Il Giudizio Universale di Michelangelo. Senso tragico del destino

Un miracolo e una meraviglia è considerato il “Giudizio Universale” di Michelangelo, diventato uno dei simboli dell’arte italiana. Realizzato tra il 1536 e il 1541, l’incarico venne affidato al Buonarroti all’indomani dell’elezione al soglio pontificio di Paolo III Farnese. Uomo di grande cultura e generoso mecenate, l’ultimo papa del Rinascimento confermò la realizzazione dell’immenso dipinto, già programmato dal predecessore Clemente VII Medici -al secolo Giulio de’ Medici, cugino e successore di papa Leone X-, deceduto prima che l’artista potesse iniziare il lavoro.

Cosa rappresenta e il significato del “Giudizio Universale” di Michelangelo. Spiegazione

Il “Giudizio Universale” di Michelangelo appare come una visione. Ci si dimentica come d’incanto della parete e si assiste rapiti agli eventi ultimi della storia dell’umanità. Si tratta di una catastrofe immane, dove un’umanità inerme e sgomenta viene travolta dall’ira di Dio.

Su di un profondo sfondo azzurro oltremarino, ricavato dall’utilizzo della costosa pietra azzurra di lapislazzulo, si stagliano i corpi tozzi e pesanti dei salvati (a sinistra). Attoniti e disorientati, vengono issati con affanno verso l’alto, mentre faticosamente conquistano il cielo aggrappandosi alle nuvole, talvolta aiutati da qualche angelo. Uno di questi con la corona del Rosario, che a prima vista sembra quasi una corda, tira su due uomini. Un gesto simbolico a mostrare che quello della fede è un percorso faticoso, non sempre agevole, ma che la preghiera può essere un aiuto.

A queste anime è rivolto lo sguardo compassionevole della Vergine, materno e pietoso. La sua figura appare in torsione, con gli occhi abbassati, rannicchiata nell’ombra nella chiusura del velo e quasi intimorita dall’ira di suo figlio.

«Separata e prossima al figliuolo la madre sua, timorosetta in sembiante e quasi non bene assicurata dell’ira e secreto di Dio, trarsi quanto più può sotto il figliuolo» – A. Condivi, Vita di Michelangelo (1553)

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 Al centro della composizione è posta la figura del Cristo-giudice che, con un gesto imperioso e potente delle braccia, asseconda la discesa dei dannati. È una figura imponente, illuminata da un alone dorato, dal volto serioso e fiero che mette soggezione.

«Sopra gli angioli delle trombe è il figliuol di Dio in maestà, col braccio e potente destra elevata in guisa d’uomo che irato maledica i rei e gli scacci dalla faccia sua al fuoco eterno e colla sinistra distesa alla parte destra par che dolcemente raccolga i buoni» – A. Condivi, Vita di Michelangelo (1553)

Come sono i corpi dei dannati e l’influsso di Dante nel “Giudizio Universale”

 Con la stessa forza, i corpi dei dannati (a destra), tentano invano l’assalto al Cielo, ma vengono con tenacia spinti a suon di pugni da creature diaboliche in basso. Precipitano con tutta la loro pesante gravità verso l’Inferno rosseggiante di fuoco. Angosciati e disperati dalle loro colpe, con sguardi terrorizzati e corpi tontorti, vanno incontro ad un tragico destino.

«Per me si va nella città dolente, per me si va ne l’etrno dolore, per me si va tra la perduta gente» – Dante (Inferno, Canto III)

Caronte li percuote con un remo e li traghetta ammassati su di una grande barca alata in quel luogo di dolore, sotto lo sguardo del guardiano Minosse. Il mitologico traghettatore è però dipinto da Michelangelo attraverso la descrizione che il poeta Dante ne dà nell'”Inferno”. Mentre Minosse, orecchie d’asino e un serpente che gli morde i genitali, è i cerimoniere papale Biagio da Cesena che, sprezzante, giudicò la Cappella Sistina “degna d’osteria” a causa i nudi ritratti.

«Stavvi Minos orribilmente, e ringhia
essamina le colpe ne l’intrata
giudica e manda secondo ch’avvinghia
» – Dante (Inferno, Canto V)

I corpi come protagonisti e i santi

Non c’è gioia nei volti dei salvati, ma solo cupo terrore fra i dannati verso i quali si volge il Giudice divino. È il giorno della sua ira tremenda, quello in cui tutti saranno giudicati e il movimento vorticoso dei corpi si somma alle grida disperate, alle urla dei demoni, all’assordante suono delle trombe degli angeli che, com’è scritto nell’”Apocalisse”, annunciano l’arrivo di Cristo (Matteo 25, 31-46). Alcuni di essi sono raffigurati nelle lunette in alto, forti anatomicamente, recano i simboli della Passione -la croce, la colonna della flagellazione, la corona di spine-. Altri angeli, sotto la figura di Cristo, suonano le trombe per richiamare in vita i morti e leggono dai registri i nomi di chi è destinato alla salvezza (Paradiso) o alla condanna (Inferno).

Oltre agli angeli, attorniano le figure di Maria e Gesù, una moltitudine di santi. Alcuni sono facilmente riconoscibili. A destra in piedi, con le mani tese verso Gesù, San Pietro che timoroso gli restituisce le chiavi del Paradiso. Sotto di lui, su di una nuvola, San Bartolomeo, che morì scuoiato vivo ed è per questo raffigurato mentre tiene in mano la sua pelle, afflosciata come un sacco vuoto, raffigurante un volto barbuto nel quale si riconosce l’autoritratto di Michelangelo. In San Bartolomeo i critici hanno individuato il volto di Pietro l’Aretino, il quale bollò pubblicamente l’opera di Michelangelo come “volgare”.

Sotto Maria è raffigurato San Lorenzo con la graticola, sulla quale venne abbrustolito. A sinistra frontale San Giovanni Battista con le spalle coperte da pelli di animale, con il volto dai forti lineamenti segnati e un’anatomia perfetta. Accanto a lui, di spalle, Sant’Andrea con la croce del suo martirio. Appaiono inoltre Santa Caterina d’Alessandria, con la ruota dentata alla quale fu legata, e San Sebastiano, con le frecce che lo trafissero.

Tra le figure a sinistra sono rappresentate le eroine del Vecchio Testamento, le Sibille, le Sante, le Martiri. Una figura in piedi, a seno scoperto, raffigura probabilmente Eva, la prima donna, nell’atto di consolare un’altra figura femminile. Mentre a destra si distingue Simone di Cirene che aiutò Gesù a portare la croce sul Golgota.

Eliminando ogni ricerca di perfezione formale, Michelangelo scelse di raffigurare il tormento delle anime dannate, che era al tempo stesso il tormento della sua anima, priva della certezza della salvezza. La bellezza ideale cedette il passo alla tragicità del destino umano. Il corpo umano è il vero protagonista nell’immensa scena del Giudizio Universale. La sua nudità ha un significato primordiale. Corpi dalle dimensioni imponenti che sconvolgono la staticità degli equilibri, dando l’impressione di precipitarci addosso.

La volta della Cappella Sistina e la commissione del Giudizio Universale di Michelangelo. Curiosità

La nascita di Michelangelo Buonarroti (1475-1564) è ritenuta da Giorgio Vasari (in “Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori, e architettori”) una benedizione di Dio. Il principale protagonista del Rinascimento italiano ebbe una vita lunga e tormentata, ma ricca di successi. A Firenze, dove si trasferì con la famiglia, crebbe alla corte raffinata di Lorenzo il Magnifico. Successivamente, si consacrò nella monumentale, potente Roma dei papi.

Il “Giudizio Universale” si trova sulla parete dietro l’altare della Cappella Sistina, dove l’artista aveva dipinto la volta 30 anni prima. L’affresco della volta si estende su una superficie di oltre 500 metri quadri, dove Michelangelo illustrò la storia dell’umanità dal caos primordiale alla promessa della Redenzione, il grandioso prologo della venuta di Cristo. Oltre 300 figure, tra cui Sibille, Profeti e scene tratte dal libro della Genesi, animano una volta caratterizzata da un’architettura dipinta, illusoriamente aperta verso l’esterno. Un’impresa altrettanto titanica venne nuovamente realizzata per il Giudizio Universale.

Questa volta però Michelangelo, temendo di essere ormai troppo anziano, prima di accettare l’incarico tergiversò. Ma il papa non volle sentire ragioni. Decise così di non farsi suggestionare dalla vastità dallo spazio da dipingere e affrescò tutto l’area a disposizione senza aiutarsi con l’organizzazione architettonica usata per le storie della volta. Distrusse gli affreschi 400eschi preesistenti, tra cui l’”Assunzione di Maria” del Perugino e le “Storie di Mosè e Gesù” sulle pareti laterali per mano di Botticelli, Signorelli e Ghirlandaio. Michelangelo Buonarroti passò poi a lavorare al progetto.

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Abbandonò la tradizionale iconografia del tema, ovvero la rappresentazione gerarchica in fasce parallele dei beati e dei dannati, a favore di una rappresentazione rivoluzionaria. Le anime sono infatti raffigurate in una sorta di vortice, generato dal gesto imperioso di Gesù che ci inchioda a guardare la scena caratterizzata da figure imponenti, reali ed espressive.

La censura delle nudità e il restauro

A seguito dell’ondata censoria alimentata dal Concilio di Trento (1545-1563), nel 1564 venne deciso di coprire le “scandalose” nudità delle figure michelangiolesche, poche settimane prima della morte di Michelangelo.

Non furono però soltanto i nudi a scatenare polemiche. Preoccupavano soprattutto l’impostazione caotica della composizione, così poco ortodossa, così poco gerarchica, in un momento storico in cui la Chiesa di Roma voleva comunicare solo certezze. Tutto ciò risultava estremamente difficile da accettare. Ciò che traspariva agli occhi della Chiesa era un diffuso senso di angoscia che, con gli angeli privi di ali, investiva tanto i dannati quanto i beati e perfino le creature celesti.

Il compito della revisione dell’affresco venne dato a un amico e allievo del Buonarroti: Daniele da Volterra, poi detto il Braghettone, a causa delle “braghe” con cui rivestì i corpi nudi dipinti dal maestro. L’opera di copertura proseguì fino al XIX secolo, eliminando qualsiasi elemento osceno rimasto. Solo negli anni Novanta alcuni interventi di restauro eliminarono le ultime coperture, lasciando visibili solo quelle realizzate nel ‘500.

La copia a Napoli

Nel Museo Nazionale di Capodimonte, a Napoli, è custodito “Il Giudizio universale” in tempera su tavola di Marcello Venusti, realizzato nel 1549 su commissione del cardinale Alessandro Farnese. Il dipinto venne commissionato dal cardinale in modo da poter conservare presso la propria collezione di famiglia una copia del “Giudizio Universale” affrescato da Michelangelo Buonarroti nella cappella Sistina a Roma. Alla fine del XVIII sec, arrivò a Napoli come parte integrande della collezione Farnese.

L’opera è di fatto una testimonianza dell’affresco michelangiolesco così come si presentava prima dei dettami del Concilio di Trento nel 1564. La versione di Venusti è fondamentalmente fedele all’originale, ma con alcune diversificazioni. Si pensa, ad esempio, alla scena del Cristo giudice in cui è presente un gruppo di angeli gloriosi, a differenza da Michelangelo che ha preferito rappresentarlo in un completo isolamento.

Dettagli e immagini del Giudizio Universale di Michelangelo Buonarroti

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