“Istruzioni per diventare fascisti” di e con Michela Murgia è in scena al Teatro Carcano di Milano. Il monologo è tratto dall’omonimo libro, che inchioda lo spettatore alla poltrona per la naturalezza e la crudeltà della realtà quotidiana.
Fascista è chi il fascista fà. O no?
Il chiaro riferimento a “Forrest Gump” non lascia scampo. La scena si presenta semplicemente spoglia. Essenziale. A palco vuoto si intravedono le sagome di una sedia e di un qualcosa di non identificabile a lato. Sullo sfondo è proiettata la foto di un muro con scritto “Addavenì ottobre” con il disegno di falce e martello in chiara opposizione al titolo dello spettacolo. Si accendono le luci e ciò che era indistinto si palesa: la sedia è una classica sedia da ufficio con le ruote e poco distante c’è la postazione di un deejay. E infatti non tarda ad arrivare Francesco Medda Arragolla che si mette subito a suonare. Passano una manciata di minuti tra musiche e suoni indistinti quando dalle quinte entra Michela Murgia e si avvicina alla sedia. Così, nella massima semplicità di atteggiamento e abbigliamento. Scatta l’applauso. E lei, al ritorno del silenzio inizia quello che sarà un lungo monologo. Probabilmente durerà più di quanto anticipato, ma come sempre, a teatro il tempo sfugge da ogni classificazione numerica.
Un antispettacolo, master di normalità
Tra il serio e il faceto, la scrittice e mattatrice della serata, inizia subito coinvolgendo il pubblico in quello che lei stessa definisce “un master per diventare fascisti“. Non è più uno spettacolo teatrale, bensì un antispettacolo dove quasi lo spettatore è stimolato a farne parte. Intanto il deejay Francesco Medda Arragolla continua senza sosta a proporre suoni più o meno dissonanti e frastornanti come sottofondo del monologo.
Quello che visivamente colpisce subito è lo sfondo. All’ingresso di Michela Murgia cambia registro. Si può dire che il monologo della scrittrice sia diviso in capitoli, come un libro e all’inizio di ogni “capitolo” sullo sfondo si proietta un’immagine con una scritta. Il rimando allo stile del regime fascista è chiaro per entrambe. Il font è quello littoriano e le immagini di carattere futurista lasciano viaggiare in libertà la fantasia dello spettatore. Così quando ogni “capitolo” termina, c’è una pausa, quasi di riflessione. Michela Murgia si siede. Lo sfondo cambia e ripropone a intermittenza frasi clou di quanto appena detto. La musica diventa una canzone chiara. Stop!
“Istruzioni per diventare fascisti” di Michela Murgia. Una quotidiana realtà
Man mano che lo spettacolo, o meglio, l’antispettacolo procede la mente non può fare a meno di pensare a Calderón de la Barca e alla sua opera “La vida es sueño”. Così come con l’autore spagnolo, la verità non è altro che un’ovvietà. Con “Istruzioni per diventare fascisti” si assiste allo snocciolamento di una serie di semplici e drammatiche quotidianità che non si vedono o si vuole far finta di non vedere, forse. Proprio a questo vuole portare la scrittrice/attrice. Vuole accompagnare lo spettatore a una presa di coscienza di ciò che vive nella sua vita quotidiana. Ma se la sua posizione è chiaramente nota, non per questo qualcuno è immune. Tutto il contesto italiano contemporaneo viene punto con magistrali colpi di fioretto linguistici che non possono che far riflettere. E da questo si capisce davvero il potere dalla parola.
La Murgia non può non mettere in guardia lo spettatore. E nel suo monologo è questo che fa. Srotola un tappeto di ovvietà mascherate dai moderni mezzi di comunicazione sociali tra tweet e parole e immagini e video di cui praticamente il 90% della popolazione fa uso. Un monologo faceto diventa quasi drammatico al termine dello spettacolo. Forse è così che deve essere. Forse è normale. Perché davvero, in fondo, la vida es sueño.