
Meno conosciuto di Pierre Bonnard e Eduard Vuillard, suoi contemporanei, l’artista franco-svizzero Félix Vallotton è subito collegato ad una delle sue opere più forti e ambigue: “La Blanche et la Noire – La Bianca e la Nera” con l’interessante riferimento all'”Olympia” di Manet.
La produzione di Vallotton comprende uno corpus con interni borghesi, esterni, nature morte, ritratti, autoritratti eseguiti in diversi periodi della sua vita, nudi femminili, paesaggi onirici, soggetti mitici e stampe satiriche in bianco e nero. La sua è una forma di realismo situata tra un simbolismo passato di moda e un surrealismo non ancora nato. Lo stile si distingue per la pennellata piatta, la linea minimalista dai contorni sottili, le luci soffuse e le atmosfere ovattate, nonché per la costruzione di scene d’interni dense d’indagine emotiva e psicologica.
“La Blanche et la Noire – La Bianca e la Nera” di Felix Vallotton
Spicca la serie intitolata “Les intimités” per le scene indistinte d’interni, dipinte con insolite combinazioni di colore e intessute di pura inquietudine. Un esempio si trova in “La Blanche et la Noire – La Bianca e la Nera” di Felix Vallotton, un olio su tela del 1913, di dimensioni 114x147cm. Il quadro fa parte della collezione della Fondazione Hahnloser di Villa Flora, a Winterthour in Svizzera. L’opera fa riferimento alla più illustre “Olympia” di Eduard Manet del 1863, ma da questa se ne discosta prepotentemente. Tra le due opere passano 50 anni e la scena dipinta da Vallotton risulta sovversiva ma intrisa di significati molteplici e rimandi storici.
La tela rappresenta un interno, non proprio borghese, potrebbe essere la stanza di uno dei tanti bordelli all’epoca molto frequentati. Si tratta uno scorcio ravvicinato dal taglio fotografico: due pareti prive di mobilia, addossato a queste un letto sfatto su cui giace allungata una donna nuda dalla carnagione bianca. Seduta sulla sponda del letto siede una donna nera che la contempla, vestita di blu con una sigaretta accesa che le pende dalla bocca. Il corpo adagiato della bianca è morbido, assai femminile, sensuale e passiva con la testa girata verso la parete e gli occhi chiusi. La nera è attiva, fuma e fissa insistente lo sguardo su di lei. Inoltre presenta forme androgine, che si evincono sia dai tratti del volto che dalle braccia muscolose.
L’erotismo algido di Vallotton
Vallotton aveva già dipinto nudi femminili distesi e donne nere vestite sedute in un interno. Eppure in questo quadro, per la prima volta, mette insieme i due soggetti per creare non un doppio soggetto bensì una vera e propria storia sulla quale l’osservatore può formulare varie ipotesi. La composizione dell’opera è costruita solo sulla relazione e il rapporto che c’è tra le due donne, un rapporto ambiguo e intrigante al tempo stesso. Non ci sono altre suppellettili o elementi che possano fornire un qualche indizio. Le pareti sono nude, di un bel verde brillante che richiama la vegetazione di un esterno, un giardino o comunque all’aperto.
Su chi siano costoro sono state fatte molte congetture. La serva e la prostituta? È un momento di abbandono di costei dopo aver consumato un rapporto con uno dei tanti clienti? Oppure le due donne sono amanti e trattasi di amore saffico? C’è un rifiuto subito da parte di una delle due? Di sicuro assistiamo ad una di quelle situazioni definite dai critici “l’erotismo algido” di Vallotton.
A confronto: “La Bianca e la Nera” di Felix Vallotton e l'”Olympia” di Manet
Rispetto all’“Olympia” di Eduard Manet, il quadro si distanzia su diversi particolari. Intanto mentre la protagonista di Manet è ben connotata come prostituta – dal nome stesso, dagli accessori che indossa, dai fiori che le porta la domestica anch’essa nera – la bianca non è identificata con un nome, ma solo dal colore della sua pelle. Con gli occhi chiusi e la testa voltata dall’altra parte poi, la bianca non possiede lo sguardo provocatorio di Olympia che sfida l’osservatore. Tutto è molto vago e perciò risulta ambiguo e di conseguenza molto inquietante.
Infine, la nera non mostra di essere in uno stato di soggezione o sottomissione, tantomeno di servilismo. Non è più subalterna anzi è balzata in primo piano, mentre nel quadro di Manet si inchinava ossequiosa in secondo piano. Si può presuppore pertanto che Vallotton percepisse gli effetti della fine dell’imperialismo nella società europea – finirà di lì a poco con la prima guerra mondiale – e quindi le due donne sono viste come metafora della contrapposizione tra l’Europa in declino e lo scalpitante mondo africano.
Per concludere, si potrebbe anche cogliere l’accenno, per quanto vago, a un imminente ribaltamento della lotta di classe tra un padrone (bianco) e una classe lavoratrice (nera). Il che rende ancora più inquieta la lettura di quest’opera che si presta a diversi livelli di lettura. Comunque sia, Félix Vallotton è un pittore che si conferma senz’altro all’altezza dei suoi coetanei della Belle Époque. L’eredità che ci ha lasciato ha avuto echi nel corso del 20° secolo: la sua estetica non solo anticipa quella che sarà l’inquietudine borghese di Edward Hopper, ma trova risvolti interessanti anche nei film di Alfred Hitchcock.
Cenni biografici
Nato il 28 Dicembre 1865 a Losanna, Felix Vallotton si trasfersce a Parigi all’età di 17 anni per studiare pittura all’Académie Julian, dove sviluppa la sua naturale inclinazione per il disegno. Nel 1890, diventa noto per le sue xilografie, le incisioni su legno, che apprende sotto la guida di Charles Maurin, e le sue opere sono pubblicate in libri e riviste.
Due anni più tardi, insieme a Bonnard e Vuillard, entra a far parte del gruppo artistico Nabis, costituito da giovani studenti d’arte tra cui Paul Gauguin. Nabis opera una rivoluzione stilistica che prende spunto dallo stile the decorativo e Post-Impressionista di Gauguin e dalle stampe giapponesi molto popolari all’epoca. Felix Vallotton partecipò a numerose mostre, produsse oltre 1.000 dipinti, scrisse anche romanzi e opere teatrali e realizzò alcune sculture prima di morire di cancro in Francia nel 1925.
