uno specifico compito datole dal suo psicanalista: analizzarsi tramite la scrittura, mettere in evidenza gli eventi fondamentali della sua vita, parlare delle persone che frequenta, della famiglia. Insomma, nuotare sotto il livello. Il dottore paragona il lavoro di analisi ad una nuotata nelle profondità del mare, o meglio degli abissi della mente: più scende di livello, più ricorda fatti, più si esamina. La protagonista prenderà il ritmo della narrazione di sé scrivendo nelle condizioni più scomode, negli orari più impensabili proprio perché trascinata dalla corrente della memoria. La scrittura di Cassandra è diaristica, un resoconto cronachistico che mette subito in piazza i sintomi corporei e mentali delle sue crisi peggiori.

Quell’intorpidimento delle membra che quasi non ti appartengono più e nello stesso tempo a malapena ti contengono.

Registra le minime paure, come quella di sentire troppo il battito del suo cuore fino a ricordarsi di stare vivendo, o quella di non sentirsi il corpo. Tiene conto anche di quelle più grandi, come i viaggi – cioè un percorso verso l’ignoto – o la solitudine – molto meglio essere sola in mezzo a tanta gente che sola ed esposta – con la medesima sincerità con cui affronta i temi più scottanti: la famiglia e la maternità.

Sincerità e anche un po’ di crudezza quando parla di aborto o di suicidio, quest’ultimo intimamente collegato alla sfera del femminile: come se Cassandra provasse i dolori di tutte le donne che le gravitano intorno, si accorge dei cambiamenti umorali di ognuna di loro, li studia. È un vizio, ormai non può più farne a meno, legge se stessa e le altre donne, specialmente quelle della sua famiglia.

Il significato del titolo e la stile di Laudomia Bonanni

Proprio alla famiglia riconduce l’origine di tutte le sue reticenze, dei non detti e del senso di protezione soffocante che scopre averle fatto più male che bene. A partire dal sesso: la vaghezza con cui gli adulti sottintendevano l’atto sessuale davanti a lei bambina oppure l’esplicita idea che per una donna le relazioni amorose possono essere un pericolo, mentre il matrimonio una vera fortuna.

Segue, per una sorta di reazione logica, il rifiuto della maternità dato dall’assenza d’istinto di procreazione e dall’impossibilità di possedere un figlio. Scavando nella memoria, però, congiunge una conversazione della sua infanzia con una notizia di litopedio, cioè di calcificazione di un feto, nella quale vede la chiave della sua negazione della maternità:

L’irriducibile paura della maternità? Rimozione? Avrà rimosso il bambino da cui ero ossessionata e traumatizzata? Il figlio rimasto inespresso come un feto calcificato? Questo il blocco che portato dentro: l’immaginario bambino di pietra?

La scrittura di Laudomia Bonanni vuole esprime tutta l’intensità dei sentimenti di Cassandra: proprio come la protagonista è affetta da crisi nevrotiche, anche la prosa del romanzo presenta periodi spezzati dal ritmo frenetico – come si denota dall’assenze di virgole negli elenchi – e spesso confusi, il che è aiutato dalla presenza di frequenti anastrofi. Usa, inoltre, immagini vivide e forti, come quelle del suicidio, ma anche sconnesse le une dalle altre proprio per conferire al testo quel senso di verosimiglianza nel seguire il flusso dei pensieri. Lo stile e la sensibilità dell’autrice imprimono una sorta di sigillo di garanzia sul tema della nevrosi, che non è trattato affatto con morbidezza, semmai con una punta di dolore continua.

Il bambino di pietra
Il bambino di pietra di Laudomia Bonanni

"Il bambino di pietra" è un romanzo di Laudomia Bonanni, pubblicato nel 1979. Se il significato del titolo è tutto da scoprire pagina dopo pagina, quello del sottotitolo - "Una nevrosi femminile" - è ben chiaro. Il tema è evidente, ma sono lo stile e il modo in cui i singoli punti vengono affrontati a spiccare: rendono il romanzo attuale e la scrittura «convulsa e dolente, ma piena di vita e immaginazione», secondo l'opinione di Dacia Maraini.

URL: https://www.cliquot.it/portfolio/il-bambino-di-pietra/

Autore: Laudomia Bonanni

Autore: Cliquot Editore

ISBN: 9788899729400

Formato: https://schema.org/EBook

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