
L’aborto in Irlanda fu vietato più di 36 anni fa con un referendum e con un altro referendum, l’anno scorso, è stato reso di nuovo legale. Stiamo parlando della terra di James Joyce, Oscar Wilde e Samuel Beckett, il paese della birra Guinness, della mitologia celtica e dei castelli, stiamo parlando dell‘Irlanda. In questo cattolicissimo paese la storia della legge sull’aborto è stata lunga e difficile e, nonostante la svolta epocale del 2018, sembra non essersi ancora conclusa.
Le leggi sull’aborto in Irlanda
«L’abolizione del diritto di abortire per una donna, quando e se lo vuole, equivale a una maternità obbligatoria, una forma di stupro da parte dello Stato.»- Edward Paul Abbey, scrittore
L’Irlanda è un paese radicalmente cattolico, che vanta una popolazione credente per il 78%. Ed è proprio qui che nel 1983 viene fatto un referendum che porterà a vietare l’aborto. Viene inserito in Costituzione infatti il cosiddetto “Ottavo emendamento”, che impediva alle donne di abortire. La pena, per coloro che si macchiavano di questo “reato” era fino a 14 anni di carcere.
Nel 1992 la Corte Suprema con una storica sentenza consentì un’eccezione alla regola solo d’innanzi al caso in cui sussistesse un «reale e sostanziale rischio per la vita della donna». In tutti gli altri casi, compresi quelli di stupro o di incesto, continuava ad essere vietato abortire. Poco dopo, il Tredicesimo Emendamento concesse alle donne la possibilità di abortire all’estero. Ma fu un gesto soltanto convenzionale: non seguì nessun cambiamento reale.
La condanna dell’Unione Europea
Fu così che l’Irlanda si meritò la condanna da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel 2010. Fu chiesto al paese di modificare la sua Costituzione in modo da non mettere più in pericolo la vita e la salute delle donne. Nel 2013 venne emanata una legge chiamata “Protection of life during pregnancy bill” in cui venne consentito l’aborto qualora la vita della donna fosse stata in pericolo, ma questa suscitò forti opposizioni ed ebbe un’applicazione estremamente limitata.
Furono anni bui, in cui circa 3500 irlandesi si recavano ogni anno all’estero e, in particolar modo in Inghilterra per praticare un aborto. A dispetto di tutte le leggi, quindi, la pratica dell’aborto continuava, con grandi limitazioni per le donne appartenenti agli strati più poveri della popolazione.
Il referendum del 2018
È stato un venerdì di maggio che si è tenuto il referendum sull’aborto in Irlanda del 2018. Il premier irlandese Leo Varadkar era a favore del sì e con lui si erano schierati anche tutti i partiti irlandesi, di maggioranza e d’opposizione. Ma la lotta fu ardua. La campagna per il no infatti fu molto forte e arrivò ad utilizzare messaggi fuorvianti, come l’accostamento tra l’aborto e l’omicidio. Ma gli exit poll erano positivi e infatti, al termine si è potuta festeggiare una grande vittoria con il 66% di voti favorevoli. La svolta epocale è stata salutata così da Deirdre Duffy, avvocata responsabile della campagna Together for Yes (Insieme per il sì):
«Questa è una giornata davvero importante per le donne in Irlanda. Il male e la sofferenza che l’Ottavo Emendamento ha causato alle donne ora è solo un ricordo. Il 2018 sarà riconosciuto come un punto di svolta nel modo in cui questo paese rispetta e tratta le donne.(…)Le future generazioni di ragazze e donne irlandesi cresceranno sapendo che le loro scelte sono rispettate dalle nostre leggi .»
Mentre Simon Harris, il ministro della salute, ha dichiarato:
« È un voto per dire basta ai viaggi solitari delle donne all’estero, per terminare questa sofferenza e dar possibilità di scelta a casa loro.»
La legge sull’aborto in Irlanda. La verità
Nonostante la legge che permette finalmente l’aborto in Irlanda sia stata presentata come un grande passo avanti nel cammino della civilizzazione del paese, il passo in realtà è stato piccolo stentato. Infatti la legge approvata nel dicembre del 2018 non permette alle donne di decidere del proprio corpo e del proprio destino. Permette loro di abortire entro 12 settimane solo in due casi: in caso di malformazioni del feto tali che potrebbero condurlo alla morte, oppure se la salute della donna fosse messa gravemente messa al rischio. Inoltre la donna, prima di abortire, dovrà essere consultata da due differenti medici e dovranno trascorrere almeno tre giorni tra il momento della visita e quello dell’aborto.
Come fanno giustamente notare le femministe e le attiviste “pro-choice” l’espressione «grave danno per la salute della donna» è ambigua e imprecisa, e potrebbe essere utilizzata dai medici per non permettere alle donna di abortire. E cosa succede se le malformazioni del feto sono gravissime, ma non tali da poterlo condurre alla morte? In più è stata prevista l‘obiezione di coscienza, una circostanza che ha portato all’impossibilità de facto delle donne di abortire, anche in stati (come l’Italia) dove in teoria dovrebbe essere una pratica legale e sostenuta dalla sanità pubblica.