
Quando si parla di un grande pilastro della comicità italiana come Massimo Troisi, non si può evitare di tributare uno strepitoso omaggio alla bravura, all’intelligenza e al talento di questo attore e regista tanto amato. “Fare il comico” è tutt’altro che semplice. Bisogna prendere in mano le innumerevoli e svariate sfaccettature della vita, tramutandole in dadi che devono essere giocati secondo le giuste regole della combinazione. È quanto accade con “La Smorfia” di Massimo Trosi, suo debutto teatrale con Lello Arena e Enzo Decaro. La scrittura comico-teatrale è sempre a metà tra il mito e la realtà, la quotidianità e il sogno, il riso e la riflessione.
“La Smorfia” può essere definita una fenomenologia scrittoria, fatta di atti unici, di un nucleo testuale ben preciso, nuove metodologie letterarie che celano, al proprio interno, veri e propri mini-racconti, parabole in miniatura. Il discorso – talvolta piuttosto breve – appare ben allineato e coerente, non è direttamente collegato al nucleo centrale e, seppur divagando, contribuisce a fornirgli armonia.
“La Smorfia” di Massimo Troisi e i meccanismi linguistici
Troisi si serve della frammentarietà degli enunciati per collegare tra loro parti di testo isolate, sviluppando al meglio la dinamica dell’azione con coloriti verbalismi e contrasti semantici. Il meraviglioso trio de “La Smorfia” è stato in grado di inaugurare una nuova forma di linguaggio scenico, concentrandosi esclusivamente sulla connessione funzionale tra una battuta e l’altra. La capacità strabiliante di questo tipo di linguaggio risiede nella vivezza delle sue forme colloquiali accompagnate, spesso e volentieri, da una clamorosa gestualità corporea.
«Sto tutto sudato… con calma…con chi ve la fate…niente, siamo tutti giovani, tutti amici…sapete siamo tutti quanti in una combriccola che ci abbiamo, no?…Stiamo tutti quanti insieme, ci vediamo…loro a volte dicono:”Andiamo a ballare”… Loro! Io mai, patrià, vi giuro, mai, guardate…so’ sempre lloro, io…io dico:”Andate voi, andate voi”… io preferisco andare a dormire, perchè la mattina mi sveglio presto…e loro vanno a ballare, loro…eh, loro, no?…Allora…eh, niente, però so’ bravi giovani, devo dire la verità…tutti bravi ragazzi…so’ tutti ragazzi, ragazze…»
Questa lunga battuta di Troisi, è tratta dallo sketch “La fine del mondo”. Nei pressi di un improbabile molo d’attracco, a cui è ancorata l’arca di Noè, ogni cosa è pronta per la partenza. Lello Arena è il patriarca ed Enzo Decaro interpreta la parte del figlio. Massimo vuole salire a tutti i costi sull’arca. Il linguaggio utilizzato è piuttosto semplice, scorrevole, quasi elementare. È caratterizzato dalla ripetizione delle medesime parole, in forma e tono diverso, con la gestualità tipica di Massimo Troisi, che solo lui può rendere unica. Per ogni cultore di cinema e teatro che si rispetti, leggere le sue parole andrà di pari passo con l’immaginazione della scena stessa, in tutti i suoi dettagli rappresentativi.
I contrasti e la partecipazione del pubblico
È dunque dall’incontro-scontro tra i personaggi che si hanno battute folgoranti, fondate sulla ripresa di una stessa idea, che, capovolgendo i termini del contrasto, riesce a creare – a sua volta – un altro contrasto.
Il gioco dei contrasti viene infine ingigantito dalla voglia costante di rendere partecipe il pubblico, con ogni movenza, con ogni battuta, con ogni accenno di risata, in una dinamica fortemente rappresentativa del gusto e dell’interesse dello spettatore. L’effetto di partecipazione nei confronti del pubblico crea una forma di divertimento che è possibile indicare con un’espressione propriamente bergsoniana: “palla di neve”, che rotola e si ingrandisce rotolando.
Tutto ciò non fa altro che alludere alla grandezza della comicità ne “La Smorfia” di Massimo Troisi e del suo trio, capace di estendersi così tanto da consentirci di godere di una buona e sana dose di risate anche nei momenti meno felici.