“Infanzia” di Tove Ditlevsen. Una vita da poetessa in un mondo di uomini in 3 atti

“Infanzia” di Tove Ditlevsen racconta la sua crescita di donna e poetessa nel mondo dei quartieri operai di Copenaghen. Un mondo fatto su misura degli uomini, in cui non c’è spazio per una giovane donna e per i suoi versi.

“Infanzia” di Tove Ditlevsen. La trilogia di Copenaghen

«[…]senza che io me ne renda conto l’infanzia cade in silenzio sul fondale della memoria, che è la biblioteca della mente, dalla quale attingerò conoscenza ed esperienza per tutto il resto della vita.» – “Infanzia” di Tove Ditlevsen

“Infanzia” è il primo romanzo che compone la trilogia che Tove Dietlevsen ha scritto nel 1967. La trilogia di Copenaghen è rimasta sconosciuta in Italia fino oggi, con la sua pubblicazione recente con Fazi Editore. Offre il racconto in tre atti delle memorie autobiografiche dell’autrice: l’Infanzia, la Gioventù e, infine, la Dipendenza da alcol e droghe che portò la donna a togliersi la vita nel 1976 (a soli 56 anni!).

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Riavvolgendo il nastro della sua vita, l’autrice sa di non poter tralasciare il racconto della propria infanzia. Quella fase indispensabile della vita che, dopo essere stata superata e patita, «resta attaccata addosso come un odore» da cui, forse, «solo la morte» può liberare. Un’infanzia «lunga e stretta come una bara» nel suo caso, e non di certo povera d’infelicità. Eppure, nel bene come nel male, un’infanzia che ha contribuito a renderla la donna tormentata e profonda che è stata.

La prima regola del quartiere di Vestebro: I maschi fanno i maschi e le femmine fanno le femmine

Tove nasce il 14 dicembre del 1918 nel quartiere operaio di Vestebro (Copenaghen) da genitori poveri che nascondono a tutti la propria povertà. Il suo non è un quartiere adatto ai bambini: la notte si riempie di ubriachi che dormono stesi a terra con la testa rotta e sanguinante. Se si entra da soli al Café Charles, si rischia di venire uccisi. Hans Scabbia, Lili Bella, Raperonzolo e l’adescatore sono solo una piccola parte dell’umanità derelitta che popola questo mondo.

Eppure, persino un posto del genere ha le sue regole. E la prima dice questo: «i maschi fanno i maschi e le femmine fanno le femmine». Per questo, quando Tove si appassiona troppo ai libri, suo padre le ricorda che «le femmine non possono fare le scrittrici». Per questo, quando cammina insieme al fratello Ditlev, deve stare tre passi indietro a lui. E sempre per questo che, mentre il fratello è costretto a diventare l’orgoglio di famiglia, a lei è permesso sperare una cosa sola: che un giorno qualcuno la sposi.

Ruth, Minna e le altre sue coetanee sono contente di passare il loro tempo a spettegolare e a fantasticare sull’uomo che sposeranno. È Tove a non essere contenta del ruolo di moglie e madre che, già da bambina, la società vuole obbligarla a ricoprire.

La storia di Tove: la diversità di una bimba nascosta da maschera

«Quando sento un canto nascermi dentro, faccio molta attenzione affinché non apra buchi nella mia maschera. Nessun adulto sopporta il canto del mio cuore o le ghirlande di parole della mia mente.» – – “Infanzia” di Tove Ditlevsen

A Tove basta poco per capire di essere diversa dalle altre. E siccome è una ragazzina fin troppo intelligente capisce anche un’altra cosa: se vuole sopravvivere, deve fare in modo che gli altri non lo scoprano. Per questo si finge «stupida» e, per mimetizzarsi meglio fra loro, assume la forma del riflesso delle sue coetanee, senza darsi la possibilità di capire chi è.

Ma, che le piaccia o no, sotto alla maschera che indossa ci sono versi e parole che chiedono di uscire, c’è un «caos di rabbia, dolore e compassione» che la ragazzina non riesce a fare a meno di provare, ci sono sogni che scottano, per quanto lei faccia di tutto per spegnerli.

Perché, anche se finge il contrario, a Tove non interessa affatto incontrare l’uomo dei suoi sogni. L’unica cosa che interessa a questa ragazzina affamata di parole sono i libri. E non quelli per ragazzi, che ben presto la annoiano, ma i libri “veri”, quelli da adulti che riesce a farsi procurare di nascosto dalla bibliotecaria. È solo questione di tempo prima che questa infaticabile lettrice inizi a mettere per iscritto di nascosto i versi che le si affollano nella mente. Solo questione di tempo prima che il «mondo degli uomini» scopra quei versi e, con risate di scherno e allusioni maliziose, ricordi alla ragazza il posto che deve occupare.

“Infanzia” di Tove Ditlevsen. Dolore e lotta in versi di una donna in un mondo di uomini

Quella che Tove Dietlevsen impugna non è una penna, ma una rivoltella carica. Il realismo composto e magistrale che le si vede osservare è la sicura. I colpi, invece, sono le emozioni violente che il lettore vede deflagrare in maniera repentina e mai stucchevole.

Sono le grida di dolore, di rabbia, di protesta di una donna che non ha scelto di nascere tale in un mondo fatto a misura per gli uomini. Una donna che non ha scelto di diventare scrittrice ma che, nonostante abbiano provato a impedirglielo, è stata costretta a diventarlo. Perché, dopo tutto, è questo che fanno le passioni determinanti come quella che racconta la Dietlevsen: ci determinano.

E, all’incanto della loro ribellione, il mondo, anche un mondo misogino e retrogrado come il suo, può solo arrendersi e piegarsi. Alla fine del romanzo, infatti, quella che si prepara a varcare la soglia dell’età adulta, è una giovane donna che, invece di temerli e di ostacolarli, ha deciso di lasciarsi determinare dagli imperativi categorici della sua sconfinata passione per la scrittura.

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