Il Coronavirus nelle carceri italiane. Sommosse per la tutela

Coronavirus nelle carceri italiane

L’emergenza Coronavirus ha trasformato il nostro Paese in modo inimmaginabile. Non ultima la tragedia che si è consumata per il Coronavirus nelle carceri italiane. Nessuno di noi, per quanti anni abbia vissuto, può ricordare niente che neanche lontanamente somigli allo scenario drammatico che stiamo vivendo tutti, come singoli e come comunità. Le piazze delle nostre meravigliose città d’arte deserte. Le onde del mare si infrangono come sempre contro le splendide scogliere della penisola, ma senza nessuno che ne goda la magnificenza. Il Paese del sole, del mare, del buon vino e dell’alta moda trasfigurato in una landa desolata, prosciugata della sua vera anima: le persone.

L’emergenza internazionale del Coronavirus ci ha colto di sorpresa. Tante sono le conseguenze inaspettate di cui siamo stati testimoni: dall’esodo di massa verso le città natie alla corsa selvaggia ai supermercati, dal panico irrazionale alla clausura forzata di un’intera nazione. 

Le misure anti- Coronavirus nelle carceri italiane

«Il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni.» Fëdor Dostoevskij

Per limitare la diffusione del Coronavirus all’interno delle carceri sono state prese dal governo misure molto restrittive per i detenuti. I colloqui con i parenti sono stati sospesi fino al 3 Aprile, la libertà vigilata è stata severamente limitata, ogni attività ricreativa è stata sospesa. Le attività relative all’istruzione sono state interrotte e ai volontari è stato impedito l’ingresso. Per permettere ai detenuti di continuare a mantenere un contatto con i propri cari sono stati previsti colloqui via Skype, ma soltanto nel 40% dei carceri italiani è disponibile la tecnologia necessaria e la durata di queste telefonate è molto limitata.

Tutto questo si va ad aggiungere ad una situazione igienico-sanitaria precaria. Le carceri italiane sono sovrappopolate. Si possono trovare anche 9 persone in una stessa cella, spesso con una sola doccia. Nel 35 % delle carceri manca l’acqua calda. Non si dispone di abbastanza celle di isolamento per poter fronteggiare un’eventuale epidemia. Il Coronavirus potrebbe trovare qui, nella sporcizia e dell’incuria, l’ambiente ideale per la sua diffusione.

Le rivolte

Negli ultimi giorni, ci sono state sommosse in più di 30 carceri italiane. I primi casi sabato 8 Marzo nelle carceri di Napoli (Poggioreale) e Salerno hanno dato il via ad una lunga serie di rivolte. Nel carcere di San Vittore a Milano, i detenuti hanno bruciato materassi e sono saliti sul tetto ed intonare cori per raccontare la propria condizione. A Modena sono morte sei persone durante le durissime proteste, diversi detenuti hanno provato ad evadere. A Pavia si credeva che i detenuti avessero preso in ostaggio due agenti penitenziari, notizia che è stata poi smentita. Anche a Foggia le violente proteste hanno portato ad alcune evasioni. Lo stesso è successo a Frosinone.

Si potrebbe andare avanti a lungo. Secondo i dati dell’associazione Antigone ci sono stati 14 morti in questi giorni negli istituti di pena italiani, ma sono circa 50 le persone coinvolte negli scontri. Ancora molte le ombre sulla causa di alcune morti. Ad esempio a Modena, dove secondo i rapporti dell’amministrazione penitenziaria 2 persone sarebbero morte per overdose di farmaci, rubati  dall’infermeria. Le indagini sono in corso.

Le grandi contraddizioni della nostra società

L’emergenza, come spesso accade, rende più spietate le contraddizioni della nostra società. Ci auguriamo che questo tempo di sospensione stimoli una riflessione ragionata e non offuscata dalla pauraIn Italia le carceri straripano. Ci sono 61.230 detenuti, ma soltanto 47.231 posti. Questo significa anche che molte persone sono costrette a convivere in spazi angusti. In molti casi non c’è neanche una doccia per cella, costringendo i detenuti a fare la doccia a turni, in ambienti ammuffiti ed insalubri – ad esempio a Torino e nel carcere di Secondigliano di Napoli -. Se qualcuno si ammala, le celle di isolamento sono pochissime. Ma come fanno le celle a riempirsi se i reati continuano a diminuire? Secondo il succitato rapporto Antigone ci sono 100.000 reati in meno su un totale di 3.000.000 .

Nella patria di Cesare Beccaria la politica presta poca attenzione alle condizioni delle carceri. Argomento di cui si parla solo per i suoi aspetti burocratici o per inasprire le pene.

Le richieste anti-coronavirus nelle carceri

«Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato» – Articolo 27, comma 3 della Costituzione della Repubblica Italiana

Secondo SAPPE, il sindacato della polizia penitenziaria, le persone recluse chiedono di essere tutelati contro il rischio Coronavirus nelle carceri. Bisogna proteggerli, dotarli di mascherine e disinfettanti. Vogliono proteggere anche il personale penitenziario, gli operatori sanitari e i magistrati di sorveglianza. Ricordando sempre che nessuna vita vale più di un’altra. Patrizio Gonnella (Antigone) fa un appello ai direttori delle carceri e ai magistrati chiedendo di assicurare un contatto telefonico quotidiano con i propri cari ai detenuti.

Rita Bernardini di “Nessuno tocchi Caino“, va oltre: chiede l’amnistia e l’indulto per i soli reati meno gravi, cioè per chi deve scontare pochi mesi di reclusione.  Lo scopo è quello di svuotare gli istituti di pena. Ci sono 8.000 detenuti condannati a 2 o 3 mesi di carcere che, se uscissero, renderebbero possibile la sanificazione dei penitenziari. In un Paese civile è necessario che le pene siano certe e che vengano fatte scontare; ma non si può chiedere a chi le sta scontando di rinunciare anche alla dignità umana.

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