
Superare l’infanzia sognando si essere prima adolescenti e poi adulti felici e realizzati non è per niente semplice, soprattutto se si è nati in una terra complicata e sempre in guerra come Israele. “La giovinezza di Shlomo” di Stefano Iori, giornalista mantovano, racconta la storia del giovane Shlomo Batai, nato a Tel Aviv durante la terza guerra arabo-israeliana, nota come guerra dei sei giorni.
«Caro ragazzo, non vorrai mettere radici qui? È una casa di vecchi. Il mondo è grande di là dal mare, forse infinito. E in Israele non si starà mai bene. Ricordalo. Siamo maledetti dai demoni della guerra, della sfiducia e della discordia»
“La giovinezza di Shlomo” di Stefano Iori. Un romanzo di formazione poetico
Il romanzo procede con una scrittura fluida e a tratti poetica. La vicenda personale di Shlomo acquista un peso di tutt’altra entità nel suo intrecciarsi con la storia del Paese, della sua terra israeliana. Così il compimento dei Tredici anni racchiude un significato più profondo di apertura alla vita nella scrittura simbolica di Stefano Iori. Tredici anni è l’età in cui secondo la religione ebraica arriva il momento del Bar Mitzvà che scandisce la crescita e l’inserimento nel mondo degli adulti. Da questo momento in poi il ragazzo sarà responsabile e maturo per la Halakhà, normativa religiosa che determina le azioni da tenere nella quotidianità. Tredici anni è anche l’età d’ingresso all’adolescenza, la primavera della vita.
Proprio il succedersi delle stagioni scandisce i vari momenti della storia. Così l’amore è poeticamente accostato alla rinascita e fioritura della primavera, la crisi e la malinconia all’inverno e temperature fredde.
«A primavera, come Natura impone, l’amore sbocciò. L’incastro tra i loro corpi fu perfetto ed entrambi lo presero per il segno che mancava. […] Forse la felicità era lì, forte e nascente. Premiata dal fiorire delle rose, dagli orti maturi, da magliette, sandali e gonne corte.»
L’influsso leopardiano
L’amore comporta una maggiore vitalità, gioia di vivere, eppure la felicità può fare paura. Spesso il timore deriva dalla consapevolezza dell’inevitabile fine di questo sentimento, come se inconsciamente si aspettasse il momento critico in cui tutto si arresta, scompare, evapora nel nulla. Ansia, paura, malinconia. Tre stati d’animo che avvolgono quest’oscuro presentimento e lo stesso Shlomo.
Quest’inquietudine si ricollega al pensiero di Giacomo Leopardi, più volte ritrovabile nel romanzo di Stefano Iori. Il poeta di Recanati parlava di piacere figlio d’affanno: la felicità esiste soltanto come passaggio da una sofferenza all’altra, bella come un fiore appena sbocciato, ma destinata ad appassire in breve tempo.
C’è un passo del romanzo in cui si parla in maniera esplicita della sofferenza, in particolare ci si sofferma sulla sua natura e sulla probabile origine: un lutto, una delusione d’amore, una disgrazia inaspettata o ancora una guerra. In tutti i casi, però, bisogna avere rispetto della persona che si trova in tale condizione. Si può patire in modo diverso, ma non significa che un tormento sia più banale di un’altro. Una riflessione del genere finisce per avvallare la tesi di una sofferenza universale da cui nessuno è esente, proprio come sosteneva Leopardi.
Il lavoro tra illusione e frustrazione
Tra i motivi che rendono Shlomo frustato c’è spesso la professione. Lo studio e la cultura hanno il potere di far distogliere le persone dai problemi personali, oltre ad arricchirle da un punto di vista culturale. Durante gli studi però si rischia di idealizzare molto la futura professione che si intende svolgere. Nella pratica le cose sono più complesse.
Shlomo esercita la professione d’insegnante per un anno ma si rende conto che non è un mestiere semplice. Ogni giorno tutto gli appare statico e privo di stimoli e non è facile ottenere la stima dei propri studenti. Questo è un problema molto attuale che riguarda non solo i tanti aspiranti insegnanti, ma anche coloro che svolgono questa professione da più tempo. La disillusione dell’aspettativa lavorativa.
La speranza ha l’aspetto di un ulivo con “La giovinezza di Shlomo” di Stefano Iori
Come ogni romanzo di formazione che si rispetti è importante indagare il rapporto genitori/figli. Il legame tra Shlomo e il padre non è fatto di complicità, eppure con il passare del tempo imparano a capirsi di più. Proprio dalla figura paterna Shlomo trae la forza per riprendere in mano la propria vita. Uno dei passi più belli del libro, nonché uno dei più poetici, è proprio uno scritto di Gershom destinato al figlio.
«Gli ulivi hanno almeno tre colori: quello del tronco, quello del dorso delle foglie disposto al sole e quello del ventre delle foglie stesse che guarda verso terra. Il primo è scuro, con vene verdi. Le piccole, robuste foglie son pure verdi, ma in gradi sfumati. Di colore più intenso sopra, delicate e pallide sotto. […] Troverai ulivi ovunque andrai. Quando li osserverai, pensa. Tre colori e tre possibilità per te: il dolore che credo stia nei contorcimenti del tronco, la realtà che vive sul dorso delle foglie, la speranza che luccica di sotto. E pensa che poi arrivano le olive.»
La metafora degli ulivi spiega che, nonostante la sofferenza passata e le angosce presenti, il futuro non ancora vissuto è pieno di speranza. La realtà in cui è immerso Shlomo è ingarbugliata e il fatto di vivere in un luogo in cui dominano guerre ed attentati terroristici incrementa l’ansia nei confronti di tutto quello che lo circonda.
Il legame con le origini e con il passato ha bisogno di essere allentato, anche per questo il ragazzo decide di compiere un viaggio. Da sempre nella letteratura il viaggio non è solo fisico, ma anche spirituale e metaforico con lo scopo di riscoprire il valore della propria esistenza. “La giovinezza di Shlomo” di Stefano Iori è un romanzo breve, ma ricco di contenuti: c’è tanta sofferenza ma anche tanta fiducia verso il domani.
«Un piede dopo l’altro. I ricordi in un sacco. Un piede dopo l’altro nell’unica direzione possibile: avanti nel tempo e nello spazio di nuovi mondi. Con fatica se il fardello è pesante. Con vigore quando lo si ritiene leggero.»