
Cominciamo subito col dire che “Joker” di Todd Phillips è un film maestoso. Una visione estrema della nostra società e dei suoi aspetti più oscuri in chiave semi-realistica. Non a caso è stato premiato come miglior film alla mostra del cinema di Venezia, meritando nettamente otto minuti di standing ovation. Ma il vero Joker è un immenso Joaquin Phoenix che ci accompagna con la sua danza verso la follia. Dietro quelle movenze c’è dolore, rabbia e voglia di vivere senza maschere.
Essere trasportati da questo film significa empatizzare fin da subito con Arthur Fleck, il futuro Joker, che è una persona buona con l’unico scopo di voler far ridere la gente. Ma fin da subito la società che viene mostrata è fatta di reietti, super topi e caste. Questi ultimi non hanno interesse verso la gente di Gotham City, se non per fare pura campagna elettorale. Si dice che il film sia ambientato negli anni ’70, ma è molto simile al lavoro fatto da Tim Burton, nel suo primo Batman, dove la città era estremamente attuale rispetto agli anni che dichiarava. È in questa ambientazione che il film ci mostra la morte di Arthur Fleck e la nascita del Joker di Joaquin Phoenix.
Il vero Joker di Joaquin Phoenix
Arthur Fleck è costantemente picchiato, insultato e ferito sia fisicamente che mentalmente da una rabbia collettiva, quasi ingiustificata. Spesso nei momenti di forte stress e paura, Joaquin Phoenix ci mostra la risata perfetta del Joker, contestualizzata in modo brillante perché effetto da una patologia neurologica che lo accompagna fin da piccolo e che tramuta in risata esasperata ogni forte stato d’animo. Un vero e proprio handicap, che lo trasforma in un clown con una risata soffocata e rantolante ogni volta che non regge la tensione e che lo rende incapace ad affrontare la vita e di essere compreso dall’esterno.
È innaturale, è illogico, persino immorale quell’uomo che ride, sempre e comunque, specie se in città non c’è davvero nulla che strappi un sorriso. Ma il Joker di Joaquin Phoenix piange quando ride, i muscoli del viso si irrigidiscono, soffoca e la voce si spegne. Qui si vede il carisma di un attore brillante, da Oscar. Magro, con il corpo pieno di lividi e le spalle ricurve, Phoenix ride forzatamente per buona parte del film, evidenziando con lo sguardo e con quei gesti che si mescolano ai passi di una danza macabra e disagevole, tutta la sofferenza della sua condizione e la sua inadeguatezza nei confronti del mondo.
Arthur Fleck è abbandonato da tutti, dai servizi sociali, dal padre e da una madre malata. Soffre poiché si sente diverso e solo. Senza amore, ma solo pensieri negativi. È da innumerevoli colpi che il personaggio comincia a familiarizzare con il suo vero Io, rendendosi conto che l’unica maschera indossata quella di Arthur Fleck, un uomo che voleva solo «piacere alla gente e portare gioia e risate in questo mondo buio». Ma Lui è il Joker, il prodotto di una violenza anarchica. Una maturazione folle di un uomo che lo porta ad essere l’icona del villain per eccellenza.
«Vorrei solo un abbraccio da una padre che non c’è mai stato.»
La rinascita di Todd Phillips, tra regia e fotografia
È una vita di sogni infranti quella di Arthur. Voleva diventare famoso come comico e conduttore televisivo, come il suo idolo della tv, Murray Franklin, interpretato da Robert De Niro che si ispira ad il suo vecchio personaggio de il film “Re per una notte” di Martin Scorsese. Ed è proprio da quest’ ultimo regista Premio Oscar a cui Todd Phillips si è ispirato.
Una regia pulita, precisa nei movimenti. Con incredibile maestria riesce a mostrare allo spettatore inquadrature stabili che seguono ogni piccolo movimento del protagonista, soprattutto nei momenti più caotici. In questo quadro di violenze e tumulti, le inquadrature ti trasportano con estrema leggerezza verso la moltitudine di comparse e personaggi, tenendo sempre in focus il nostro Joker. È una regia ispirata ma con una chiara direzione autoriale di Todd Phillips.
Per una buona durata il film è caotico nel montaggio, quasi ti lascia pensare più volte a dove voglia arrivare. Ma improvvisamente esplode e tutto diventa chiaro. Il film è la visione di Joker, della sua vita e del mondo che lo circonda. Diventa sempre più delineato grazie alla crescita del personaggio e alla sua consapevolezza di chi vuole essere veramente. Angoscia, ma allo stesso tempo cresce ansia verso ciò che è folle ed inaspettato. La musica che accompagna la pellicola è disturbante, quasi ricorda in alcune note lo Zimmer del Cavaliere Oscuro, ma ha una sua unicità. La fotografia è estremamente curata, spenta nei colori per tutto il film. Solo verso gli ultimi minuti la pellicola diventa chiara, brillante, con un rosso acceso che simboleggiano i passi di un uomo che lascia morte e distruzione sul suo cammino. È poetico come il personaggio nasce dall’emancipazione della violenza e della follia: avviene con un gesto finale, il sangue sulle sue labbra, che lo dichiarano il Joker fatto e finito. Un sorriso agghiacciante, tinto dal sangue e non da un semplice trucco da clown.
‘Joker’ di Todd Phillips. Quando i cinecomics incontrano il cinema d’autore
Lodevole è l’abilità della sceneggiatura di attingere al mito fumettistico, apparentemente assente in una prima parte, ma che esplode con forza verso le battute finali della pellicola. Ci riconsegna, infine, un Joker non troppo distante dalle varie incarnazioni proposte su carta stampata.
“Joker” di Todd Phillips è un film che intrattiene, quasi ti lascia senza fiato, in un mix di assuefazione per la bravura attoriale di Joaquin Phoenix. Fa riflettere perché è tremendamente attuale; mostra tanta violenza e anarchia, ma non vuole osannarla. Bensì cerca di lasciare un messaggio, cerca di comunicare con lo spettatore, facendo empatizzare con Arthur. Trasmette dolcezza, tristezza e pena, finché non si trasforma nel folle lucido Joker che spaventa. È un messaggio verso tutti per far riflettere sull’odio, genitore solo di un male più grande ed incontrollabile. “Joker” di Todd Phillips è davvero un punto di partenza per i futuri cinecomics d’autore.
Autore: Marco Rippa