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Intervista a Diego Galdino: Una storia straordinaria. Il Nicholas Sparks italiano

By Katia Cava
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Intervista a Diego Galdino: una vita straordinaria.

Una lettura rilassante, il bisogno di riconoscersi nei sentimenti e nelle sensazioni più profonde del proprio vissuto. È questo che anima spesso il lettore alla ricerca di un libro. Un orgoglio tutto italiano risponde a queste esigenze: “Una storia straordinaria” di Diego Galdino.

Attraverso la sua esperienza di barista, è l’esempio perfetto di come un sogno possa divenire realtà. Mi piace pensare che il suo “Caffè” sia stato trasformato in un salotto culturale, perché le emozioni raccolte dallo scrittore e il suo concetto d’ amore ritornano nei suoi libri. Abbiamo quindi avuto il piacere di intervistarlo per conoscerlo meglio, ci ha parlato di sè, dell’amore e del suo ultimo romanzo.

Intervista a Diego Galdino, il Nicholas Sparks italiano

Salve Diego, entriamo direttamente nel pieno dell’intervista. Lei ha questa particolarità di svolgere il mestiere di barista oltre che quello di scrittore. Da dietro al bancone può scorgere e ascoltare pezzi di vita delle persone più disparate… quanto ha influenzato l’esperienza lavorativa nella sua produzione letteraria, ossia quanto del “barista” c’è nello “scrittore” e viceversa?

In realtà del barista nello scrittore c’è poco o niente, o almeno così l’avevo pensata quando ho iniziato a scrivere. Cercavo un modo per evadere dal mio contesto quotidiano, che mi permettesse di lasciare il bancone almeno con la fantasia. Poi una specie di vendetta del destino ha fatto sì che il romanzo che mi ha permesso di  diventare uno scrittore di fama nazionale e internazionale fosse quello in cui raccontavo la mia vita da barista.

Ormai è conosciuto come il Nicholas Sparks italiano, ma effettivamente da quali autori e letture è stato maggiormente influenzato?

I miei scrittori di riferimento sono sempre stati principalmente quelli romantici come Sparks, Evans, Musso, Levy, Paullina Simons, ma di sicuro quella che mi ha reso lo scrittore che sono è stata senza alcun dubbio Jane Austen, non è un caso che il mio libro del cuore sia il suo “Persuasione”.

Una domanda un po’ singolare. Se potessi prendere un caffè con Shakespeare, Freud o Dalì. Chi sceglieresti e perchè?

Beh! Spero di non risultare scontatissimo  dicendo Shakespeare. Più che altro perché anch’io penso che non sia stato lui a scrivere quelle opere frutto della mente di un Dio della letteratura.

“Una storia straordinaria” di Diego Galdino

Parliamo del suo ultimo libro “Una storia straordinaria”. Si intrecciano i fili dell’amore e del cinema sullo sfondo di una Roma da riscoprire. Da dove è nata l’idea per questo romanzo e quando ha capito che sarebbe stata davvero “una storia straordinaria”?

Questa storia è nata una mattina d’estate durante una passeggiata al Giardino degli aranci sull’Aventino con le mie figli.  Seduto su una panchina ho chiuso gli occhi per qualche secondo, chiedendomi cosa avrei fatto se improvvisamente mi fosse stata tolta per sempre la possibilità di guardare le persone che amo, Roma, i film. Ho proiettato il dopo nella vita di Luca il protagonista della storia. Ho capito che avevo scritto una storia straordinaria, quando la Leggereditore dopo aver letto il libro ha deciso di lasciare il titolo invariato.

In “Una storia straordinaria” seguiamo le vicende di Luca e Silvia. Qui ci parla del destino come padrone delle vite, ma in passato ha anche fatto menzione dell’indifferenza del destino verso i sogni e i desideri degli uomini, esortandoli qundi ad impegnarsi per realizzarli. Qual è la sua idea di destino e come si inserisce nella vita delle persone e dei suoi personaggi?

Io credo che abbiamo tutti un destino già scritto, ma a volte ci fa comodo accettare determinati eventi convincendoci che sia quello il nostro destino e che non potrebbe essere altrimenti…Altri invece li considerano semplicemente per quello che sono…Eventi. E continuano a lottare finché non sono certi di aver trovato quello giusto…Il film  Serendipity docet…

Nel libro l’amore ritorna come tematica. Si può fare una distinzione tra l’amore concreto e quotidiano della vita reale e l’idea stessa dell’Amore. Come descrive l’Amore presente nel romanzo e quello presente nella sua vita?

Per me l’amore è l’amore punto. Per descriverlo lascio la parola ai protagonisti della mia storia…

Luca rise piano, scuotendo la testa. «Assolutamente no, il mio discorso è un avvertimento in positivo. Tu in questi giorni mi hai fatto capire che l’amore è come uno di quei bracieri votivi che si trovavano nei templi dell’antica Grecia e l’innamorato, in questo caso io, è un po’ come quelle ancelle che erano destinate a passare tutta la loro vita a cercare di mantenere il fuoco del braciere sempre acceso… Non ti puoi distrarre o addormentare, specialmente la notte. Perché altrimenti il fuoco rischia di spegnersi. E se è vero che credi nell’amore, come le ancelle credevano nel dio del tempio, non puoi permetterlo…»

Silvia si commosse e con il dito si tamponò gli angoli degli occhi per fermare le lacrime che dopo essersi formate stavano per scendere giù. Non sapeva se si fosse commossa per la bellissima metafora di Luca, per come l’aveva detta, o per il fatto che avesse detto che era innamorato. Una cosa però la sapeva.

«Wow! Che metafora splendida. La tua immagine dell’amore è davvero suggestiva. Anch’io però ne ho una, non sarà fascinosa come la tua, ma spero sia abbastanza chiara da renderti bene l’idea. Allora, per farla breve… Io l’amore lo vedo così: se l’uomo che amo vive sull’Isola di Pasqua, io vivrò sull’Isola di Pasqua.

Per chi non lo sapesse l’Isola di Pasqua è il posto abitabile più isolato della Terra. Per raggiungerla dal Cile, il Paese più vicino, ci vogliono cinque ore di aereo durante le quali l’unica cosa che si vede dal finestrino è una distesa senza fine di acqua, acqua e sempre e solo acqua, per arrivare su questa minuscola isola che dal cielo vi sembrerà uno scoglio che affiora dall’immensità del mare. E per raggiungere il Cile da Roma ci vogliono circa quindici ore di volo.

– “Una storia straordinaria” di Diego Galdino

intervista
Author

Katia Cava

Nata a Catania nel 1967. Docente di letteratura inglese e spagnola. Insegna attraverso le emozioni, scrive poesie e traduce testi inglesi.
Master su metodologia didattica innovativa. Corso teatro e cinema. Ama l'arte

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“Canto di Natale” di Dickens, una ballata di denuncia sociale

By Camilla Elleboro
'Canto di Natale' di Dickens

“Canto di Natale” di Charles Dickens viene pubblicato nel 1843, momento in cui viene raggiunto il culmine della miseria e della fame, e quando il contrasto tra i meno abbienti ed i facoltosi banchieri di Londra forma un divario abissale. Immaginate la Londra di metà XIX secolo: la capitale di un impero, una metropoli gestita dalle banche ed attraversata da binari ferroviari. La Great Exhibition del 1851 è il culmine dell’ostentazione e della ricchezza della potenza britannica.

«La sua bassa temperatura se la portava sempre addosso; gelava il suo studio nei giorni canicolari; non lo scaldava di un grado a Natale. Caldo e freddo non facevano effetto sulla persona di Scrooge. L’estate non gli dava calore, il rigido inverno non lo assiderava.»

“Canto di Natale” di Dickens . Le vere condizioni della popolazione londinese

Eppure, tra le pieghe della società, spogliati di ogni illusione e splendore, si insinuano l’ombra nera della carestia ed il grigiore consunto della povertà. Le condizioni più precarie della maggior parte della popolazione londinese trovano voce in Charles Dickens, il quale, nato in modeste condizioni economiche, si serve di alcune traumatiche esperienze personali per esporre le numerose difficoltà sociali del tempo. Sfruttamento minorile, condizioni economiche ed igieniche precarie e diffuso malcontento sono le maggiori piaghe sociali sviscerate dallo scrittore e che emergono da numerosi suoi romanzi.

Nonostante le difficoltà, con “Canto di Natale” Dickens si assume l’arduo compito di grattare la superficie e di calarsi dentro lo status svantaggiato del popolo. Il protagonista della nostra storia è parte dell’ingranaggio degli anziani banchieri, avari e spregiudicati. Ebenezer Scrooge è il suo nome e riecheggia spaventoso per le strade della città. Tutti conoscono il suo egoismo, e la sua brama di denaro è talmente accesa da non voler spendere nemmeno per sé, tanto che indossa abiti consunti ed antiquati.

Lo spirito del Natale Passato

La sera della Vigilia di Natale il signor Scrooge manda via il povero impiegato Bob Cratchit, dopo avergli “concesso” di riunirsi con la famiglia per Natale, e si avvia verso casa, evitando accuratamente ogni passante che intoni un canto di festa, tra cui il devoto nipote Fred. Proprio quando il vecchio si trova sulla soglia dell’abitazione, compare sul battente del portone il volto del defunto socio d’affari Jacob Marley. Nonostante la visione del fantasma lo atterrisca, Scrooge scaccia via i brutti pensieri ed entra in casa.

Dopo diversi agghiaccianti rumori, il fantasma di Marley si palesa per intero, deciso a voler parlare col suo vecchio collega. Lo avverte, infatti, di non fare i suoi stessi errori e non di dedicare quel poco che resta della sua vita a sterili conti bancari e all’accumulo di denaro, senza poterne godere con nessuno. Prima di andar via, Marley accenna anche a tre spiriti, che lo visiteranno nel corso della notte per cercare di immetterlo sulla retta via.

Così, infatti, dopo poco gli fa visita il primo spirito, quello del Natale Passato. Lui ripercorre l’infanzia, la giovinezza e l’età matura di Scrooge, sottolineandone prima il carattere docile, e poi il repentino cambiamento per colpa del denaro. Quando, infine, gli mostra l’opinione che parenti e conoscenti – nonché la sua perduta promessa sposa – hanno di lui, Scrooge comincia ad avvertire i primi segni di rimorso e tristezza.

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Con lo spirito del Natale Presente si tocca, forse, il punto più alto della denuncia dickensiana. Il fantasma si presenta pingue ed abbondante di cibo e di beni, quasi gioviale; eppure non è meno critico con il vecchio Scrooge. Mostrandogli la misera tavola della famiglia del piccolo Timmy, gravemente ammalato, dà prova della forte dicotomia che intercorre tra i pochi dalle pance piene e la stragrande maggioranza che soffre la fame. Tuttavia, questa non è solo finzione narrativa.

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Seppure sembri che quest’ultimo atto della vicenda non si chiuda positivamente, Scrooge si ridesta dal sonno, meravigliandosi che sia accaduto tutto in una notte sola. Ma è Natale, e ha tutto il tempo di riscattarsi. Tra lo sbigottimento generale, la storia si chiude con un lieto fine ed un forte senso di speranza.

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La scrittura di Dickens, così puntuale ed al tempo stesso allegorica, assume caratteristiche quasi teatrali. I tratti e i dettagli degli spiriti vengono descritti con grande precisione, ed ognuno di loro possiede una forte carica patetica. Sembra davvero di trovarsi nel bel mezzo di uno spettacolo quando Scrooge scorge il volto di Marley su un piccolo particolare della porta o quando, inginocchiato, si dispera al cospetto della sua lapide.

“Canto di Natale” è uno dei grandi classici della letteratura, tanto che ha ricevuto omaggi e subito riadattamenti di ogni genere. Darne un’interpretazione letterale e ridurla ad una favola moraleggiante è certamente riduttivo. Per il tramite della forte carica del genere visionario, Dickens ha espresso i malumori ed i pensieri di una popolazione in ginocchio. Tuttavia, con l’accorto uso dell’ambientazione magica del Natale, lo scrittore ha fatto vedere un altro punto di vista, carico di speranza e di nuove possibilità.

“Lezioni Americane” di Italo Calvino: un dono per il futuro

By Camilla Elleboro
"Lezioni Americane" di Italo Calvino

Nel 1985 viene pubblicato postumo “Lezioni Americane” di Italo Calvino. Lo scrittore avrebbe dovuto tenere un ciclo di conferenze presso l’università di Harvard in materia di critica letteraria, ma la morte lo coglie ancora impegnato nella stesura del suo saggio. L’opera è impareggiabile per la qualità di passi, autori e spunti dotti. Al tempo stesso è anche un prezioso dono che l’autore ha offerto ai lettori.

In ben sei appuntamenti l’autore avrebbe dovuto parlare del ruolo della letteratura nel terzo millennio. Proprio per questo “Lezioni Americane” è un saggio originale, un prodotto del sapere accademico che però parla anche a un pubblico di lettori più vasto. Ogni lezione inizia da una caratteristica particolare che rende la letteratura tale, ma pian piano si allarga in una rete di connessioni davvero interessanti. Parola per parola dà ritmo a un cuore pulsante di consigli e richiami anche molto tecnici. Ciascuna conferenza è legata all’altra da un filo sottile, così come ogni caratteristica della letteratura non può esistere senza l’altra.

Incipit. “Lezioni Americane” di Calvino tra la leggerezza di Mercurio e la rapidità di Vulcano

Leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità e consistency – l’incompiuto dal titolo non tradotto – sono gli spunti delle sei lezioni. Queste qualità sono certamente utili per comporre una scrittura di livello. Il che vuol dire anche dar voce a un’individualità o a una collettività presente, passata e futura. Con i sei strumenti a nostra disposizione, le riflessioni e i componimenti di letteratura acquistano un senso. Tuttavia lo scrittore non parla solo agli addetti ai lavori o agli studenti. Quest’opera è una raccolta di saggi fruibile da chiunque, tra le cui righe è possibile leggere anche dei consigli per il vivere quotidiano.

Sulla leggerezza Calvino come intellettuale fornisce degli esempi preziosi e complessi. Ma in quanto scrittore ci conduce in una dimensione impalpabile, quasi eterea. Con il suo stile compositivo sempre limpido e cristallino, trasmette la stessa sensazione di purezza a chi legge. La stessa cosa accade quando si arriva alle pagine dedicate alla rapidità o alla visibilità. Senso del ritmo e un lavoro di immaginazione visiva impegnano il lettore. Leggere “Lezioni Americane” è una vera esperienza sinestetica.

La prima lezione riguarda la leggerezza. Questa  non contrasta con una cultura impegnata, non è sinonimo di assenza di contenuti. Al contrario è un valido strumento per reagire al peso della vita e per dotarsi di un punto di vista diverso. Questa virtù aiuta Mercurio, dotato di ali ai piedi, a tenere insieme il mondo umano e divino. A far parte dell’uno e dell’altro.  Al primo incontro accademico si unisce il secondo dedicato alla rapidità. Le digressioni narrative sono stimolanti, ma ogni narrazione ha bisogno di arrivare al succo. Di dare ritmo e disinvoltura per saper gestire anche le dilatazioni narrative senza brusche interruzioni. A Mercurio si accompagna – e non si oppone! – Vulcano simbolo di focalità, centralità produttiva.

Il progetto ambizioso della letteratura

Altre due immagini popolano il mondo sconfinato di “Letture Americane”, il cristallo e la fiamma. La rigorosa precisione e la costanza. Queste rappresentano l’esattezza e l’uso icastico della lingua, alla quale si unisce la visibilità. Solo con un uso giusto e consapevole delle parole la letteratura può farsi immagine, prodotto della fantasia. Nella mente dell’autore e del lettore ogni dialogo, scena o personaggio letterario deve corrispondere a un’immagine visiva, fisica, fino a diventare reale. Il ciclo di conferenze sta per volgere al termine e chi legge se ne rende conto man mano. Il quinto appuntamento riguarda la molteplicità, il sigillo definitivo per consacrare un’opera. Nulla è eccessivo, troppo smisurato o impossibile per chi scrive. La letteratura è ambizione.

«Magari fosse possibile un’opera concepita al di fuori del self […] per far parlare ciò che non ha parola, l’uccello che si posa sulla grondaia, l’albero in primavera e l’albero in autunno, la pietra, il cemento, la plastica… Non era forse questo il punto d’arrivo cui tendeva Ovidio nel raccontare la continuità delle forme, il punto d’arrivo cui tendeva Lucrezio nell’identificarsi con la natura comune a tutte le cose?» – “Lezioni Americane” di Italo Calvino

È con la consistency che Calvino avrebbe voluto terminare le sue lezioni. Si potrebbe dire che questa sia la dote della concretezza, il sapere come iniziare e finire un romanzo o un racconto. E se di concretezza si parla non sfugge a chi legge che Calvino fa riferimenti a più riprese ai suoi stessi romanzi, che contengono ognuna di queste proposte di letteratura.

La scrittura come gesto di generosità per il futuro 

Il Secondo Millennio è stato memorabile, nel vero senso della parola. Degno di esser ricordato. Nuove culture hanno modificato quelle passate, si sono mescolate fino a creare linguaggi innovativi e rivoluzioni. Sconvolgenti eventi storici, scientifici e culturali sono al centro della progressione umana. Ma nel passaggio da “memorabile” a “impressa nella memoria” c’è solo un fattore che può intervenire. La scrittura: di qualunque argomento o genere. Bisogna incidere nella memoria collettiva ogni passo in avanti o indietro e solo con una scrittura consapevole questo è possibile. Probabilmente Calvino avrebbe potuto annoverare tra gli altri attributi letterari anche l’attualità. Affinché la memoria si attivi c’è bisogno di sentirsi coinvolti, di credere profondamente che ciò che si legge sia attuale, a noi vicino. Da Dante a Proust ogni palpitazione, pensiero profondo come anche progresso tecnologico è inscritto nell’eternità. Così, anche “Lezioni Americane” di Italo Calvino ha il sapore di una di quelle opere imprescindibili, un atto di generosità per i lettori del domani.

1 Comment
    Ludovica Torrisi says:
    Giugno 27th 2020, 12:28 pm

    Un articolo dai mille “colori” che coinvolge tutti i cinque sensi e che descrive l’amore puro, sincero e vivo.

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