
“Elogio della follia” di Erasmo da Rotterdam presenta la follia in una maniera quanto mai irrealistica per l’uomo moderno.
«Qualsiasi cosa siano soliti dire di me i mortali, e infatti non sono così sciocca da non sapere quanto si parli male della follia anche da parte dei più folli, tuttavia sono io, io sola, ve lo posso garantire, che ho il dono di riuscire a rallegrare gli dèi e gli uomini. Eccone la prova: non appena mi sono presentata a parlare dinanzi a questa numerosa assemblea, tutti i volti si sono improvvisamente illuminati di una certa nuova e insolita letizia; subito le vostre fronti si sono spianate, subito mi avete applaudito con una risata così lieta e amabile che mi sembra di trovarmi dinanzi a un consesso degli dèi di Omero, come loro tutti ubriachi di nettare e nepente, mentre prima ve ne stavate lì seduti tutti imbronciati e tristi, come se foste appena usciti dall’antro di Trofonio.» – “Elogio della follia” di Erasmo da Rotterdam
“Elogio della follia” di Erasmo da Rotterdam e il “Joker” di Todd Phillips
Partendo da un presupposto che ci allontana parzialmente dalla letteratura, caliamoci nella contemporaneità: il “Joker” di Todd Phillips. Un personaggio sì folle, ma drammatico, un odierno Orlando spinto dalle circostanze del mondo che lo circonda sul sentiero della pazzia. Come può un soggetto tanto tragico ed illustre «Rallegrare gli dei e gli uomini»?
Partedo dagli dei, potremmo non stupirci. Pur non entrando nello specifico, nei vari culti, pagani o meno, troveremo sempre una divinità disposta a ridere della follia con cui l’uomo complica la propria stessa esistenza. Ma gli uomini? Escludendo poche menti elette – come non pensare all’autoironia di Woody Allen? – è difficile interpretare episodi di follia come atti di una commedia. Per quale motivo? Uno di essi potrebbe essere il buonismo. Siamo talmente bombardati da episodi di “ordinaria” follia – omicidi, attacchi terroristici, guerre, fame, ecc. – che tendiamo ad identificare forzatamente come tragedia atti che in realtà sentiamo distanti e, anzi, del tutto anonimi, perché così è “giusto” che sia. Oppure perché proviamo un sentimento ambivalente verso la Follia: la temiamo, ci repelle, ne proviamo compassione, ci affascina…
La follia che si fa Dio in “Delitto e Castigo” di Dostoevskij
Nessuno, uscito dal cinema, ha condannato Arthur Fleck – protagonista del “Joker” di Todd Phillips-; chiunque termina “Delitto e Castigo” di Dostoevskij solidarizzando con Rodion Romanovic Raskol’nikov, anche per noi ormai, amichevolmente Rodja. Identifichiamo la sua follia, per quanto lucida, e quindi facilmente incriminabile, come giustificata, perché in quella Russia così sbagliata ed ingiusta, l’unico modo di rappresentare un eroe è descrivere un pazzo. Il personaggio in “Delitto e Castigo” di Dostoevskij, senz’altro uno dei più belli e complessi della letteratura, è odioso, pieno di sé, convinto di potersi fare egli stesso Dio e governare la giustizia di propria mano anche uccidendo. Si pente, si ammala, poi lo pervade un delirio di onnipotenza. Un omicida è il paladino di tanti adolescenti finto-proletari, di adulti asfissiati dai debiti, di chi non crede in una giustizia universale, ma che ognuno debba liberarsi dall’oppressione da sé.
“Delitto e Castigo” di Dostoevskij ci presenta una follia cupa, un tarlo che scava nel legno della mente di Rodja, ne assume il controllo così a lungo da normalizzarsi. Questa non è la Follia di Erasmo da Rotterdam: spregiudicata, irriverente e sorridente.
“Alice nel Paese delle Meraviglie” di Lewis Carrol
Trasferendoci nella Londra vittoriana, il reverendo Charles Lutwidge Dodgson, noto ai più come Lewis Carrol, si gettò a capofitto nella stesura di una frenetica allucinazione. Tra i colori e le fughe di “Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie”, la follia si presenta attraverso tre personaggi molto cari al pubblico – e non solo per le trasposizioni cinematografiche più o meno recenti -: il Cappellaio Matto, la Lepre di Marzo e il Ghiro. Fanno tutti e tre parte di Alice, protagonisti come potrebbero esserlo solo nella mente di una bambina.
L’ultimo di essi, il Ghiro, è pazzo perché non fa mai niente, la sua immobilità lo porta ad un bonario delirio. In questo vediamo Alice che in un momento di noia, proprio all’inizio della storia, sogna le avventure poi oggetto del romanzo. La Lepre di Marzo è una caratteristica non solo di Alice, ma propria di tutti i ragazzini della sua età; Alice nel Paese delle Meraviglie sta crescendo, sta passando – del resto su questo passaggio è incentrato l’intero romanzo – dall’infanzia all’età adulta, e sta vivendo anche i primi sbalzi ormonali. La Lepre è pazza perché in sovraeccitazione da ormoni.
Il tempo e la follia del Cappellaio Matto
Il Cappellaio è, invece, un personaggio che scava molto a fondo nella psiche della bambina: Alice non lo sopporta, non lo capisce, ma la fa ridere. Il Cappellaio è, tra i tre, il personaggio più tollerabile e spontaneamente simpatico per il lettore. Nello scontrarsi con lui, Alice si imbatte con la routine del tè delle cinque . Il Cappellaio non può sfuggire al quel rituale in nessun momento della sua vita a causa di un litigio con il Tempo. Non ha il tempo di bere il thè e lavare le tazze, perché è nuovamente l’ora del thè.
Il Cappellaio Matto è pazzo perché non può sfuggire ad un tempo che avrebbe voluto controllare e che lo ha invece sopraffatto. Non sa chi è, cosa lo circonda – e suppone che nemmeno Alice possa saperlo – perché nella ricerca di sé si è perso, si è fermato, e chi si ferma il thè non lo prenderà mai. La sua è una follia in cui ci riconosciamo senza difficoltà, non ci appare drammatica, ma buffa, perché ci dona la spensieratezza di chi non è costretto a rincorrere il tempo: ormai il suo trascorrere non è più un problema. In “Alice nel Paese delle Meraviglie” il Cappellaio rappresenta anche la follia che non sapevamo di avere da bambini, quando appunto il tempo non era un dramma.
Attraverso la letteratura nell’arte
La follia è un tema sotteso a tanti romanzi – oltre che a tanti film come nel caso del “Joker” di Todd Phillips -. Si fa carattere fondamentale di tanti personaggi, rendendoli più naturalmente vicini al nostro vissuto. Quello che vediamo nei pazzi – tra cui anche quelli passati in rassegna in questo articolo – è l‘umanità che non si nasconde, che si scontra apertamente con i propri limiti e si incupisce nel non poterli superare, sbatte continuamente contro le pareti della propria mortalità. Riconosciamo in loro la libertà, perché quei personaggi fanno esondare un’istintualità in noi repressa, repressa al punto da restringere ulteriormente la nostra stessa umanità.
Il nostro autore olandese scrive che:
«La vita degli uomini nient’altro è che un gioco della pazzia.» – Erasmo da Rotterdam.
E noi ci lasciamo affascinare da chi, in questo gioco, sa farsi coinvolgere.
Autore: Fabiana Russo