
Oggi 25 Marzo, per il secondo anno consecutivo, si celebra in tutta Italia il Dantedì. Le iniziative per ricordare il sommo poeta si replicheranno ancora più avanti, speriamo in modalità corali condivisibili non più solo virtualmente. Dante è un gigante di cui noi italiani andiamo fieri, il Padre della nostra lingua moderna e l’immaginifico cantore di quella Commedia che, giustamente, Boccaccio etichettò come “divina”. Bene, al di là della retorica, della divulgazione mordi e fuggi, del blando studio triennale imposti dai programmi ministeriali, noi la Divina Commedia (e in particolare Il Paradiso) di Dante la conosciamo poco e male.
La “Divina Commedia” di Dante Alighieri
Mentre in tutto il mondo l’opera di Shakespeare viene prodotta, confezionata, ridotta trattata, proposta in ogni modo, dal reading al balletto, dalla commedia teatrale alla forma cinematografica ( ricordo solo “Shakespeare in love”,1998), dal fumetto alla formula del teatro cabaret (vedi apprezzabile spettacolo del duo barese Signorile- Stornaiolo portato in scena nei maggiori teatri pugliesi), il capolavoro dantesco viene relegato ai grandi appuntamenti di Ravenna, alle repliche delle letture di Benigni e di Sermonti, alle serate tematiche delle varie Società Dante Alighieri e poco più.
Anni fa, al teatro Verdi di Brindisi, ci fu una spettacolare, innovativa “opera totale” a firma del lituano Eimuntas Nekrosius, regista di gran genio. Una “Divina Commedia” grandiosa, complessa, caratterizzata dalla potenza visionaria degli autori, un’opera fiume della durata di oltre quattro ore. Scenografie minimaliste (quinte sceniche nere come l’Inferno, una grande sfera, un muro di specchi ed una spirale di rame che scendeva dall’alto), coreografia dinamica e voci declamanti in italiano e in lingua lituana, incomprensibile foneticamente eppure di grande resa emotiva. Ma il Paradiso è appena accennato, è la meta a cui, nel finale, si accede attraverso una porta semi aperta. Come sempre, si conferma la tendenza a privilegiare la prima e la seconda cantica, più “umane” e leggibili, diradando la lettura, anche teatrale, del Paradiso di Dante.
Divina Commedia – Il Paradiso di Dante. Poesia dell’intelligenza
Invece, proprio la terza cantica, la più ostica, è di gran lunga la più bella ed appagante. Lo affermava anche Umberto Eco che a questo tema dedicò un corposo articolo pubblicato nel 2000 sul paginone de “la Repubblica” in occasione del settecentenario della Commedia. Non solo Eco, ma anche altri studiosi hanno preferito il Paradiso alle altre due cantiche.. Uno di questi è stato Giovanni Getto, autore di testi fondamentali sull’argomento. Anche chi vi scrive, nel suo piccolo, ai tempi del liceo fu affascinato dalla impervia complessità della passione metafisica e dalla poetica della luce presenti nel Paradiso di Dante.
In verità la predilezione per quella che Eco definì “poesia dell’intelligenza” mi fu indotta da un testo commentato da Attilio Momigliano. Andò così: la mia classe adottava il testo del Sapegno, io però avevo a disposizione anche il libro curato dal Momiglliano, il quale, armato solo di matita, aveva lavorato al Paradiso quando era prigioniero dei Nazisti nel 44. Parole e concetti sublimi, di intensa spiritualità, capaci di svelare il mistero poetico di quei versi così difficili ma anche così pregni di immensità. Ricordo ancora passi magistrali in cui il geniale dantista descriveva l’ineffabilità dei versi musicali ed il concetto di luce, anzi dei “gorghi luminosi”.
Il Momigliano riuscì a farmi cogliere quella dimensione eterea, immateriale, sospesa, segno di un trionfo luminoso che io, diversamente credente, leggevo come apoteosi virtuale fantasy in grado di portarmi ad una forma di estasi laica, insomma una sorta di Paradiso… artificiale senza danni collaterali. La luce, nella terza cantica, viene diffusa per gradi ed aumenta di intensità, come moderni fari a luce Led progressiva, man mano che ci si avvicina a Dio, canto dopo canto. Gli splendori fiammeggianti iniziano con gli “spiriti attivi” descritti ne cielo di Mercurio (canti VI e VII), poi seguitano nel cielo di Venere (canti VIII e IX), dove troviamo gli “spiriti amanti”. Ma il trionfo della LUCE si manifesta, in tutto il suo splendore, nell’Empireo, «pura luce intelletual piena d’amore», dove il poeta, per un attimo, avrà il privilegio di vedere l’Altissimo, fiume di luce purissima…
«E vidi lume in forma di rivera/ fluvido di folgore, intra due rive/ dipinte di mirabil primavera»
La luce è verità, illuminazione divina, ed è la stessa luce che Dante vede negli occhi di Beatrice. I versi del Paradiso esprimono “passione metafisica” e rappresentano la celebrazione del virtuale, l’esaltazione dell’immateriale. E tradurre la metafisica, i principi teologici e le dottrine dei Padri della Chiesa in versi musicali fluidi e di grande respiro lirico, non è certo un’operazione a portata di poeti “normali”. Per questo Durante Alighieri detto Dante, è il campione assoluto della poesia, il fuoriclasse della cultura nazionale. Se volete davvero raggiungere l’estasi, prendete in mano la terza cantica e leggetela col sottofondo delle musiche di Bach o di Haendel. Dante è come un diamante, è per sempre.
Sono dell’idea che bisognerebbe proporre corsi di studio della “commedia” anche all’Università, con valore di credito formativo, in quanto la fase di apprendimento che si fa al liceo non è certo esaustiva, ma solo propedeutica ad acquisire altri gradi superiori di comprensione raggiungibili con l’età più adulta, e infine con la maturità. Ogni italiano dovrebbe portarsi dentro il capolavoro dantesco per tutta la vita!